Il curatore può assumere il ruolo di “avvocato del fallimento”?

Il decisum in rassegna pone al centro dell’attenzione il ruolo e la figura del curatore. In particolare, si tratta di stabilire se il curatore possa, o meno, assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento.

E, i giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con l’ordinanza n. 29313/20, depositata il 22 dicembre, chiariscono che in tema di difesa tecnica del fallimento , ai sensi dell’art. 31, comma 3, l. fall., il curatore della procedura, nelle liti attive e in quelle passive, non può assumere il ruolo di difensore, o anche quello di mero assistente, a pena di nullità di tutti gli atti posti in essere in tale veste, atteso che tra i due ruoli vi è previsione d’incompatibilità. Il fatto. La Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo, ex art. 18 l. fall., proposto da Omega s.r.l. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal Tribunale ordinario capitolino, su istanza del Fallimento Ypsilon s.p.a., basata su un decreto ingiuntivo emesso, ex art. 150, l. fall., per € 30.000, 00 a titolo di capitale sociale non versato, non opposto, e rimasto insoddisfatto nonostante il tentativo di pignoramento immobiliare infruttuoso. A supporto delle ragioni di rigetto del reclamo, la Corte territoriale ha ritenuto non fondato il difetto di legittimazione del curatore del fallimento istante a richiedere l’ingiunzione, ex art. 150, l. fall., per l’intera somma del capitale sociale non versato dai soci, perché sulla base della somma di € 30.000,00 portata dal suddetto decreto ingiuntivo, del quale non risultava neppure l’opposizione, poteva dirsi sufficientemente provato il credito che legittima il suddetto creditore alla istanza di fallimento. Mentre nel merito, la Corte territoriale riteneva non idonea la documentazione ad acclarare l’insussistenza dei requisiti di fallibilità, perché erano state prodotte solo copie informali dei bilanci sprovviste del requisito dell’approvazione da parte della società e del requisito del deposito presso il registro delle imprese. Avverso la sentenza del giudice di seconde cure, Omega s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi di censura, mentre il Fallimento Ypsilon non ha spiegato difese scritte. In particolare, per quanto qui ci occupa, la società ricorrente lamenta nei primi due motivi di censura, rispettivamente, la mancata legittimazione attiva dell’unico creditore istante e cioè, il Fallimento Ypsilon s.p.a., ex art. 31, comma 3, l. fall., per avere il curatore dello stesso assunto la veste di avvocato della procedura in violazione del divieto di cui alla rubrica, nonché, il difetto di legittimazione attiva del curatore, che avrebbe difeso da sé stesso la procedura, promuovendo il relativo giudizio. Entrambi i motivi, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono fondati. Difatti, secondo l’art. 31, terzo comma, l. fall., il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento, e secondo la giurisprudenza di legittimità, la questione della legitimatio ad causam attiva e passiva, che consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto secondo la prospettazione della parte, è una questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, sebbene tale quaestio nella presente vicenda non sia stata rilevata dalla Corte d’appello di Roma. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni sancito l’incompatibilità del curatore fallimentare a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento per difetto di legittimazione processuale, e ciò, per evitare il pericolo che il tornaconto professionale venga anteposto al vantaggio ricavabile dalla procedura collettiva, con conseguente nullità degli atti compiuti in spregio di tale divieto. La sentenza impugnata va dunque cassata senza rinvio. La ratio della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 31, l. fall., in virtù della quale il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento, è di agevole individuazione. Si ambisce ad evitare che l’organo gestorio possa prospettare l’opportunità di agire o resistere in giudizio allo scopo di lucrare i compensi spettanti per l’attività professionale da espletare vigente l’abrogata disciplina, ante novella del 2005, si è ritenuto che la disposizione in esame prefigurasse una incapacità di diritto vera e propria, da ricondurre ad una ragione di ordine pubblico, da riconnettere all’esigenza di evitare che il fallimento fosse coinvolto in controversie prive di fondamento con l’ulteriore conseguenza che gli atti compiuti dal curatore in veste di legale sarebbero stati da considerare nulli per difetto di rappresentanza processuale ovvero che il curatore, se convenuto in giudizio sarebbe stato da dichiarare contumace. Gli Ermellini hanno escluso, per manifesta infondatezza, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 31, l. fall. , per eccesso di delega, con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente un difensore, in quanto tale norma non esorbita dai limiti di essa, risultando coerente con i principi della legge delega e rispondendo al criterio di speditezza della procedura, che rappresenta l’obiettivo preminente del legislatore delegante. Invero, i supremi giudici hanno sostanzialmente confermato che quel potere esclude una gestione in proprio, venendosi altrimenti a cumulare e sovrapporsi interessi da tenere distinti e separati, pena l’opacizzarsi del suo esercizio. La coerenza insita nel sistema risultante dalle riforme, prima del 2005, quindi a seguito del correttivo, giustifica l’espressione di autonomia del curatore in questo ambito, attinente alla formazione dello stato passivo a lui demandata in via principale, in relazione al ridimensionato ruolo attribuito al giudice delegato, privato della precedente funzione di centralità. Secondo quanto previsto nella Relazione alla riforma che non lo qualifica più organo motore della procedura, essendo stata sostituita l’attività di direzione con quella di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura”, al giudice delegato spetta un compito di carattere essenzialmente di legittimità, ovvero secondo taluno solo giurisdizionale, in ogni caso, non interferente con l’ampia sfera d’autonomia riconosciuta al curatore. La lettura del disposto dell’art. 25, comma 1, n. 6, l. fall., che prevede il generale potere del giudice delegato di autorizzare per iscritto il curatore a stare in giudizio non può pertanto disgiungersi dalla ratio sottostante la previsione dell’art. 31, l. fall., che nella parte riferita ritaglia per il solo curatore un ruolo decisionale, che può esprimersi anche in sede giurisdizionale, sottratto al controllo di merito dell’organo di legittimità. Alla luce di queste considerazioni, la questione di costituzionalità posta dal ricorrente incidentale, comunque genericamente argomentata, risulta manifestamente infondata. La previsione del potere del curatore, di cui all’art. 31, l. fall., letta nei sensi riferiti, così come quello di nominare autonomamente il difensore, non esorbita certo dai limiti della delega, in specie, per quel che rileva, dai principi tesi a semplificare la procedura, accelerandone i tempi ed in particolare la fase d’accertamento del passivo, e ad ampliare i poteri del comitato dei creditori. Rispondono piuttosto a quel criterio di speditezza della procedura che rappresenta l’obiettivo preminente del legislatore delegante Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8929 – sent. . Non a caso è stato escluso altresì la facoltà della mera assistenza in giudizio per l’incompatibilità del curatore fallimentare a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento, ex art. 31, terzo comma, l. fall. , che deve intendersi riferita, per i giudizi tributari, non solo ai soggetti che rivestono la qualifica di avvocato, ma anche gli appartenenti ad altre categorie professionali dottore commercialista, ragioniere, perito commerciale, ecc. abilitate, a norma dell’art. 12 del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a prestare assistenza tecnica in quei giudizi. La preclusione dettata dal terzo comma dell’art. 31, l. fall., deve tuttavia reputarsi inoperante nei casi in cui l’iniziativa giudiziaria non postuli il ministero di un difensore e, prima ancora, neppure l’autorizzazione del giudice delegato in siffatte evenienze il curatore agisce personalmente, pur quando abbia la veste professionale che lo abilita alla sua difesa, e, conseguentemente, non ha diritto per l’attività espletata ad alcun compenso, ma al più, al solo rimborso delle spese occorse per il compimento dell’opera. In conclusione, il fallimento anche quando può stare in giudizio senza la preventiva autorizzazione del giudice delegato, deve munirsi di un difensore abilitato, non potendo il curatore assumere la veste di avvocato del fallimento, inteso in senso lato e quindi anche di difensore tecnico” nei processi tributari.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 21 luglio – 22 dicembre 2020, n. 29313 Presidente Genovese – Relatore Solaini Rilevato che Con sentenza n. 2851 del giorno 2.5.2017, la Corte di Appello di Roma rigettava il reclamo, L. Fall., ex art. 18, proposto srl avverso la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal Tribunale ordinario di Roma, su istanza del Fallimento omissis spa, basata su un decreto ingiuntivo emesso, L. Fall., ex art. 150, per Euro 30.000,00 a titolo di capitale sociale non versato, non opposto, e rimasto insoddisfatto nonostante il tentativo di pignoramento immobiliare infruttuoso. A supporto delle ragioni di rigetto del reclamo, la Corte territoriale ha ritenuto non fondato il difetto di legittimazione del curatore del fallimento istante a richiedere l’ingiunzione L. Fall., ex art. 150 per l’intera somma del capitale sociale non versato dai soci in quanto secondo la società srl essa non sarebbe stata l’unica socia e, quindi, sarebbero state richiesta somme non dovute , perché sulla base della somma di Euro 30.000,00 portata dal suddetto decreto ingiuntivo, del quale non risultava neppure l’opposizione, poteva dirsi sufficientemente provato il credito che legittima il suddetto creditore alla istanza di fallimento. Mentre nel merito, la Corte territoriale riteneva non idonea la documentazione ad acclarare l’insussistenza dei requisiti di fallibilità, perché erano state prodotte solo copie informali dei bilanci sprovviste del requisito dell’approvazione da parte della società e del requisito del deposito presso il Registro delle imprese. Avverso la sentenza d’appello, srl ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, mentre il Fallimento omissis non ha spiegato difese scritte. Considerato che Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la Corte d’appello aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione formulata per la prima volta solo all’udienza del 23 febbraio 2017, ma rilevabile d’ufficio, della mancata legittimazione attiva dell’unico creditore istante e cioè, il Fallimento omissis spa, L. Fall., ex art. 31, comma 3, per avere il curatore dello stesso assunto la veste di avvocato della procedura in violazione del divieto di cui alla rubrica. Con il secondo motivo, la società ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, della L. Fall., artt. 6 e 31 e dell’art. 82 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per difetto di legittimazione attiva del curatore, che avrebbe difeso da sé stesso la procedura, promuovendo il relativo giudizio. Con il terzo motivo, la società ricorrente denuncia il vizio di nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116 c.p.c e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per inesistenza dei parametri dimensionali perché potesse darsi corso alla propria dichiarazione di fallimento, in quanto alla luce dei bilanci che erano stati predisposti risultava che l’unica posizione debitoria in assenza di dipendenti e di esposizioni tributarie era il debito della società per finanziamento dei propri soci. Con il quarto motivo, in via ulteriormente gradata, la società ricorrente deduce la violazione della L. Fall., art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto delle fatture prodotte e della ricostruzione contabile evidenziata dalla reclamante, dalla quale poteva agevolmente desumersi, l’assenza delle soglie di fallibilità. Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto sono fondati, con assorbimento di quelli proposti in via gradata. Secondo la L. Fall., art. 31, comma 3, Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento e secondo la giurisprudenza di questa Corte, la questione della legitimatio ad causam attiva e passiva, che consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto secondo la prospettazione della parte, è una questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento Cass. n. 17092/16 , sebbene tale questione, in effetti, nella presente vicenda non sia stata rilevata dalla Corte d’appello di Roma. La giurisprudenza di questa Corte ha, tuttavia, in più occasioni sancito l’incompatibilità del curatore fallimentare a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento v. Cass. n. 4560/10, 8778/08, 18419/04, in tema di giudizi tributari, Cass. n. 4039/1985, in tema di proposizione del controricorso , per difetto di legittimazione processuale, e ciò, per evitare il pericolo che il tornaconto professionale venga anteposto al vantaggio ricavabile dalla procedura collettiva, con conseguente nullità degli atti compiuti in spregio di tale divieto. Infatti, se questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 8929 del 04/06/2012 ha condivisibilmente escluso, per manifesta infondatezza, l’eccezione di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 31 per eccesso di delega, con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente un difensore, in quanto tale norma non esorbita dai limiti di essa, risultando coerente con i principi della legge delega e rispondendo al criterio di speditezza della procedura, che rappresenta l’obiettivo preminente del legislatore delegante, essa ha sostanzialmente confermato che quel potere esclude una gestione in proprio, venendosi altrimenti a cumulare e sovrapporsi interessi da tenere distinti e separati, pena l’opacizzarsi del suo esercizio. Non a caso è stato escluso altresì la facoltà della mera assistenza in giudizio per l’incompatibilità del curatore fallimentare a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento, come stabilita dalla L. Fall., art. 31, comma 3, che deve intendersi riferita, per i giudizi tributari, non solo ai soggetti che rivestano la qualifica d’avvocato o procuratore , ma anche agli appartenenti alle altre categorie professionali dottore commercialista, ragioniere, perito commerciale, etc. abilitate, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12 a prestare assistenza tecnica in quei giudizi. Sez. 5, Sentenza n. 4560 del 25/02/2010 . Il primo e secondo motivo, assorbiti il terzo e il quarto, vanno pertanto accolti, in ossequio del seguente principio di diritto In tema di difesa tecnica del fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 31, comma 3, il curatore della procedura, nelle liti attive e in quelle passive, non può assumere il ruolo di difensore, o anche quello di mero assistente, a pena di nullità di tutti gli atti posti in essere in tale veste, atteso che tra i due ruoli vi è previsione d’incompatibilità. La sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., u.c., u.p., perché la costituzione tecnica del curatore in sede di reclamo del fallimento non poteva essere proposta per altra similare ipotesi, si richiama Sez. 2, Sentenza n. 3261 del 22/03/1995 . Le spese di lite del presente giudizio e del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La suprema corte di cassazione Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa senza rinvio l’impugnata sentenza, ex art. 382, u.c., nei termini di cui in parte motiva. Condanna il fallimento a pagare a srl le spese di lite del grado di appello, che liquida nell’importo complessivo di Euro 3.000,00, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge, ed Euro 4.000,00 per il giudizio di legittimità, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 - bis.