La spontanea adesione alla cancellazione dei dati illecitamente trattati non esclude il risarcimento

La statuizione di non luogo a provvedere assunta dal Garante della privacy ex art. 149, comma 2, d.lgs. n. 196/2003, derivante dall’adesione spontanea da parte del titolare del trattamento alla cancellazione e non utilizzazione di dati personali così come richiesto dagli interessati, non impedisce l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, né tale azione deve essere proposta nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento del Garante.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 19534 del 17 settembre 2014. Il caso. Il giudizio trae origine dalla domanda risarcitoria formulata dalla famiglia di un noto calciatore nei confronti dell’editore di una testata giornalistica, del direttore responsabile e di un giornalista, per aver pubblicato un articolo in cui veniva associato un grave fatto di sangue al nome della famiglia. Quest’ultima aveva prima proposto ricorso al Garante per la privacy. In questa sede, l’editore e il direttore responsabile avevano aderito spontaneamente alla richiesta di cancellazione – anche dall’archivio del sito internet del giornale – di alcuni dei dati trattati. Il Garante, quindi, aveva dichiarato il non luogo a provvedere con riguardo a tale richiesta, respingendo però la domanda risarcitoria. I ricorrenti si erano poi rivolti all’Autorità Giudiziaria affinché accertasse l’illiceità del trattamento dei dati personali sui quali vi era stata adesione spontanea alla cancellazione e provvedesse al risarcimento dei danni. Il Tribunale, però, aveva dichiarato inammissibile l’azione, qualificandola come impugnazione contro la pronuncia, ritenuta di rigetto, del Garante, con conseguente valutazione d’intempestività dell’impugnazione. Il giudizio viene quindi condotto dinanzi alla Corte di Cassazione. Riserva esclusiva di giurisdizione sulle domande risarcitorie. Preliminarmente va precisato che la domanda risarcitoria avanzata dai ricorrenti dinanzi al Tribunale era esclusivamente incentrata sull’illegittimo trattamento dei dati su cui vi era stata adesione spontanea del titolare del trattamento alla loro cancellazione e da cui era conseguita la statuizione del Garante di non luogo a provvedere. Ciò premesso, la Suprema Corte esamina i rapporti tra l’azione davanti al Garante e quella davanti al giudice ordinario. La sentenza impugnata ha sostanzialmente fondato la propria decisione sul rilievo per cui, una volta prescelto il canale della tutela davanti al Garante, il ricorso all’autorità giudiziaria andrebbe proposto esclusivamente nella forma dell’impugnazione della pronuncia del Garante, con conseguente inammissibilità di un’autonoma domanda risarcitoria. Di contro, la Suprema Corte, ponendosi in contrasto con tale assunto, osserva che, sia alla luce dell’abrogato comma 12 dell’art. 152, d.lgs. n. 196/2003 sia alla stregua del vigente comma 6 dell’art. 10, d.lgs. n. 150/2011, la tutela risarcitoria riconosciuta per effetto dell’illecito trattamento di dati personali è rimessa in via esclusiva all’autorità giudiziaria ordinaria. I poteri del Garante. Con maggiore specificazione, i Giudici di legittimità rilevano che i provvedimenti che possono essere adottati dal Garante, su ricorso ex art. 141, lett. c. d.lgs. n. 196/2003, si articolano in misure di natura provvisoria e definitiva. Tra i primi vi sono il blocco in tutto od in parte dei dati o la sospensione del trattamento, mentre con provvedimento definitivo il Garante può disporre la cessazione del comportamento illegittimo, indicando le misure necessarie a tutela dei diritti dell’interessato e assegnando un termine per la loro adozione. Se richiesto dalle parti, poi, il Garante può provvedere sulle spese. Infine, ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, possono essere disposte modalità di attuazione, sentite le parti. Dall’esame dei provvedimenti attribuiti alla competenza del Garante, alla stregua delle norme di cui alla sezione III del Titolo I, capo I, della Parte III tutela alternativa a quella giurisdizionale , può dunque escludersi che a tale Autorità sia attribuita la cognizione di domande risarcitorie. Il principio dell’alternatività delle tutele. La fondatezza di tale affermazione, tuttavia, va confrontata con il principio dell’alternatività delle tutele contenuto nei commi 2 e 3 dell’art. 145 d.lgs. n. 196/2003, secondo i quali a il ricorso al Garante non può essere proposto se per il medesimo oggetto e tra le stesse parti è stata già adita l’autorità giudiziaria b la presentazione del ricorso al Garante rende improponibile un’ulteriore domanda davanti all’autorità giudiziaria ordinaria tra le stesse parti e per lo stesso oggetto. Come espressamente stabilito dalle disposizioni citate, l’alternatività riguarda esclusivamente le domande aventi un identico oggetto, ovvero quelle che, se pendenti contestualmente davanti a più giudici, possono essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza. Tali possono essere solo le domande che richiedono interventi di natura preventiva, inibitoria o conformativa, potendo il Garante indicare modalità concrete di cessazione del trattamento illecito dei dati, mentre la domanda di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale ha causa petendi e petitum radicalmente divergenti ed è destinata ad una declaratoria d’inammissibilità se proposta davanti al Garante. Pronuncia del Garante e risarcimento del danno. In definitiva, l’accoglimento del ricorso, totale o parziale, da parte del Garante può facilitare il ricorso alla tutela risarcitoria davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, ma non escluderla. Diversa è la soluzione in caso di rigetto del ricorso da parte del Garante. In tale ipotesi, per adire l’autorità giudiziaria è necessaria l’impugnazione tempestiva del provvedimento di diniego, con conseguente facoltà di proporre la connessa domanda risarcitoria unitamente a quella relativa all'accertamento della illiceità del trattamento dei dati. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il provvedimento del Garante non è stato di rigetto integrale del ricorso proposto. Invero, per la parte più consistente d’illecito trattamento vi è stata l’adesione spontanea del titolare alla cancellazione dei dati. Esclusivamente rispetto ad essi i ricorrenti hanno proposto domanda risarcitoria, senza contestare la statuizione di non luogo a provvedere. Quest’ultima statuizione non può essere equiparabile ad un provvedimento di rigetto, in quanto si fonda sulla presa d’atto dell’adempimento spontaneo alla rimozione della situazione d’illecito trattamento di dati, sicché non può esservi alcun impedimento alla successiva tutela risarcitoria.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 luglio – 17 settembre 2014, numero 19534 Presidente Luccioli – Relatore Acierno Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da M.D. , M.L. e S. nonché D.C. ex art. 152, d.lgs numero 196 del 2003 nei confronti della Finegil Editoriale s.p.a. in qualità di editore della Gazzetta di Mantova e titolare del trattamento dei dati personali , del direttore responsabile G.E. e del giornalista B.C. , per aver pubblicato un articolo in data omissis in relazione ad un fatto di sangue il presunto omicidio della propria madre, perpetrato dal marito di M.M.L. occorso il omissis . Dalla lettura dell'articolo, nonostante l'espressa preventiva richiesta della famiglia M. di rispettare la privacy, con particolare riguardo alla figlia minore di M.M.L. , era del tutto decodificabile già dal titolo, l'identità della famiglia stessa grazie anche alla popolarità passata del padre di M.M.L. , M.D. , mentre nel testo venivano esplicitati i nomi di tutti, l'indirizzo di residenza, con foto di M.D. e riferimenti ai suoi trascorsi calcistici. La famiglia M. formulava formale interpello nei confronti dei responsabili del trattamento dei dati personali ai sensi degli artt. 7 e 146 d.lgs numero 196 del 2003 con il quale si richiedeva, tra l'altro, la cancellazione anche dall'archivio del sito internet della Gazzetta di Mantova dei dati trattati in violazione di legge e l'impegno a non compiere ulteriore trattamento dei dati in questione. Il titolare del trattamento l'editore e il direttore responsabile s'impegnavano a cancellare alcuni dati con esclusione di quelli relativi a M.M.L. , moglie della persona ritenuta responsabile dell'omicidio. La famiglia M. formulava allora richiesta di risarcimento dei danni per effetto del trattamento illecito dei dati e per violazione dell'art. 7 del d.lgs. numero 196 del 2003, quantificandolo in Euro 50.000. Tale richiesta veniva disattesa ed, al contrario, veniva respinto ogni addebito. Veniva allora proposto ricorso al Garante, con il quale si evidenziava, tra l'altro, di aver scoperto che uno stralcio dell'articolo in contestazione era stato diffuso ed era consultabile in internet nel sito espresso.repubblica.it e in altri siti del Gruppo Editoriale l'Espresso s.p.a Il titolare del trattamento, tuttavia, nel corso del procedimento davanti al Garante aderiva spontaneamente alla richiesta di cancellazione di alcuni dati ed alla loro rimozione da tutti i siti nome e cognome di D.C. e di M.S. , indicazione del rapporto di parentela tra le stesse, anno di celebrazione delle nozze di M.M.L. , indirizzo dell'abitazione di M.D. , impegnandosi peraltro a non utilizzare dati relativi a M.D. in correlazione al fatto di sangue. Il Garante, pertanto, provvedeva ex art. 14 9, comma 2 del d.lgs numero 196 del 2003 alla dichiarazione di non luogo a provvedere, mentre le altre richieste venivano rigettate in quanto infondate. Alla luce di questo provvedimento, i ricorrenti adivano il Tribunale di Roma perché accertasse l'illiceità del trattamento dei dati personali sui quali vi era stata adesione spontanea alla cancellazione e provvedesse al risarcimento dei danni. Le parti ricorrenti precisavano di non agire contro il provvedimento del Garante neanche per la parte relativa al rigetto delle loro domande e di limitare la richiesta risarcitoria al trattamento dei dati sui quali vi era stata adesione spontanea alla loro eliminazione. Il Tribunale, come osservato, con pronuncia ex art. 281 sexies cod. proc. civ., riteneva inammissibile l'azione qualificandola come impugnazione contro la pronuncia, ritenuta di rigetto, del Garante, con conseguente valutazione d'intempestività dell'impugnazione. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso M.D. , M.L. e S. nonché D.C. , affidato a sei motivi. Hanno resistito con controricorso la Finegil Editoriale s.p.a. in qualità di editore della Gazzetta di Mantova e titolare del trattamento dei dati personali , il direttore responsabile G.E. e il giornalista B.C. . Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 cod. proc. civ., per avere il Tribunale di Roma del tutto omesso di indicare le conclusioni delle parti e la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi di fatto e di diritto della decisione. Così operando, nella sentenza impugnata non sono stati indicati gli elementi atti a giustificare le ragioni della decisione. Dalla motivazione della sentenza non è risultato possibile comprendere quale sia stato l'iter logico-giuridico che ha condotto a qualificare il provvedimento del Garante come di rigetto, dal momento che il medesimo per numerose richieste dei ricorrenti aveva dichiarato il non luogo a provvedere per adesione spontanea del titolare e del responsabile del trattamento dei dati. Tale erronea qualificazione dell'azione ha determinato in via esclusiva l'inammissibilità del ricorso che non è stato proposto come impugnazione del provvedimento del Garante ma come autonoma domanda risarcitoria, non costituendo impedimento all'esercizio di tale diritto il provvedimento di non luogo a provvedere. Nel secondo motivo viene dedotta l'omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso consistente nell'aver qualificato come di rigetto integrale la pronuncia del Garante. In particolare, il Tribunale, avendo omesso una sia pur sintetica ricostruzione della controversia, non ha fornito alcuna spiegazione dell'equiparazione tra rigetto e non luogo a provvedere su cui si è fondata la decisione. Su tale cruciale profilo manca l'indicazione delle ragioni della conclusione assunta. Nel terzo motivo viene dedotta l'omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancanza dello svolgimento del processo, nonché assenza delle argomentazioni e conclusioni delle parti. Tale ultima omissione è stata cruciale perché le parti ricorrenti avevano spiegato che l'azione proposta non era un'impugnazione del provvedimento del Garante e che essi non intendevano contestare la statuizione di rigetto. Nel quarto e quinto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 149, secondo comma d.lgs numero 196 del 2003 per avere il Tribunale ritenuto che la decisione di non luogo a provvedere integri il rigetto del ricorso proposto al Garante, peraltro all'esito di una valutazione d'infondatezza mai intervenuta e precluda una successiva domanda risarcitoria. Nel sesto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 152 d.lgs numero 196 del 2003 per aver ritenuto applicabile alla specie il termine decadenziale previsto per l'impugnazione del provvedimento del Garante. I motivi del ricorso, in quanto logicamente connessi, possono essere trattati unitariamente. In primo luogo deve osservarsi che, nel caso di specie, la fase processuale relativa alla decisione della controversia davanti al Tribunale è regolata dal'art. 152, comma 10, del d.lgs numero 196 del 2003, ratione temporis applicabile dal 6/10/2011 sostituito dall'art. 10 d.lgs numero 150 del 2011 , secondo il quale Terminata l'istruttoria, il giudice invita le parti a precisare le conclusioni ed a procedere, nella stessa udienza, alla discussione orale della causa, pronunciando subito dopo la sentenza mediante lettura del dispositivo. . Il giudice può anche redigere e leggere, unitamente al dispositivo, la motivazione della sentenza, che è subito dopo depositata in cancelleria . Nel procedimento regolato dal citato art. 152 d.lgs numero 196 del 2003 era consentita al giudice monocratico di primo grado la lettura oltre che del dispositivo anche della motivazione della sentenza all'udienza di discussione. In mancanza di un espresso riferimento al modello processuale generale di decisione e motivazione semplificata, rinvenibile nell'art. 281 sexies cod. proc. civ., occorre stabilire preliminarmente se la norma speciale consentisse l'applicazione analogica di tale modello codicistico, con la conseguente ammissibilità dell'omissione dello svolgimento del processo e la limitazione della motivazione alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Poiché l'art. 152 prevede entrambi i modelli deliberativi previsti in via generale, ovvero il modello a trattazione scritta lettura del dispositivo con motivazione differita e il modello a trattazione orale lettura contestuale del dispositivo e della motivazione deve ritenersi che quest'ultima opzione riguardi le cause meno complesse e possa, conseguentemente, essere adottata in conformità all'art. 281 sexies cod. proc. civ. Peraltro, per le controversie instaurate successivamente al 6/10/2011 alle quali si applica l'art. 10 del d.lgs numero 150 del 2011, il modello di decisione e motivazione semplificata viene desunto dall'art. 429 primo comma, così come modificato per effetto dell'art. 53 d.l. numero 112 del 2008, convertito nella L. numero 133 del 2008, dal momento che tali controversie sono assoggettate al cd. rito del lavoro. Da tali premesse normative consegue che, sotto il profilo formale,il giudice della sentenza impugnata non era tenuto a pena di nullità ad esporre nella motivazione né le conclusioni delle parti, né lo svolgimento del processo Cass. 7268 del 2012 , dovendosi, tuttavia, valutare, in concreto, se vi siano omissioni che impediscano di ricostruire il percorso decisionale che ha condotto alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso. Al riguardo deve rilevarsi che la decisione ancorché in modo estremamente sintetico ha indicato l'iter logico giuridico seguito, partendo da precise premesse di fatto e di diritto - La pronuncia del Garante è di rigetto - L'azione davanti al Garante esclude in via radicale l'accesso alla giustizia ordinaria, consentendo esclusivamente l’impugnazione del provvedimento adottato da quest'ultimo - Nella specie qualificando l'azione proposta come impugnazione se ne è ravvisata la tardività. Non si rileva, in conclusione, la nullità della sentenza impugnata né sotto il profilo della formale assenza della riproduzione delle conclusioni delle parti, né sotto il profilo della radicale carenza delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda. Deve, pertanto, in concreto essere verificata la fondatezza delle asserzioni contenute nella pronuncia, alla luce delle contestazioni contenute nel ricorso. In primo luogo, deve rilevarsi che nel ricorso pag.8 sono riprodotti e non contestati dalla parte controricorrente i capi a e b della statuizione del Garante, recanti la formula del non luogo a provvedere giustificata dall'adesione spontanea del titolare del trattamento alla cancellazione dei dati sensibili ivi contenuti. In secondo luogo, deve osservarsi che la domanda risarcitoria avanzata davanti al Tribunale di Roma è esclusivamente incentrata sull'illegittimo trattamento dei dati relativi ai suddetti capi a e b con espressa esclusione di quelli che avevano dato luogo alle statuizioni di rigetto, [c , d , e cfr. pag. 9 del ricorso]. Anche tale circostanza risulta non contestata dalla parte controricorrente. Alla luce di queste premesse di fatto deve essere accertata, in primo luogo, la fondatezza dell'assunto relativo alla radicale alternatività tra l'azione [art. 141 lettera c ] davanti al Garante e quella davanti al giudice ordinario. La sentenza impugnata ha sostanzialmente fondato la propria decisione sul rilievo secondo il quale, una volta prescelto il canale della tutela davanti al Garante, il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria può assumere esclusivamente la forma dell'impugnazione della pronuncia del Garante, con conseguente inammissibilità di un'autonoma domanda risarcitoria. Il corollario, ancorché non esplicitato nella pronuncia impugnata, di tale assunto sembra essere quello di escludere ab origine l'accesso alla tutela risarcitoria, se successiva alla proposizione del ricorso davanti al Garante, così esaurendo il diritto del titolare dei dati alla tutela preventiva od inibitoria. Al riguardo deve rilevarsi che l'art. 15 del d.lgs numero 196 del 2003 stabilisce in via generale che chiunque cagioni un danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento, ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile. Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di trattamento non conforme alle modalità prescritte nell'art. 11. La tutela risarcitoria è rimessa in via esclusiva all'autorità giudiziaria ordinaria, sia alla luce dell'abrogato comma 12 dell'art. 152 del d.lgs numero 196 del 2003 sia alla stregua del vigente comma 6 dell'art. 10 del d.lgs numero 150 del 2011. L'esercizio del diritto al risarcimento del danno, non solo non patrimoniale, richiede la domanda della parte. I provvedimenti che possono essere adottati dal Garante, su ricorso proposto ex art. 141, lettera c d.lgs numero 196 del 2003, si articolano in misure di natura provvisoria e definitiva. Tra i primi vi sono il blocco in tutto od in parte dei dati o la sospensione del trattamento. In ordine ai provvedimenti definitivi il Garante può disporre la cessazione del comportamento illegittimo, indicando le misure necessarie a tutela dei diritti dell'interessato e assegnando un termine per la loro adozione. Se richiesto dalle parti, il Garante può provvedere sulle spese del procedimento. Infine, ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione possono essere disposte modalità di attuazione, sentite le parti. La statuizione sulle spese del procedimento costituisce, ove non opposta, titolo esecutivo. art. 150 d.lgs numero 196 del 2003 . Dall'esame dei provvedimenti attribuiti alla competenza del Garante in sede di tutela alternativa a quella giurisdizionale [così la sezione III del Titolo I Tutela amministrativa e giurisdizionale ], Capo I, della Parte III Tutela del'interessato e sanzioni può escludersi che a tale Autorità sia attribuita la cognizione di domande risarcitorie, da ritenersi coperta da riserva esclusiva di giurisdizione ordinaria. La fondatezza di tale ultima affermazione, tuttavia, deve essere confrontata con il principio dell'alternatività delle tutele contenuto nei commi 2 e 3 dell'art. 145 del d.lgs numero 196 del 2003, secondo i quali a il ricorso al Garante non può essere proposto se per il medesimo oggetto e tra le stesse parti è stata già adita l'autorità giudiziaria b la presentazione del ricorso al Garante rende improponibile un'ulteriore domanda davanti all'autorità giudiziaria ordinaria tra le stesse parti e per lo stesso oggetto. Come espressamente stabilito dalle disposizioni esaminate l'alternatività riguarda esclusivamente le domande aventi un identico oggetto, ovvero quelle che, se pendenti contestualmente davanti a più giudici, possono, in via generale, essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza. Si tratta delle domande che richiedono interventi di natura preventiva, inibitoria o conformativa, potendo il Garante indicare modalità concrete di cessazione del trattamento illecito dei dati. La domanda di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale ha causa petendi e petitum radicalmente divergenti da quelle sopra esaminate ed è destinata ad una declaratoria d'inammissibilità se proposta davanti al Garante. Peraltro, in numerose pronunce ex multis 19/2/2002 doc. web. 1063674 5 ottobre 2006 doc. web. 135919 , il Garante ha ritenuto inammissibile il ricorso contenente una domanda risarcitoria, ritenendosi privo di competenza al riguardo. L'accoglimento del ricorso, totale o parziale, da parte del Garante può, in conclusione, facilitare il ricorso alla tutela risarcitoria davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, ma non escluderla. Diversamente ragionando, dovrebbe ritenersi alternativamente che scelta la strada della tutela inibitoria e preventiva , sia negata quella risarcitoria, oppure che, nonostante il riconoscimento del trattamento illecito dei dati personali, la parte sia tenuta ad un'impugnazione del provvedimento del Garante al solo fine di richiedere il risarcimento del danno e non incorrere nella sanzione di tardività dell'azione. Quest'ultima soluzione è in netto contrasto con il canone costituzionale della ragionevolezza. La prima introduce un impedimento all'ottenimento della tutela piena di un diritto fondamentale quale quello in gioco, del tutto incompatibile con l'art. 24 Cost Diversa è la soluzione in caso di rigetto del ricorso da parte del Garante. In tale ipotesi, condicio sine qua non per adire l'autorità giudiziaria è l'impugnazione tempestiva del provvedimento di diniego, con conseguente facoltà di proporre la connessa domanda risarcitoria unitamente a quella relativa all'accertamento della illiceità del trattamento dei dati. Ma nella specie, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il provvedimento del Garante non è stato di rigetto integrale del ricorso proposto ma soltanto parziale. Per la parte più consistente d'illecito trattamento di dati denunciata nel ricorso vi è stata l'adesione spontanea del titolare alla cancellazione ed eliminazione dei dati in oggetto. Esclusivamente rispetto ad essi i ricorrenti hanno legittimamente proposto domanda risarcitoria, senza contestare non avendo alcun interesse al riguardo la statuizione di non luogo a provvedere, in quanto logicamente conseguente alla predetta adesione. Quest'ultima statuizione non può essere equiparabile ad un provvedimento di rigetto in quanto si fonda sulla presa d'atto dell'adempimento spontaneo alla rimozione della situazione d'illecito trattamento di dati sulle testate ed i networks del titolare del trattamento. La parte ricorrente ha prestato piena acquiescenza al provvedimento del Garante, sia nella parte relativa al rigetto, divenuta intangibile, sia nella parte relativa al provvedimento di non luogo a provvedere. In ordine a quest'ultima, tuttavia, la mancata impugnazione non ha determinato alcun impedimento alla successiva tutela risarcitoria proprio in virtù della mancanza di un provvedimento di rigetto. Il mancato accertamento della liceità od illiceità del trattamento non è derivato da un accordo tra le parti o dalla sopravvenuta carenza d'interesse dei ricorrenti ma esclusivamente dall'adesione spontanea da parte del titolare del trattamento all'accoglimento di alcune delle domande rivolte alla cancellazione definitiva di dati personali dei ricorrenti medesimi. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma la cognizione del giudice ordinario nella specie non subisce alcun vincolo da parte del pregresso provvedimento del Garante, limitatamente al trattamento dei dati personali contenuti nella statuizione di non luogo a provvedere, essendo mancato un accertamento pieno della loro natura e liceità. Deve, peraltro, evidenziarsi che, ai sensi del primo comma dell'art. 149 del d.lgs numero 196 del 2003, la comunicazione del ricorso al titolare a cura dell'ufficio del Garante al fine di far esercitare al titolare medesimo la facoltà di adesione spontanea si fonda su una preventivo vaglio di ammissibilità e non manifesta infondatezza del ricorso. Tale vaglio non è equiparabile ad una decisione di merito del Garante, così come l'adesione spontanea non può comportare l'esclusione dell'accertamento dei presupposti della fondatezza della tutela risarcitoria davanti all'autorità giudiziaria ordinaria. In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata con rinvio al Tribunale di Roma in diversa persona perché si attenga al seguente principio di diritto la statuizione di non luogo a provvedere assunta dal Garante della Privacy ex art. 149 secondo comma d.lgs numero 196 del 2003, derivante dall'adesione spontanea da parte del titolare del trattamento alla cancellazione e non utilizzazione di dati personali così come richiesto dagli interessati, non impedisce l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, né tale azione deve essere proposta nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento del Garante . P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente procedimento al Tribunale di Roma in diversa persona. In caso di diffusione omettere le generalità.