Fallimento e natura tributaria del debito

In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 87 d.P.R. n. 602/1973, nel prevedere che il concessionario possa, per conto del Fisco, presentare ricorso ai sensi dell’art. 6 l.fall., non introduce una deroga o una disciplina speciale rispetto a tale norma, ma individua solamente il soggetto legittimato ad agire per conto del titolare del credito.

Sul tema la Corte di Cassazione con ordinanza n. 9218/20, depositata il 20 maggio. Una s.r.l. impugna una sentenza con cui la Corte d’Appello respingeva il reclamo avverso la propria dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale, avendo confermato la declaratoria adottata sul presupposto del debito maturato dalla fallita nei confronti dell’Erario, nonostante esso non sarebbe fonte di insolvenza commerciale artt. 1 e 5 l.fall. . Al riguardo, i Giudici di Legittimità ricordano che, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 87 d.P.R. n. 602/1973, nel prevedere che il concessionario possa, per conto del Fisco, presentare ricorso ai sensi dell’art. 6 l.fall., non introduce una deroga o una disciplina speciale rispetto a tale norma, ma individua solamente il soggetto legittimato ad agire per conto del titolare del credito . Da ciò deriva che, da una parte, il citato art. 6 non contiene un’esclusione per particolari categorie di creditori, e dall’altra, che la possibilità per l’amministrazione finanziaria di chiedere il fallimento per debito d’imposta non presenta dubbi di manifesta incostituzionalità, ai sensi dell’art. 24 Cost, dovendo anche il credito tributario , come gli altri crediti, essere deliberato incidentalmente dal giudice in relazione alla sua fondatezza ogni volta che vi sia contestazione. Da qui l’infondatezza del ricorso che viene respinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 5 febbraio – 20 maggio 2020, n. 9218 Presidente Scaldaferri – Relatore Marulli Ritenuto in fatto 1. La s.r.l. impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha respinto il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento di essa ricorrente pronunciata dal Tribunale di Vicenza e ne chiede la cassazione sul rilievo della violazione della L. fall., artt. 1 e 5, avendo il decidente confermato la predetta declaratoria, adottata sul presupposto del debito maturato dalla fallita nei confronti dell’erario, ancorché esso non sarebbe fonte di insolvenza commerciale coerente con le disposizioni della L.F., artt. 1 e 5 . Al proposto ricorso resiste l’Erario con controricorso. Considerato in diritto 2. Il motivo è infondato. 3. Vale invero ribadire che in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, come modificato dal D.L. n. 138 del 2002, art. 3, nel prevedere che il concessionario possa, per conto dell’Agenzia delle entrate, presentare il ricorso ai sensi della L. Fall., art. 6, non introduce alcuna deroga o disciplina speciale rispetto a tale ultima norma, ma si limita ad individuare, con disposizione processuale, il soggetto legittimato ad agire per conto del titolare del credito nè l’abrogazione della L. Fall., art. 4 in cui era previsto il rinvio al cd. fallimento fiscale da parte del D.Lgs. n. 5 del 2006 produce alcuna efficacia sulla descritta disciplina ordinaria, così come integrata, in quanto già il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97 cui rinviava la norma fallimentare era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte costituzionale 9 marzo 1992, n. 89 e dunque il medesimo art. 4, comma 2, che faceva salve le disposizioni di legge speciale sul fallimento per debito d’imposta, era già rimasto privo di contenuto. Ne discende che, da un lato, il predetto art. 6 non contiene una esclusione per particolari categorie di creditori, dovendosi l’opposta interpretazione intendere come lesiva del principio di eguaglianza fra i creditori, di cui all’art. 3 Cost., poiché ad uno di essi verrebbe riconosciuto un trattamento deteriore, senza giustificazione, rispetto a quello di tutti gli altri e, dall’altro, che la possibilità per l’amministrazione finanziaria di chiedere il fallimento per debito d’imposta non presenta dubbi di manifesta incostituzionalità, ai sensi dell’art. 24 Cost., dovendo anche il credito tributario, come tutti gli altri, essere delibato incidentalmente dal giudice in ordine alla sua fondatezza, ogni volta che vi sia contestazione Cass., Sez. I, 18/11/2010, n. 23338 . 4. Discende de plano che, non essendovi alcuna ragione di deroga alla disciplina ordinaria in ragione della natura tributaria del credito, l’insolvenza giustificatrice dell’adottata declaratoria può ben sussistere anche se il credito sia sorto al di fuori dell’attività caratteristica dell’impresa non essendo essa correlata ex lege alla natura commerciale del credito, ma alla mera circostanza della sua sussistenza. 5. Il ricorso va dunque respinto. 6. Spese alla soccombenza. Doppio contributo se dovuto. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge. Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.