Compra azioni per controllare una società, ma il bilancio è falso: ha diritto al risarcimento?

La valutazione se la falsità oggettiva sia sufficiente ex se a provare il dolo costituisce una valutazione affidata al giudice di merito. Peraltro deve essere dimostrato dall’attore che la condotta dei venditori rientra nell’ambito del raggiro.

Con la sentenza n. 23207, depositata il 17 dicembre 2012, la Corte di Cassazione ha deciso su una questione di risarcimento danni a seguito di dolo contrattuale. Il contratto e le sue condizioni. Un uomo decide di comprare la partecipazione al controllo di una s.p.a. per il valore di 1miliardo di lire. La condizione è che il bilancio sia in regola con i principi di correttezza contabile e che non indichi perdite. Il venditore deve garantirlo da eventuali sopravvenienze passive. Il bilancio falso. A vendita ultimata, il compratore scopre la non veridicità del bilancio. Chiede il risarcimento per dolo. Il difetto di prova. Il Tribunale rileva, in mancanza di azione di annullamento del contratto per dolo determinante, l’inammissibilità della domanda di risarcimento conseguente a tale dolo. Inoltre l’azione risarcitoria subordinata per dolo incidente è infondata perché tale dolo non è provato. La Corte d’Appello conferma alla oggettiva falsità del bilancio non si accompagna la prova della consapevolezza dei cedenti di aver posto in essere una condotta complessivamente ingannatoria . Hanno infatti consentito all’acquirente di valutare dall’interno la situazione economica della società, prima della vendita, cooptandolo nel consiglio d’amministrazione. La mancanza di dolo determinante. La Cassazione ratifica le decisioni dei giudici di merito, non c’è alcun diritto al risarcimento del danno. E’ vero che, come sostenuto dal ricorrente, anche senza domanda di annullamento del contratto si può richiedere il risarcimento del danno per illecito della controparte, ex art. 2043 c.c., ma i giudici hanno comunque esaminato la domanda, deducendo che non sussiste un interesse giuridicamente apprezzabile alla mera qualificazione della domanda come risarcimento dei danni da dolo determinante anziché da dolo incidente . La falsità del bilancio, anche se viola una condizione contrattuale, non è prova automatica del dolo. Il ricorrente ritiene che dalla falsità del bilancio, vada in re ipsa considerato il dolo del venditore, viste le previsioni contrattuali. La S.C. sottolinea che la valutazione spetta al giudice di merito, che appunto non ha escluso il dolo perché con l’ordinaria diligenza si sarebbero potute scoprire la menzogna o la reticenza, ma ha ritenuto che la condotta dei venditori - cooptazione dell’acquirente ed accettazione di verifiche da parte di professionisti - era incompatibile con il dolo, in mancanza della prova da parte dell’attore che anche tale condotta rientrava nell’ambito del raggiro . Niente risarcimento e condanna alle spese. Infine, anche giungendo a considerare l’ipotesi di un raggiro colposo - domandato dal ricorrente, che però in sede di merito aveva chiesto il riconoscimento del raggiro doloso – si deve riscontrare che esso non può esistere, poiché nella condotta del raggiro c’è un profilo di intenzionalità, incompatibile con la mera condotta colposa. Visti questi motivi, la Corte conferma il mancato diritto del ricorrente al risarcimento del danno, condannandolo invece al rimborso delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 ottobre – 17 dicembre 2012, n. 23207 Presidente Carnevale – Relatore Di Amato Svolgimento del processo P.A.M. e le società Ararat s.r.l., Anga s.s. ed Elan s.s. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Torino la s.p.a. Tapiform nonché R.M.A. e S.C.E. , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni. In particolare, gli attori esponevano - che la s.p.a. Tapiform, della quale erano amministratori R. e S. , aveva pattuito, in data 27 novembre 1991, la cessione a P. della partecipazione di controllo nella s.p.a. Saiform, per il corrispettivo di lire 1.100 milioni - che l'accordo prevedeva, tra l'altro, sia la condizione che il bilancio alla data del 31 dicembre 1991, redatto secondo principi di correttezza contabile, non indicasse perdite, sia l'impegno del venditore a garantire il compratore da eventuali sopravvenienze passive, sia, infine, obblighi della Tapiform in relazione all'incasso dei crediti, alla realizzazione del magazzino ed alla prosecuzione degli ordinativi per sei mesi - che la cessione era stata perfezionata nel febbraio 1992 in favore delle tre società attrici, designate da P. - che era emersa la non veridicità del bilancio al 31 dicembre 1991 e della situazione patrimoniale e reddituale comunicata in sede di trattative - che, pertanto, ricorreva una ipotesi di dolo, quale vizio della volontà negoziale, e comunque una condotta illecita in sede di trattative. Con lo stesso atto di citazione il fallimento della s.r.l. Saiform chiedeva la condanna della s.p.a. Tapiform al risarcimento dei danni per i ritardi e le omissioni nell'assicurare l'incasso dei crediti aziendali e per avere ridotto gli ordinativi nei sei mesi successivi alla cessione. Il Tribunale, con sentenza del 23 luglio 2003, rigettava tutte le domande. In particolare, per quanto ancora interessa, il Tribunale riteneva che, in difetto di una azione di annullamento del contratto per dolo determinante, fosse inammissibile la domanda di risarcimento del danno conseguente a detto dolo l'azione subordinata di risarcimento del danno per dolo incidente era, invece, infondata, per mancanza di prova di tale dolo. P.A.M. e le società Ararat s.r.l., Anga s.s. ed Elan s.s. proponevano appello che la Corte di Torino rigettava, con sentenza del 3 marzo 2006, affermando, anzitutto, che era inammissibile per carenza di interesse la censura relativa alla ritenuta inammissibilità della domanda di risarcimento dei danni conseguenti a dolo determinante infatti, sia pure qualificando i dedotti raggiri come dolo incidente, il Tribunale aveva esaminato la domanda. Nel merito, la Corte affermava l'infondatezza delle censure relative alla ritenuta mancanza di prova di artifizi e raggiri, osservando che 1 la falsità del bilancio Saiform alla data del OMISSIS era stata convincentemente dimostrata dal CTU sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello della capacità di reddito, che rappresentava certamente una importante componente sulla valutazione economica dell'affare da parte dell'acquirente 2 alla oggettiva falsità del bilancio non si accompagnava, tuttavia, la prova della consapevolezza dei cedenti di avere posto in essere una condotta complessivamente ingannatoria in contrasto, infatti, con tale assunto si poneva la cooptazione in data 17.12.1991 di P. nel consiglio di amministrazione, in modo da consentirgli di valutare dall'interno la situazione economica della Saiform, avvalendosi anche dell'assistenza di professionisti e, in particolare, di un ragioniere da tempo addentro alla realtà della predetta società in quanto sindaco. P.A.M. e le società Ararat s.r.l., Anga s.s. ed Elan s.s. propongono ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi. La s.p.a. Tapiform nonché R.M.A. e S.C.E. resistono con controricorso illustrato anche con memoria. Il fallimento della s.r.l. Saiform non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1439, 1440 e 2043 cod. civ. nonché vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello non aveva chiarito se riteneva o meno ammissibile la domanda risarcitoria in assenza della domanda di annullamento del contratto viziato da dolo, mentre la conclusione positiva si imponeva sia con riferimento all'art. 2043 che con riferimento all'art. 1439 cod. civ., secondo quanto ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità. Come sostenuto dai ricorrenti, il contraente, il cui consenso risulti viziato da dolo, può richiedere il risarcimento del danno conseguente all'illecito della controparte, lesivo della libertà negoziale, sulla base della generalissima previsione in tema di responsabilità aquiliana, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., anche senza proporre contemporaneamente domanda di annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1439 cod. civ. Cass. 19 settembre 2006, n. 20260 Cass. 9 febbraio 1980, n. 921 Cass. 11 luglio 1968, n. 2445 . Ciò nonostante, il motivo è inammissibile in quanto la Corte di appello, esattamente come il Tribunale prima di essa, seppure senza chiarire il punto, ha comunque esaminato la domanda di risarcimento dei danni ex art. 2043 in relazione ai fatti dedotti ed in quanto non sussiste un interesse giuridicamente apprezzabile dei ricorrenti alla mera qualificazione della domanda come di risarcimento dei danni da dolo determinante anziché da dolo incidente. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1439, 1440, 1227, 2043 e 2697 cod. civ. nonché vizio di motivazione, lamentando che, una volta accertata la falsità oggettiva del bilancio al 31.12.1991, la Corte di appello non avesse ritenuto in re ipsa il dolo della venditrice, considerato che le parti avevano espressamente previsto l'esistenza di un bilancio redatto secondo i corretti principi contabili ed in pareggio come condizione e presupposto della vendita. Inoltre, con lo stesso motivo, i ricorrenti deducono che erroneamente la Corte di Torino aveva escluso il dolo in considerazione della cooptazione di P. nel consiglio di amministrazione, senza tenere conto che il dolo non era escluso dal fatto che con l'ordinaria diligenza si sarebbero potute scoprire la menzogna o la reticenza e senza considerare che, in una situazione nella quale l'inganno poteva emergere solo all'esito di una lunga istruttoria, la stessa cooptazione faceva parte del raggiro. Il motivo è infondato sotto il primo profilo. Dalle disposizioni invocate dai ricorrenti non discende affatto che la falsità oggettiva del bilancio, recante i risultati assunti dalle parti come condizione contrattuale, rilevi ex se come prova del dolo. La valutazione se la falsità oggettiva sia sufficiente ex se a provare il dolo costituisce, infatti, una valutazione affidata al giudice di merito. Sotto il secondo profilo il motivo è, invece, inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi. La Corte di appello non ha escluso il dolo perché con l'ordinaria diligenza si sarebbero potute scoprire la menzogna o la reticenza, ma ha ritenuto che la condotta dei venditori cooptazione di P. ed accettazione di verifiche da parte di professionisti era incompatibile con il dolo, in mancanza della prova da parte degli attori che anche tale condotta rientrava nell'ambito del raggiro. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva escluso il dolo omettendo di valutare alcuni elementi decisivi quali 1 il ristretto lasso di tempo tra il momento in cui P. aveva assunto la carica di amministratore in Saiform OMISSIS e la data in cui il bilancio era stato distribuito ai componenti del consiglio di amministrazione ed era stato approvato OMISSIS tale ristretto lasso di tempo, infatti, non avrebbe consentito allo stesso P. di controllare la correttezza dei criteri e principi applicati nella redazione del bilancio, come invece illogicamente ritenuto nella sentenza impugnata 2 la complessità della situazione contabile rendeva irrilevante il fatto che P. si era avvalso della consulenza di un ragioniere peraltro, il fatto che lo stesso fosse sindaco della società evidenziava un chiaro conflitto di interessi 3 il mancato accesso di P. ai dati contabili contenuti in archivi informatici tenuti presso la Tapiform s.p.a. ed il fatto che sino a novembre 1991 S. , amministratore delegato sia di Saiform che di Tapiform, forniva i bilanci mensili della prima sulla base dei dati rilevati nella contabilità tenuta dalla seconda. Il motivo è inammissibile in quanto non corredato del momento di sintesi ex art. 366 bis c.p.c. tale rilievo assorbe quello relativo alla mancanza di decisività delle circostanze non valutate, rappresentando le stesse soltanto elementi di giudizio suscettibili di apprezzamento ai fini dell'accertamento della situazione soggettiva dei venditori. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1439, 1440 e 2043 cod. civ. nonché vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva dato rilievo ai soli fatti dolosi e non anche a quelli colposi, malgrado la risarcibilità dei danni subiti da chi sia stato fatto oggetto di illecito contrattuale a mente degli artt. 1439 e 1440 cod. civ. deve essere riconosciuta in base alla generalissima previsione dell'art. 2043 cod. civ. Il motivo è inammissibile in quanto il fatto dedotto a fondamento dell'azione è il raggiro doloso d'altro canto deve escludersi la configurabilità di un raggiro colposo rilevante ai fini del dolo incidente poiché dal concetto di raggiro, nel quale si annida un profilo di intenzionalità, esula la mera condotta colposa e poiché, comunque, l'art. 1440 c.c. richiede ai fini del dolo incidente la mala fede del contraente. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 12.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.