Il cane morde il postino nel giardino di casa. Sussiste comunque la responsabilità per i danni cagionati dall'animale

La Corte di Cassazione conferma che la responsabilità per danno cagionato da animali, ex art. 2052 c.c., sussiste anche se il cane morde nel giardino della casa il postino che è entrato senza suonare il citofono.

La questione. Un postino chiedeva il risarcimento dei danni subiti per essere stato aggredito dal cane del proprietario dell’abitazione presso cui si era recato a consegnare la corrispondenza. Il proprietario del cane si era difeso eccependo che il postino si era introdotto nel vialetto che conduceva all’abitazione senza suonare il campanello e senza aspettare che i proprietari andassero a prelevare la posta. Inoltre, la corrispondenza era stata consegnata regolarmente il danno era avvenuto successivamente, quando, nel tornare indietro, il postino aveva tenuto una velocità eccessiva rispetto ai luoghi. La domanda del postino veniva accolta in primo grado ed in appello. Il proprietario del cane, quindi, si rivolge alla Cassazione, che rigetta il ricorso. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 2052 c.c. Nel giudizio di cassazione, in particolare, il ricorrente prospetta due questioni di legittimità costituzionale. La prima eccezione di incostituzionalità riguarda l’art. 2052 c.c., relativo alla responsabilità per danno cagionato da animali, per la parte in cui tale disposizione non esclude dalla propria sfera di applicabilità il danno cagionato in un’area non aperta al pubblico. La Corte ritiene la questione infondata la pericolosità dell’animale, infatti, permane anche in aree non aperte al pubblico. È, inoltre, conforme alla costituzione l’applicazione della norma sia in riferimento ad aree aperte al pubblico che nel caso contrario. La moglie in comunione dei beni può testimoniare? In secondo luogo, il ricorrente denuncia questione di legittimità costituzionale dell’art. 246 c.p.c., per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6, par. 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo ai sensi dell’art. 246 c.p.c., infatti, la Corte d’appello aveva rigettato la richiesta di escussione della moglie del proprietario del cane, in comunione dei beni, quale teste. Il rigetto della richiesta istruttoria sarebbe fondato su una norma illegittima, per contrasto, come detto, dell’art. 6 CEDU, nella parte in cui esclude la capacità a testimoniare laddove una delle parti sia onerata della prova di un fatto cui abbia assistito la sola persona astrattamente incapace o i litiganti. La questione, per la Cassazione, è manifestamente infondata perché il limite alla prova testimoniale è giustificato. L’art. 246 c.p.c. non prevede l’incapacità a testimoniare del coniuge in comunione dei beni, ma esprime un principio di carattere generale secondo cui non possono testimoniare persone aventi un interesse nella causa che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio pertanto, non è la qualità di coniuge a rendere incapace di testimoniare, ma l’esistenza di un interesse nella causa. Nel caso in esame, il coniuge ha chiaramente un interesse giuridico all’esito della causa, in quanto i coniugi sono in comunione dei beni ed il postino ha chiesto un risarcimento economico, a seguito del morso del cane, che avrebbe depauperato entrambi i coniugi.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 novembre – 6 dicembre 2011, n. 26205 Presidente Filadoro – Relatore D’Amico Svolgimento del processo S.F. convenne in giudizio B. F. chiedendo il risarcimento dei danni subiti per essere stato aggredito dal cane di quest’ultimo presso la cui abitazione si era recato per consegnare la posta. Il convenuto negava ogni responsabilità rilevando che l’attore si era introdotto nel vialetto che conduceva alla sua abitazione senza la cautela di suonare il campanello ed attendere che qualcuno venisse a prelevare la posta che la consegna della corrispondenza era avvenuta regolarmente e che nel tornare indietro il postino aveva tenuto una velocità eccessiva rispetto ai luoghi, così cadendo a terra. Secondo il F. non sussisteva perciò alcun nesso causale fra l’incidente ed il comportamento dei suoi cagnolini. Il Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Castelfranco Veneto, condannò B.F. al pagamento di € 12.894,32, oltre accessori. Proponeva appello B. F. chiedendo la riforma dell’ impugnata sentenza, il rigetto della domanda avversaria o in subordine la riduzione della stessa. La Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello, confermava l’impugnata sentenza e rifondeva a S. F. le spese del grado. Propone ricorso per cassazione B. F. con due motivi. Resiste con controricorso S. F. che presenta memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo parte ricorrente denuncia In relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione dell’art. 2054 c.c., e comunque dell’art. 2050 c.c. per quanto di ragione. Conseguenti falsa applicazione dell’art. 2052 c.c., per mancato coordinamento con la previsione degli art. 2050 e 2054, e violazione dell’ art. 1227 c. c. Questione subordinata di legittimità costituzionale. B.F. sostiene che la Corte d’Appello di Venezia ha erroneamente omesso di applicare nei confronti del S.F. la presunzione di responsabilità di cui all’ art. 2054, primo comma, c.c. In particolare critica la tesi secondo la quale la presunzione di cui alla suddetta norma non sarebbe applicabile qualora l’evento dannoso si fosse verificato su una strada privata. Ritenuto che l’art. 2054 c.c. è riconducibile al principio di cui all’art. 2050 c.c., sostiene parte ricorrente che la prima disposizione andrebbe perciò svincolata dalla sua correlazione con la circolazione su strada pubblica. La Corte, secondo parte ricorrente, avrebbe dovuto anche escludere la responsabilità del B. F. ex art. 2052 c.c. ed applicare l’art. 1227 c.c. con conseguente riduzione dell’entità del risarcimento. La tesi è infondata. Secondo la Corte di cassazione infatti i criteri decisivi per individuare l’ambito di applicazione dell’art. 2054 c.c. e delle regole in tema di assicurazione obbligatoria non consistono necessariamente nella natura privata o pubblica dei diritti di proprietà sulla stessa, né nel fatto che essa sia collocata in una od altra posizione rispetto ad uno stabile di proprietà privata consistono invece nell’apertura o meno dell’area stessa all’uso pubblico, in termini tali per cui risulti ordinariamente adibita al traffico veicolare Cass., 23 luglio 2009, n. 17279 . Nel caso in esame l’incidente è avvenuto proprio all’interno della proprietà privata di B.F., dopo che il S.F. aveva superato il cancello d’entrata, quindi all’interno di un ‘area non aperta al pubblico transito. Esclusa l’applicabilità dell’art. 2054 c.c., essendo stato il danno cagionato da animali, deve essere applicato l’art. 2052 c.c. In subordine, nel medesimo motivo, parte ricorrente sostiene l’illegittimità costituzionale dell’art. 2054 c.c. ove non diversamente interpretabile ovvero alternativamente dell’art. 2052 c.c. ove non corrispondentemente interpretabile . Secondo parte ricorrente, in particolare, l’art. 2054 c. c. sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., per disparità di trattamento, ove lo si considerasse applicabile soltanto alle ipotesi di circolazione su strada pubblica. La questione è infondata. Come si è visto infatti l’applicabilità dell’art. 2054 c.c. non si collega tanto al carattere privato o pubblico dell’area quanto alla sua apertura o no al pubblico transito. La pericolosità del fenomeno circolatorio è proprio legata alla pluralità dei soggetti coinvolti nel caso in cui lo stesso si svolga su aree aperte al pubblico, mentre tale carattere è assente ove la circolazione non sia consentita ad un numero indeterminato di soggetti. La relativa diversità di disciplina appare pertanto ragionevole. La questione di legittimità costituzionale deve essere prospettata, secondo parte ricorrente, anche con riferimento all’art. 2052 c.c., per la parte in cui tale disposizione non esclude dalla propria sfera di applicabilità il danno cagionato da animali in un’area non aperta a pubblico. Anche in questo caso deve escludersi l’eccezione di incostituzionalità. La pericolosità dell’animale permane infatti anche in aree non aperte al pubblico ed è conforme a costituzione l’applicazione della norma sia in riferimento ad aree aperte al pubblico che nel caso contrario. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 246 c.p.c. per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione all’ art. 6 § 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Conseguente falsa applicazione della norma predetta. Il ricorrente e si duole che la Corte d’ Appello abbia rigettato la richiesta di escussione della teste I. B. moglie di B. F. Il rigetto della richiesta istruttoria, secondo il ricorrente, sarebbe fondato su una norma illegittima in quanto contrastante con il § 6 della CEDU, fonte avente rango costituzionale o comunque sovraordinato alla legge ordinaria. Sostiene parte ricorrente che è rilevante e non manifestamente infondata la questione d’illegittimità costituzionale dell’art. 246 c.p.c. nella parte in cui esclude la capacità a testimoniare laddove una delle parti sia onerata della prova di un fatto al quale abbia assistito la sola persona astrattamente incapace o i litiganti, per contrasto con la disposizione dell’ art. 6 § 1 CEDU e quindi per violazione mediata dalla lesione della norma interposta dell’art. 117, comma 1 Cost. La questione è manifestamente infondata perché il limite alla prova testimoniale è giustificato. Se infatti nelle liti fra privati l’uguaglianza delle armi implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte litigante la possibilità di presentare le sue prove in condizioni che non la pongano in una situazione di netto svantaggio in rapporto al suo avversario è chiaro che consentire la testimonianza del coniuge in comunione di beni con una delle parti non sarebbe affatto equo costituendo invece un vantaggio per la parte coinvolta. L’art. 246 c.p.c. non prevede tanto l’incapacità a testimoniare del coniuge in comunione di beni, ma esprime un principio di carattere generale secondo cui non possono essere assunte come testimoni persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Non è dunque la qualità di coniuge a rendere incapace di testimoniare bensì l’esistenza di un interesse nella causa. E non è irragionevole l’equiparazione alle parti dei soggetti portatori di interessi assimilabili a quelli delle parti stesse. Nel caso di specie avendo il coniuge un interesse giuridico all’esito della causa, lo stesso non può essere chiamato a testimoniare. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi € 2.200,00 di cui € 2.000, 00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.