Incendio in azienda: quantum del sinistro… se non lo stabilisce il perito ci pensa il giudice

Se in una clausola di un contratto di assicurazione, che prevede una perizia contrattuale, è insito l’obbligo di rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, tale obbligo deve ritenersi cessato quando non sia più oggettivamente possibile l’espletamento della perizia.

Questo è quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 7531 del 1 aprile 2014. L’incendio del capannone. Una società conveniva in giudizio un gruppo assicurativo onde ottenere la dichiarazione di responsabilità contrattuale in relazione ad una polizza assicurativa con la stessa stipulata, e la condanna al pagamento di un indennizzo per i danni derivanti da un incendio occorso ad un proprio capannone. Il Tribunale adito accoglieva l’eccezione di improponibilità dell’azione sollevata dalle assicurazioni, successivamente avverso tale decisione, la società danneggiata ricorreva in appello. La Corte d’appello rigettava l’eccezione della convenuta e rimetteva la causa in istruttoria, pertanto il gruppo assicurativo ricorreva per cassazione. Le clausole contrattuali spiegano tutto. Le assicurazioni sostenevano che le parti, in conformità alle clausole contrattuali, avessero devoluto in via esclusiva alla procedura peritale, la determinazione del danno rinunciando ad adire l’autorità giudiziaria ordinaria, cosicché la Corte avrebbe errato nel ritenere proponibile la domanda giudiziale avanzata dalla società. Periti in contrasto. Per i giudici di legittimità la questione si fonda sul fatto che era occorso nel caso di specie un conflitto tra i periti di parte, in quanto quelli della società danneggiata, insistevano nella richiesta di determinazione dell’indennizzo, mentre quelli delle assicurazioni affermavano l’impossibilità di espletare l’incarico di accertamento del danno in quanto erano stati rimossi i detriti e non erano state conservate le tracce del sinistro. Per la Corte la circostanza che ad avviso della maggioranza dei periti, la perizia contrattuale, finalizzata alla determinazione del quantum risarcibile non potesse essere portata a termine, comportava una congrua valutazione del giudice di merito circa la possibilità di adire l’autorità giudiziaria. Quando l’obbligo viene meno. Infatti la Corte conclude ammettendo che se è indubbio che, nella clausola di un contratto di assicurazione, che preveda una perizia contrattuale, è insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto, è altrettanto vero che l’obbligo della rinunzia alla tutela giurisdizionale non può non ritenersi cessato quando l‘espletamento della perizia non sia più oggettivamente possibile per essere venuto meno, e definitivamente, l’oggetto, indispensabile, ai fini dell’accertamento peritale da espletare . Per questi motivi il Collegio non può accogliere le pretese del gruppo assicurativo ricorrente, e, pertanto rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 febbraio – 1 marzo 2014, n. 7531 Presidente Russo – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 10.1.2005 il Fallimento F.lli Piccin Autotrasporti S.p.a. conveniva in giudizio le Assicurazioni Generali Spa, la Navale Assicurazioni Spa, la Faro Spa, la Toro Assicurazioni Spa e la R.a.S. Spa per sentirne dichiarare la responsabilità contrattuale in relazione ad una polizza assicurativa con le stesse stipulata e per ottenerne la condanna in solido al pagamento dell'indennizzo di Euro 1.215.578,19 per i danni derivanti da un incendio occorso nel 1999 ad un suo capannone. In esito al giudizio, in cui si costituivano le Generali, la Navale, la Ras e la Faro eccependo in primo luogo la prescrizione del diritto e quindi l'improcedibilità della domanda, il Tribunale adito accoglieva l'eccezione di improponibilità dell'azione. Avverso tale decisione il Fallimento proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui si costituivano le Generali, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 2 aprile 2010 rigettava l'eccezione di improponibilità dell'azione e rimetteva la causa in istruttoria come da separata ordinanza. Avverso la detta sentenza le Assicurazioni Generali e la Navale assicurazioni hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Resiste con controricorso il Fallimento. Motivi della decisione Con l'unica doglianza, deducendo l'omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, parte ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto che le clausole nn. 18 e 19 delle Condizioni Generali di Assicurazione costituissero un sistema chiuso. Al contrario, tali clausole consentono di raggiungere lo scopo per cui sono dettate e cioè la quantificazione e la determinazione del danno, lasciando ad altre sedi la soluzione di tutti gli eventuali problemi giuridici inerenti il danno stesso. Ciò posto, avendo le parti, in conformità alle condizioni generali, devoluto in via esclusiva alla procedura peritale la determinazione del danno rinunciando ad adire l'autorità giudiziaria ordinaria, la Corte ha errato nel ritenere proponibile la domanda giudiziale avanzata dal Fallimento. La censura non coglie nel segno. A riguardo, torna utile premettere che la motivazione della sentenza, sul punto che interessa il tema della doglianza, si fonda essenzialmente sulla considerazione che le clausole 18 e 19 delle Condizioni Generali di Assicurazione, richiamate dal primo giudice, si limitano a disciplinare solo l'iter fisiologico della procedura peritale, vale a dire la costituzione del collegio e il disaccordo tra i periti, ma non anche l'ipotesi - verificatasi nella fattispecie - di mancato funzionamento del collegio peritale. Ciò determinerebbe - così continuano i giudici di secondo grado - una situazione di stallo, non superabile se non attraverso il ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1349 cc. Ora, a parte l'erroneità del riferimento all'art. 1349 sopra citato - norma applicabile in tema di arbitraggio e non già di perizia contrattuale come quella che interessa la presente vicenda, in quanto presuppone l'esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità mercantile, inconciliabili con l'attività strettamente tecnica dell'arbitro-perito - le ragioni della decisione appaiono chiare e meritano di essere condivise ove si soffermi l'attenzione sul contenuto della nota 2 in calce alla sentenza pag. 3 , in cui si chiarisce che la situazione di stallo era stata determinata dal fatto che, mentre il perito del Fallimento, ing. Sacchi, insisteva nella richiesta di determinazione dell'indennizzo, gli altri due periti, quello delle Assicurazioni ed il terzo, affermavano invece l'impossibilità di espletare l'incarico di accertamento del danno in quanto erano stati rimossi i detriti e non erano state conservate le tracce del sinistro. Da tale circostanza, dal fatto cioè che, ad avviso della maggioranza dei periti due su tre la perizia contrattuale, finalizzata alla determinazione del quantum risarcibile, non potesse essere portata a compimento ed avesse quindi esaurito ogni ragione di utile continuazione, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione che dovesse ritenersi legittimo il ricorso all'autorità giudiziaria. E ciò, al fine di consentire la necessaria tutela, cui aveva diritto il danneggiato. La soluzione adottata non merita censura. Ed invero, se è indubbio che, nella clausola di un contratto di assicurazione, che preveda una perizia contrattuale con il deferimento, ad un collegio di esperti, degli accertamenti da espletare in base a regole tecniche è insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto, è altrettanto vero che l'obbligo della rinunzia alla tutela giurisdizionale non può non ritenersi cessato quando l'espletamento della perizia non sia più oggettivamente possibile per essere venuto meno, e definitivamente, l'oggetto, indispensabile, ai fini dell'accertamento peritale da espletare. Ed è appena il caso di osservare come tale ipotesi non rientri affatto nelle previsioni dell'art. 18 e dell'art. 19 delle Condizioni Generali di Assicurazione, richiamate dalle parti ricorrenti, norme le quali si limitano a disciplinare casi assolutamente diversi, di disfunzione temporanea dell'attività arbitrale, come possono verificarsi nell'ipotesi della mancata nomina di un proprio perito a cura di una delle parti situazione risolvibile con la nomina di tale perito da parte del Presidente del Tribunale nell'ipotesi di disaccordo tra i primi due periti su un punto controverso situazione risolvibile con la nomina di un terzo perito nell'ipotesi di rifiuto della sottoscrizione da parte di uno dei periti situazione risolvibile con l'attestazione di tale rifiuto da parte degli altri due periti nel verbale definitivo di perizia. In definitiva, alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, deve ritenersi che il percorso argomentativo della Corte territoriale non merita censure. Ed invero, i giudici di secondo grado sono pervenuti alla conclusione attraverso un iter assolutamente corretto e lineare rispetto al quale il preteso vizio di motivazione della sentenza, sia sotto il profilo della contraddittorietà che della insufficienza, non può dirsi sussistente, apparendo la motivazione della Corte sufficientemente esaustiva, sia pure nella sua notevole sobrietà, e non ravvisandosi nel ragionamento svolto alcun contrasto, tanto meno insanabile, tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Ne deriva l'infondatezza della ragione di censura in esame. Ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 20.200,00 di cui Euro 20.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed Euro 200,00 per esborsi.