L’assicurazione del medico copre anche le attività in regime di servizio sanitario convenzionato?

Se l’assicurazione stipulata dal medico è limitata ai rischi derivanti da attività libero professionale, non sono coperti i danni derivanti da attività eseguita in regime di servizio sanitario convenzionato.

La questione. Riconosciuta la responsabilità per danni derivanti da un intervento chirurgico, il medico condannato al risarcimento chiedeva manleva alla società con cui aveva stipulato contratto di assicurazione professionale. La società contestava come la polizza coprisse i soli rischi inerenti all’attività libero professionale in particolare, il medico esercitava la sua attività libero professionale nella qualità di chirurgo esercente la chirurgia estetica , mentre l’intervento che aveva causato i danni lamentati era di carattere terapeutico ed era stato eseguito in regime di servizio sanitario convenzionato. Il giudice adito rigettava la domanda di manleva e la Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado. Il medico, quindi, ricorreva per Cassazione, in particolare contestando l’arbitrarietà della qualificazione dell’atto medico come non di carattere estetico e la corretta interpretazione del contratto assicurativo, in quanto, a suo dire, la clausola indicativa dei rischi li estendeva – e non li limitava – agli interventi di chirurgia estetica. Contestazione di ultrapetizione. La Corte rigetta il ricorso. In merito all’arbitrarietà della qualificazione dell’operazione come non di carattere estetico, il medico prospettava, in primo luogo, l’ultrapetizione del giudice di appello, in quanto questi aveva motivato la propria decisione anche in ragione dell’estraneità dell’operazione praticata all’ambito della chirurgia estetica, mentre la società assicuratrice si era limitata ad eccepire l’inoperatività della garanzia, in quanto il medico non aveva effettuato gli interventi in qualità di libero professionista. La Cassazione rileva che il nucleo decisorio della sentenza impugnata è l’estraneità dell’intervento praticato all’attività libero professionale del medico, in ragione della sua esecuzione in regime di convenzionamento, esecuzione giustificata dal carattere terapeutico e curativo dell’operazione, con la quale erano stati rimossi cisti e lipomi multipli dalle mammelle. La negazione del carattere estetico dell’operazione costituisce un mero presupposto logico, peraltro condivisibile, in quanto il servizio sanitario nazionale non copre gli interventi di chirurgia puramente estetica. Cartelle cliniche si applicano gli artt. 2699 ss. cc.? Il ricorrente ritiene che il giudice di merito abbia assertivamente escluso l’appartenenza dell’intervento all’ambito della chirurgia estetica e che vi siano stati vizi motivazionali alla base dell’assunto secondo cui le prestazioni erano state effettuate in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale, in quanto si è omesso di valutare elementi probatori di segno contrario. Infine, censura la circostanza che, se anche le cartelle cliniche si vogliano qualificare come atti pubblici, la prova privilegiata deve essere limitata alla sola materialità degli interventi effettuati e non alla loro natura di interventi estetici o terapeutici, fatto decisivo nella controversia de qua . La S.C. premette che il medico non ha mai contestato che la paziente venne operata, come indicato nelle cartelle cliniche, per cisti e lipomi delle mammelle, intervento che si profila come terapeutico e curativo e non di chirurgia estetica, né ha mai contestato l’assunto di fondo da cui è partito il giudice di merito, ossia l’espletamento dell’operazione in regime di convenzionamento si è limitato ad assumere che tale fatto fosse il postulato che andava dimostrato, per poter poi stabilire il valore giuridico delle annotazioni contenute nelle cartelle. Inoltre, non ha nemmeno specificato gli elementi dai quali emergerebbe l’arbitrarietà del convincimento del giudice in ordine all’espletamento dell’intervento con oneri a carico del servizio sanitario nazionale, convincimento maturato sulla base non delle sole cartelle cliniche ma dall’esame di tutto il materiale probatorio acquisito, delle allegazioni delle parti e degli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio e, peraltro, come già detto, plausibile in ragione delle patologie diagnosticate alla paziente. In merito al valore da attribuirsi alle cartelle cliniche, la Corte ricorda come sia giurisprudenza costante la natura di certificazione amministrativa delle attestazioni contenute nella cartelle cliniche redatte da un’azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico. Il regime di cui agli artt. 2699 ss. c.c. si applica alle trascrizioni concernenti le attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento e ne restano escluse le valutazioni, le diagnosi o le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute cfr. Cass. n. 7201/2003 Cass. n. 10695/1999 . L’interpretazione del contratto è attività riservata al giudice di merito. In merito alle contestazioni relative all’interpretazione della clausola contrattuale, contenuta nella polizza assicurativa, indicativa dei rischi, la Corte di Cassazione ricorda come l’interpretazione del contratto e, in genere, degli atti di autonomia privata costituisca attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. Inoltre, la stessa Cassazione ha più volte ribadito che la censura con cui si sostiene un malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l’astratto riferimento agli articoli del codice che sanciscono tali regole, ma anche la specificazione dei canoni concretamente violati, precisando il modo in cui il giudice se ne è discostato e le distorsioni che in concreto ha prodotto la violazione. Nel caso in esame, le contestazioni del medico in ordine all’interpretazione del contratto da parte del giudice di merito sono esclusivamente volte a sollecitare una nuova interpretazione dello stesso, attività preclusa in sede di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 ottobre – 30 novembre 2011, n. 25568 Presidente Filadoro – Relatore Amendola Svolgimento del processo P P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma C C., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di quattro interventi eseguiti dal convenuto presso la Casa di Cura omissis per cisti mammarie e riduzione del seno. Il convenuto contestò le avverse pretese. Chiese ed ottenne di chiamare in causa Lloyd Adriatico s.p.a., per esserne manlevato in caso dì soccombenza. La società assicuratrice, costituitasi in giudizio, oppose l'inoperatività della garanzia, atteso che gli interventi chirurgici che avevano causato i danni lamentati dall'attrice erano stati eseguiti in regime di servizio sanitario convenzionato, laddove la polizza copriva i soli rischi inerenti all'attività libero professionale svolta dal C. . Con sentenza del 27 giugno 2005 il giudice adito accolse la domanda della P., ma rigettò quella di manleva formulata dal C. nei confronti della compagnia assicuratrice. Proposto gravame dal soccombente, la Corte d'appello di Roma lo ha respinto in data 5 giugno 2009. Per quanto qui interessa, il giudicante ha motivato il suo convincimento evidenziando che il contratto di assicurazione stipulato tra il medico e Lloyd Adriatico s.p.a. copriva la responsabilità civile derivante all'assicurato ai sensi di legge nella sua qualità di medico-chirurgo esercente la chirurgia estetica, con la precisazione che l'attività si intendeva esercitata dovunque egli oper asse come libero professionista, laddove dalle cartelle cliniche versate in atti si evinceva, come evidenziato anche dal consulente tecnico d'ufficio, che gli interventi erano stati eseguiti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale e non nell'ambito dell'attività libero-professionale, che era la sola coperta dalla garanzia assicurativa. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre C.C., formulando cinque motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso Lloyd Adriatico s.p.a Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 112, 342, 343 e 346 cod. proc. civ. Sostiene che nella comparsa di costituzione e risposta la società assicuratrice si era limitata ad eccepire l'inoperatività della garanzia perché il Dott. C. non avrebbe effettuato gli interventi in questione operando come libero professionista, laddove la Corte d'appello aveva motivato la scelta decisoria adottata anche in ragione della estraneità delle operazioni praticate dall'assicurato all'ambito della chirurgia estetica. 1.2 Con il secondo mezzo l'impugnante denuncia mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla corretta interpretazione del contratto assicurativo. Assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, la clausola indicativa dei rischi assicurati li estendeva e non li limitava agli interventi di chirurgia estetica, di talché erroneamente il giudice di merito, a fronte di una polizza che copriva ogni profilo di responsabilità professionale, l'aveva immotivatamente intesa come relativa a quelli soltanto. 2 I motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondati. Valga al riguardo considerare che il nucleo decisorio della sentenza impugnata è l'estraneità dell'intervento praticato sulla P. all'attività libero professionale del dottor C., in ragione della sua esecuzione in regime di convenzionamento, esecuzione pienamente giustificata, peraltro, dal carattere terapeutico e curativo dell'operazione, con la quale erano stati rimossi cisti e lipomi multipli delle mammelle. In tale prospettiva la deduzione di un vizio di ultrapetizione ancorato alla qualificazione pretesamente arbitraria dell'atto medico come non di carattere estetico - e la prospettazione della formazione di un giudicato interno sul punto, segnatamente sviluppata in memoria - è artificiosa e fuorviante. Non par dubbio, infatti, che la negazione del carattere estetico delle operazioni de quibus , costituisce un mero presupposto logico del convincimento del giudice di merito in ordine alla natura dell'attività espletata, nell'occasione, dal C. convincimento, peraltro, assolutamente condivisibile, notorio essendo che il servizio sanitario pubblico non copre gli interventi di chirurgia puramente estetica. 3 Quanto poi alle argomentazioni volte a censurare la portata attribuita dal giudice di merito alla polizza assicurativa, si ricorda che l'interpretazione del contratto e, in genere, degli atti di autonomia privata, costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. Peraltro questa Corte ha a più riprese ribadito che la censura con la quale si sostenga il malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l'astratto riferimento agli articoli del codice che le sanciscono, ma altresì la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo in cui il giudice se ne è discostato e, quindi, delle distorsioni che in concreto ha prodotto la denunciata violazione confr. Cass. civ. 3 febbraio 2009, n. 2602 Cass. civ. 6 febbraio 2007, n. 2560 Cass. civ., 22 febbraio 2007, n. 4178 . Ne deriva che i rilievi svolti dall'impugnante in ordine agli errori e alle sviste in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel limitare alla sola attività libero-professionale l'operatività della polizza, sono volti a sollecitare una rivalutazione del contenuto del contratto assicurativo preclusa in sede di legittimità. 4 Si prestano a essere esaminati congiuntamente anche le critiche svolte nei successivi tre motivi di ricorso. 4.1 Con il terzo si deduce violazione dell'art. 2700 cod. civ Le censure si appuntano contro l'affermazione della Corte territoriale secondo cui le attestazioni fatte sia dalla paziente che dal medico non potevano ritenersi idonee ad inficiare, quanto meno nei confronti dell'assicuratore, le attestazioni contenute nelle cartelle cliniche, circa la natura e l'ambito degli interventi eseguiti presso la Casa di Cura, e cioè di fatti che i sanitari avevano attestato come avvenuti alla loro presenza o da loro compiuti. Assume l'esponente che, così argomentando, la Corte d'appello avrebbe apoditticamente dato per scontato proprio quello che era controverso, e cioè la qualità di pubblico ufficiale del Dott. C. , qualità che egli aveva, se aveva operato come medico convenzionato e non aveva invece, se aveva operato come libero professionista. Aggiunge che, anche ammesso che le cartelle cliniche vadano qualificate come atti pubblici, la prova privilegiata è limitata alla sola materialità degli interventi effettuati, non certo alla loro natura. 4.2 Con il quarto mezzo l'impugnante denuncia vizi motivazionali con riguardo al fatto controverso e decisivo costituito dalla natura degli interventi eseguiti dal C Sostiene che in maniera meramente assertiva il giudice di merito ne avrebbe escluso l'appartenenza alla chirurgia estetica, ignorando le indicazioni contenute nelle cartelle cliniche versate in atti. 4.3 Con il quinto torna a denunciare vizi motivazionali con riferimento all'assunto del giudice di merito secondo cui le prestazioni sarebbero state effettuate in regime dì convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, omettendo di valutare specifici elementi probatori di segno contrario, richiamati, peraltro, alle pagine 3 e 4 della sentenza impugnata. 5 Anche tali censure non colgono nel segno. Esse sono anzitutto gravemente carenti sotto il profilo dell'autosufficienza. Valga al riguardo considerare che, contestando la lettura data dal giudice di merito ai documenti versati in atti, e richiamando genericamente elementi probatori di segno contrario, l'impugnante non ha ottemperato al duplice onere - impostogli dall'art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ. - di indicare esattamente in quale fase processuale sia stata prodotta e in quale fascicolo di parte si trovi la risultanza istruttoria di cui il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno e di trascrivere o riassumere in ricorso il contenuto del documento o della prova in contestazione. Ed è giurisprudenza consolidata di questa Corte Regolatrice, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, che la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303 . 6 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che il ricorrente neppure tenta di confutare l'assunto di fondo da cui è partito il giudice di merito - e cioè l'espletamento delle operazioni in regime di convenzionamento - abilmente assumendo che tale fatto era proprio il postulato che andava dimostrato al fine di potere poi stabilire il valore giuridico delle annotazioni contenute nelle cartelle. 7 A confutazione di tali critiche è allora sufficiente rilevare che la scelta decisoria della Corte d'appello è, in realtà, chiaramente maturata sull'esame di tutto il materiale probatorio acquisito, delle allegazioni delle parti, nonché degli accertamenti del consulente tecnico, di guisa che costituisce nulla più che un artificio dialettico, ed è esso stesso meramente assertivo, l'assunto che il decidente avrebbe apoditticamente dato per scontato proprio quello che andava invece dimostrato. A ciò aggiungasi che la natura di certificazione amministrativa delle attestazioni contenute nella cartella clinica redatta da un'azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico - al pari di quelle dei certificati dei medici convenzionati - è affermazione giurisprudenziale praticamente costante, essendosi piuttosto l'attenzione degli interpreti incentrata sulla esatta delimitazione delle annotazioni coperte da fede privilegiata. E invero l'applicazione dello speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. cod. civ. è circoscritta alle sole trascrizioni concernenti le attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre ne sono escluse le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute confr. Cass. civ. 12 maggio 2003, n. 7201 Cass. civ. 27 settembre 1999, n. 10695 . Ora, nella fattispecie, l'impugnante, senza mai contestare che la P. venne operata per cisti e lipomi multipli delle mammelle, neppure ha specificato gli elementi dai quali emergerebbe l'arbitrarietà del convincimento del decidente in ordine all'espletamento degli interventi con oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale, convincimento maturato, sì ripete, sulla base delle risultanze istruttorie e segnatamente degli accertamenti del consulente d'ufficio, e in ogni caso estremamente plausibile in ragione delle patologie diagnosticate alla paziente. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.600,00 di cui Euro 5.400,00 per onorari , oltre IVA e CPA, come per legge.