Collirio no stop e nessuna visita specialistica, grave responsabilità dell’oculista

Riconosciuto il risarcimento oltre 445mila euro anche per i danni legati alla ridotta capacità relazionale e lavorativa. Dimostrato il nesso tra le prescrizioni del medico e la menomazione visiva provocata al paziente. Di rilievo anche l’omissione sul fronte del consenso informato.

Omissione sul fronte del consenso informato e colpa professionale nell’indicazione di una terapia assolutamente negativa e nel non aver provveduto a suggerire una visita specialistica. Ecco gli elementi che portano alla condanna di un oculista, con tanto di risarcimento dei danni, per un ammontare di quasi 500mila euro Cassazione, sentenza numero 26993, terza sezione civile, depositata il 15 dicembre . Collirio pericoloso. Semplice arrossamento agli occhi. Questo il lieve problema che affligge un giovane. Logico il consulto dal proprio oculista di fiducia, che gli prescrive un collirio, però senza ulteriori controlli specialistici . Fin qui tutto regolare. La situazione, però, si aggrava, ma l’uso del collirio viene ulteriormente prolungato, sempre a seguito di specifiche prescrizioni dell’oculista. Risultati? Disturbi visivi più gravi, ricoveri ospedalieri, glaucoma da cortisone, e, infine, un intervento chirurgico. Quest’ultima operazione, però, serve a salvare il salvabile il giovane, difatti, si ritrova con una menomazione visiva ad entrambi gli occhi . Danni da risarcire? La battaglia giudiziaria è doppia da un lato, la responsabilità dell’oculista dall’altro, il riconoscimento dei danni subiti dal giovane. I due lati, ovviamente, sono strettamente connessi Ma in primo grado le aspettative del giovane vengono frustrate nessuna responsabilità professionale a carico dell’oculista. Situazione completamente ribaltata, però, in Appello in questo contesto viene riconosciuto un risarcimento pari a oltre 445mila euro – per i danni patrimoniali e morali, anche in relazione alla ridotta capacità relazionale e lavorativa –, alla luce delle colpe del medico. Quali colpe? Aver prescritto un uso prolungato del collirio, anche in mancanza del cosiddetto consenso informato . Quale inadempimento? Per l’oculista, quindi, l’unica exit strategy è quella del ricorso in Cassazione, finalizzato ad alleggerire la propria posizione. In questa ottica, viene affermato che non risulta accertato che il rapporto contrattuale col paziente abbia avuto una non corretta esecuzione ed abbia dato luogo ad uno specifico inadempimento da parte del medico , e, ancora più chiaramente, che manca, da parte del presunto danneggiato, l’allegazione specifica del fatto dell’inadempimento, con la precisa individuazione del fatto lesivo, fonte dei danni conseguenti , anche con riferimento al ritenuto difetto di informazione . Nesso pacifico. Tuttavia, la ricostruzione dei fatti, così come delineata in Appello, è chiara, netta e, soprattutto, condivisa. Con la definizione ‘ricostruzione dei fatti’ si ricomprende la patologia del paziente ovvero glaucoma secondario da cortisone e il relativo legame coll’ uso protratto del collirio a base di cortisone . Di conseguenza, secondo i giudici, si può affermare con certezza il nesso di causalità tra l’uso del farmaco in questione e l’evento lesivo . Ancora più significativo, poi, è il richiamo alla documentazione prodotta dal giovane danneggiato, ovvero la prescrizione della visita specialistica effettuata dall’oculista sotto accusa. Evidente la conseguenza che se ne può trarre il medico accerta la gravità della situazione ma non si perita di prescrivere immediatamente una visita specialistica . Anzi, l’unica visita specialistica è quella effettuata dall’oculista, però quando ormai la malattia era nella fase irreversibile . Per chiudere, poi, il medico non ha neanche dimostrato di aver adempiuto all’obbligo di informazione . Ecco perché il corposo risarcimento riconosciuto in Appello viene confermato, assieme all’attestazione della responsabilità professionale dell’oculista.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 ottobre – 15 dicembre 2011, n. 26993 Presidente Filadoro – Relatore Musso Svolgimento del processo Con atto di citazione notificata in data 17.11.1993 F. R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trani I.G., deducendo che nel 1989, a seguito di un arrossamento agli occhi, si era recato presso lo studio del convenuto, suo medico curante il quale gli aveva prescritto l'uso di un collirio il Betaptioptal senza ulteriori controlli specialistici che, a causa di detto collirio e del suo uso protratto nel tempo a seguito di successive prescrizioni di detto medico , aveva iniziato ad avvertire disturbi visivi, con conseguente ricovero ospedaliero in Chieti E' poi in Siena, ove veniva sottoposto a terapie di vario genere per essere risultato affetto da un glaucoma da cortisone che, inoltre, a seguito anche di un intervento chirurgico aveva subito una menomazione visiva ad entrambi gli occhi. Chiedeva quindi il risarcimento di danni patrimoniali e morali anche in relazione alla ridotta capacità relazionale e lavorativa. Costituitosi il F. che affermava, a sua volta, di essere esente dalla responsabilità per aver prescritto il detto farmaco solo per un periodo di tempo limitato, espletata. consulenza di ufficio, l'adito tribunale di Trani, con sentenza n. 397/2003, rigettava la domanda non ritenendo sussistere alcuna responsabilità professionale a carico del F. A seguito dell’appello di quest’ultimo, costituitosi l’I., la Corte d’Appello di Bari, con la decisione in esame depositata in data 29.4.2009, in riforma di quanto statuito in primo grado, condannava l'I. al pagamento della somma di € 445.098,00, con interessi legali dalla data della pronuncia al soddisfo non adottando alcun provvedimento sulla domanda di garanzia proposta in primo grado confronti dell'Allsecures, in seguito Axa Assicurazioni, non essendo stata la stessa riproposta in appello . Affermava, in particolare, la Corte di merito che la patologia del F. era ascrivibile al di là di ogni ragionevole dubbio” alla colpa professionale dell'I. che aveva prescritto un uso prolungato del collirio in questione anche in mancanza del cosiddetto consenso informato. Ricorre per Cassazione l'I. con un unico articolato motivo, assistito da memoria resiste con controricorso il F Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso, e relativi quesiti, si deduce violazione degli artt. 1218, 1223, 1227. 2043, 2697 c.c. si afferma in proposito che contrariamente a quanto affermato in motivazione, come emerge dalla ricostruzione dei fatti, non risulta minimamente accertato che il rapporto contrattuale tra l'I. e il suo paziente abbia avuto una non corretta esecuzione ed abbia dato luogo ad uno specifico inadempimento da parte del medico nel caso di specie manca, da parte del presunto danneggiato l'allegazione specifica del fatto dell' inadempimento, con la precisa individuazione del fatto lesivo, fonte dei danni conseguenti, riscontrabili ex art. 1223 c.c., e ciò anche con il riferimento al ritenuto difetto di informazione . Il ricorso è inammissibile perché, a fronte di un'ampia e logica motivazione, prospetta alla Corte circostanze di fatto e documentali non ulteriormente esaminabili nella presente sede di legittimità. Infatti la Corte di merito ha, come detto, con adeguate argomentazioni e sulla base di un compiuto esame delle risultanze processuali, dato conto della ratio decidendi , in particolare affermando che il F. è risultato affetto da glaucoma secondario da cortisone circostanza pacifica, accertata dal ctu e risultante dalle cartelle cliniche in atti, oltre che dalle consulenze, tanto del F., quanto della stessa società assicuratrice in giudizio tale patologia è stata causata altra circostanza inoppugnabile, ammessa sia dal ctu sia dai consulenti di parte dall’uso protratto del collirio a base di cortisone anzi, precisando meglio l’iter eziologico, l’abuso di cortisone provoca l’ipertensione oculare, a sua volta responsabile della patologia glaucomatosa. Sicchè si può affermare con certezza che il nesso di causalità tra l'uso del farmaco in questione e l'evento lesivo è stato accertato al di là di ogni ragionevole dubbio e che ebbene, a fronte di tali dichiarazioni, si può dire che la realtà è un’altra, posto che l’appellante ha prodotto la prescrizione della visita specialistica oculistica del dr. I. che reca la data del 4.12.1931 la visita fu effettuata poi appena due giorni dopo . Quindi, a stare alla stessa versione dell'I., egli sin dalla primavera del 1991 accerta la gravità della situazione, ma non si perita di prescrivere immediatamente una visita specialistica, dal momento che è inconfutabilmente provato che la sua prescrizione reca la data del 4.12.1991”, per poi concludere, con riguardo al consenso informato, che l’I., pur gravato dell’onere di provare di aver adempiuto all’obbligo di informazione, ha mancato la prova inoltre, le risultanze processuali consentono di affermare che l’unica visita specialistica prescritta è quella del 4.12.1991, quando ormai la malattia era anella fase irreversibile”. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi € 3.200,00 di cui € 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessorie come per legge.