Colpo in gioielleria, rapinatori favoriti dal ‘blocco’ dell’allarme. Sabotaggio? No, malfunzionamento. E la ditta installatrice deve risarcire...

Fattaccio in pieno centro e per giunta nelle vicinanze delle forze dell’ordine. Il sistema di sicurezza, collegato con la Questura, non funziona il commesso preme il pulsante, ma non parte alcun segnale A rispondere dei danni, con risarcimento ad hoc, dovrà essere la ditta che ha installato l’impianto e che avrebbe dovuto garantire anche la manutenzione.

Centro storico, gioielleria rinomata boccone appetitoso per i rapinatori. Che, difatti, mettono a segno il colpo, avvantaggiati, però, da un imprevisto tecnico, ossia il mancato funzionamento del sistema di allarme. Quale il problema? Manutenzione difettosa, scoperta a posteriori . E allora il titolare dell’attività commerciale ha pieno diritto ad essere risarcito dalla struttura che ha installato l’impianto Cassazione, sentenza numero 12879, terza sezione civile, depositata oggi . Piatto ricco Quasi 180milioni di vecchie lire ecco il bottino della rapina realizzata da alcuni rapinatori ai danni di una gioielleria, piazzata nel centro storico di una città del Mezzogiorno. A rendere complicata la vicenda è il mancato funzionamento del sistema di allarme, con tanto di collegamento alla vicina Questura, approntato dall’allora Sip, oggi Telecom. Proprio tale azienda viene convenuta in giudizio dal titolare della gioielleria per rispondere dei danni subiti a seguito della rapina. Richiesta legittima? Risposta positiva in Tribunale, risposta negativa in Appello. E nodo gordiano, ancora da sciogliere, è l’ipotesi di una responsabilità contrattuale a carico della Telecom Sicurezza. Inevitabile riprendere in esame i fatti, ossia la rapina e il malfunzionamento dell’impianto di allarme, ed è ciò che fanno i giudici di Cassazione, per valutare con attenzione il ricorso proposto dal titolare della gioielleria. Quest’ultimo, in particolare, attraverso il proprio legale, sostiene la tesi dell’ inadempimento contrattuale da parte della ‘vecchia’ Sip, e contesta la visione dei giudici di Appello, per i quali non si poteva ragionevolmente ritenere che se l’allarme avesse funzionato, la rapina sarebbe stata sventata si tratta, secondo il legale, di una visione illogica, soprattutto considerando che la misura di ‘pronto allarme’ e il collegamento con le forze dell’ordine, dislocate a breve distanza, erano misure di prevenzione idonee a mettere in fuga i rapinatori od a consentirne la cattura con un pronto intervento . Tutto ciò, però, non si era concretizzato a causa del black-out del sistema di allarme, rivelatosi non funzionante nonostante il commesso avesse premuto il pulsante . Ebbene, per i giudici è evidente l’inadempimento della Sip che aveva affittato il sistema di allarme con garanzia di continuo ed efficiente collegamento con le forze dell’ordine . Perché la parte danneggiata, ossia la gioielleria, ha evidenziato il nesso tra la condotta illecita dei rapinatori e il mancato funzionamento dell’apparato di allarme , garantito dalla Sip da contratto, mentre proprio la società avrebbe dovuto dimostrare che l’allarme era stato sabotato e non che vi fosse una difettosa manutenzione . Di conseguenza, la richiesta avanzata dal titolare della gioielleria è legittima, e difatti i giudici di Cassazione riaffidano la questione alla Corte d’Appello, che dovrà prendere una decisione anche in tema di quantum , ossia di risarcimento per danno emergente e lucro cessante.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 aprile – 24 luglio 2012, n. 12879 Presidente Trifone – Relatore Petti Svolgimento del processo l. Nel pomeriggio del 29 novembre 1986 in Reggio Calabria avvenne una rapina nella Gioielleria Marino con asporto di gioielli e valori per circa 116 milioni di lire. Con citazione del 9 giugno 1997 la Gioielleria conveniva dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria la società SIP SPA che aveva installato un sistema di allarme collegato alla Questura, che non era entrato in funzione al momento della rapina. Si costituiva la SIP e contestava il fondamento delle pretese sostenendo che il contratto di noleggio non prevedeva responsabilità per il fatto del terzo. La causa era istruita con prove orali e per interpello il commesso sosteneva di avere azionato il pulsante dell’allarme, ma senza esito. 2. Il Tribunale di Reggio Calabria, sezione stralcio, con sentenza del 6 dicembre 2010 accoglieva la domanda per inadempimento contrattuale e condannava al risarcimento dei danni ma in misura inferiore al chiesto. 3. Contro la decisione proponeva appello principale la Telecom, chiedendone la riforma e appello incidentale la Gioielleria in ordine alla liquidazione del lucro cessante. 4. La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 10 settembre 2009 accoglieva l’appello principale ed in riforma della sentenza del tribunale rigettava la domanda della Gioielleria, compensando tra le parti le spese dei due gradi del giudizio. 5. Contro la decisione ricorre la Gioielleria deducendo tre motivi di ricorso. Non resiste Telecom ritualmente citata. Motivi della decisione 6. Il ricorso merita accoglimento. Per chiarezza espositiva se ne offre la sintesi dei motivi ed a seguire le ragioni di accoglinento. 6.1. Sintesi dei motivi. Nel primo motivo si deduce error in iudicando per la violazione degli artt. 1221, 1223, 1225, 1226 c.c. la violazione degli artt. 2717 e 2729 c.c. in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. La violazione delle norme sopraindicate, in relazione alle prove raccolte sulle modalità della rapina, e sul mancato funzionamento dell’impianto di allarme per un difetto di contatti non rilevato dalla SIP, costituisce prova di un inadempimento contrattuale, che la stessa Corte di appello ha rilevato tuttavia la Corte ha argomentato che ‘‘non sussiste la prova rigorosa della riconducibilità causale allo incontestato inadempimento della Telecom’’ non potendosi ragionevolmente ritenere che se il teleallarme avesse funzionato la rapina sarebbe stata sventata. Il motivo argomenta la irragionevolezza di tale tesi, posto che la misura di pronto allarme ed il collegamento con le forze dell’ordine dislocate a breve distanza erano misure di prevenzione idonee a mettere in fuga i rapinatori od a consentirne la cattura con un pronto intervento. Nel secondo motivo si deduce il vizio della motivazione su fatto decisivo e controverse e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla costituzione di prova di fatti non contestati, in ordine alla centralità della gioielleria in Corso Garibaldi ed alla vicinanza con la questura ed al servizio di pronto intervento che l’allarme avrebbe attivato, avendo il connesso premuto il pulsante. Nel terzo motivo si denuncia la omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni con violazione degli artt. 1223 e 1226 del codice civile. 7. Ragioni di accoglimento. La trattazione dei motivi è unitaria in relazione alla consequenzialità del fatto dannoso da illecito contrattuale. Evidente lo inadempimento della SIP che affitta il sistema di allarme con garanzia di continuo ed efficiente collegamento con le forze dell’ordine. Garanzia non interrotta dal fatto della possibilità della rapina, posto che la parte utente era una gioielleria e che la rapina era probabile, data la notorietà dell’esercizio. La Sip ha inoltre evitato la produzione del contratto. La prova della causalità del danno segue le regole di cui all’art. 1223 del codice civile, ed il criterio della consequenzialità diretta ed immediata, esige la prova, da parte del danneggiato adempiente della esistenza del fatto dannoso - la rapina - e del diretto nesso causale tra la condotta illecita dei rapinatori ed il mancato funzionamento dell’apparato di sicurezza e di allarme che la SIP assicurava per contratto. Vedi in tal senso Cass. 1 marzo 2007 n. 4791 e Cass. 31 agosto 2005 n. 17562. La SIP che garantiva l’apparato di sicurezza e di allarme aveva l’onere di dare la prova che l’allarme era stato sabotato, non già che vi fosse una difettosa manutenzione, che le incombeva come obbligo. La prova del danno è stata dedotta e documentata, ma per la sua determinazione occorre una stima in relazione al danno emergenze ed al lucro cessante, onde la opportunità che la valutazione equitativa ma circostanziata sia data dal giudice del merito. La cassazione è dunque con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopraindicati e liquiderà il danno patrimoniale sotto entrambi i profili del danno emergente e del lucro cessante, anche in via equitativa. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte di Reggio Calabria in diversa composizione anche per le spese dei giudizio di cassazione.