Nessuna “Grazia” per il domain name che riproduce il marchio altrui

Il domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio.

Il caso. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 31 maggio 2012, accoglieva parzialmente le domande di risarcimento, inibitoria e di pubblicazione della sentenza di condanna proposte dalla casa editrice AME SpA nei confronti della signora GS. La AME SpA lamentava la registrazione e utilizzo da parte della GD del segno distintivo grazia.net inserito nel sito della convenuta, in violazione dei diritti di esclusiva relativi al marchio e alla testata giornalistica Grazia”. Il Tribunale comunque riteneva applicabile parzialmente al caso di specie il principio di convalidazione di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 30/2005 Codice Proprietà Industriale che recita Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante 5 anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso . Pertanto, le condotte poste in essere dalla GS erano ritenute coperte dalla convalidazione, almeno fino al 26.03.2009 quando non veniva rinnovato da parte della titolare alla prima scadenza essendo stato depositato il 26.03.2009 . La GS proponeva appello a cui rispondeva la AME con appello incidentale chiedendo di accertare che il marchio grazia.net non si fosse mai convalidato a causa dell’elemento soggettivo della mala fede dell’appellante principale avendo registrato il marchio nella consapevolezza di violare il diritto anteriore della società appellata. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 10 dicembre 2015 rigettava l’appello principale e accoglieva parzialmente l’appello incidentale riformando la sentenza di primo grado nella misura in cui dichiarava che il marchio grazia.net di proprietà di GS non si era mai convalidato e pertanto era da ritenersi illegittimo così come l’utilizzo del nome a dominio e della testata, ordinava inoltre il trasferimento a favore dell’appellata del nome a dominio entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza. L’uso del dominio grazia.net risulta interferente con il marchio Grazia? In particolare, i Giudici confermavano come correttamente il Tribunale aveva ritenuto infondata seppur parzialmente la convalidazione del nome a dominio e della testata grazia.net in quanto segni atipici non oggetto di registrazione. L’uso del dominio grazia.net risultava interferente con il marchio Grazia poiché generava confusione in virtù del principio di unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22 c.p.i. determinando un rischio di associazione del sito al marchio della casa editrice anche in considerazione dei destinatari di riferimento trattandosi di pubblicazioni destinate al pubblico femminile. Come detto, la Corte Territoriale accoglieva l’appello incidentale osservando come la GS avesse registrato e utilizzato in mala fede il segno grazia.net con la finalità di agganciare il pubblico del marchio famoso di Grazia. La circostanza veniva confermata, secondo la Corte, dal fatto che il marchio veniva utilizzato anche come meta-tag così da poter intercettare i navigatori online. La tolleranza della AME sino al 2008 era pertanto irrilevante ai fini della valutazione della mala fede. Ricorreva quindi la GS con un unico motivo denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 c.p.i. in quanto la Corte Territoriale nel ritenere che la registrazione del marchio grazia.net fosse avvenuta in mala fede aveva valorizzato la notorietà del marchio Grazie che invece non assumeva rilevanza in ordine alla convalidazione del marchio posteriore da considerare estesa anche nell’ipotesi di marchio munito di rinomanza nell’ambito dell’UE e del marchio notoriamente conosciuto a norma dell’art. 6 bis della Convenzione di Unione di Parigi. La ricorrente aveva quindi registrato il marchio in quanto come tale era conosciuta nella propria attività e inoltre aveva introdotto alcune modifiche idonee a distinguere il proprio marchio da quello della AME aggiungendo il suffisso .net”. Inoltre, non era stata dimostrata la notorietà del marchio Grazia alla data della registrazione del marchio della ricorrente avvenuta nel 1999. La Corte di Cassazione ritiene il motivo in parte inammissibile in parte infondato. Il domain name riproduce o contiene il marchio altrui? È contraffazione. Rispetto alla contestazione sugli elementi di fatto considerati dalla Corte d’Appello al fine di ritenere il marchio Grazia notorio e quello della ricorrente registrato in malafede, la sentenza ritiene la doglianza inammissibile nella parte in cui è diretta a riesaminare i fatti o a provocare una diversa interpretazione non essendo la motivazione – comunque esaustiva – censurabile in sede di ultimo grado. Quanto all’irrilevanza della notorietà o rinomanza del marchio anteriore Grazia in quanto il marchio di GS non aveva la finalità di agganciare la rivista Grazia, ma solo quella di contraddistinguere l’attività della ricorrente, la Corte ritiene la doglianza infondata. Infatti, per i Giudici della Corte Suprema, il domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio . Ritenuto giudizialmente accertato il carattere forte del marchio Grazia, la Cassazione conferma come variazioni, anche originali, che lascino intatto il nucleo ideologico del marchio, rendono illegittimo l’utilizzo. Pertanto, il marchio grazia.net ha comportato un oggettivo agganciamento atteso il medesimo nucleo ideologico semantico.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 25 novembre 2019 – 21 febbraio 2020, n. 4721 Presidente Scotti – Relatore Caiazzo Rilevato in fatto Che Il Tribunale di Milano Sezione specializzata per la materia industriale e intellettuale con sentenza emessa il 31.5.12, accolse in parte le domande d’inibitoria, risarcimento e di pubblicazione della sentenza di condanna, proposte dalla Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. nei confronti di S.G. , per aver quest’ultima registrato ed utilizzato, sin dal marzo 1999, il segno distintivo omissis , inserito nel sito internet, in violazione dei diritti di esclusiva relativi al marchio e alla testata giornalistica di sua spettanza. In particolare, il Tribunale ritenne operante la convalidazione, ex art. 28 CPI, del marchio registrato riferibile al dominio omissis limitatamente alle condotte poste in essere dalla convenuta S.G. sino al 26.3.2009, allorché tale marchio non fu rinnovato dalla titolare, sicché dopo la relativa scadenza, non avendo più l’Arnoldo Mondadori Editore s.p.a., titolare del marchio , tollerato la violazione dei propri diritti, ne fu dichiarata la decadenza. La S. propose appello si costituì la Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. che propose appello incidentale chiedendo di accertare che il marchio omissis non si fosse mai convalidato a causa dell’elemento soggettivo della mala fede dell’appellante principale la quale aveva registrato tale marchio nella consapevolezza di violare il diritto anteriore della società appellata. Con sentenza del 10.12.2015, la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello principale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, riformò la sentenza di primo grado accertando e dichiarando che il marchio omissis di proprietà di S.G. non si era mai convalidato e, per l’effetto, dichiarando l’illegittimità di detto marchio e del relativo uso del nome a dominio e della testata ordinando alla S. il trasferimento a favore dell’appellata del nome a domino OMISSIS entro 30 gg. dalla comunicazione della sentenza, con condanna dell’appellante al pagamento della penale di Euro 100,00 per ogni giorno di ritardo. Al riguardo, la Corte territoriale argomentò che correttamente era stata ritenuta infondata la domanda relativa alla convalidazione del nome di dominio e della testata omissis in quanto, sebbene siano segni distinti dal marchio e non oggetto di registrazione, non potrebbero tuttavia essere convalidati quali segni atipici correlati al marchio l’uso di tale segno per contraddistinguere il sito internet di pertinenza del marchio di S.G. omissis risultava certamente interferente con il marchio , poiché generava confusione in virtù del principio di unitarietà dei segni distintivi espresso dall’art. 22 CPI, determinando un rischio di associazione del sito al marchio, considerando che l’obiettivo di riferimento dei due marchi era il medesimo pubblicazioni destinate al pubblico femminile . La Corte d’appello ha invece accolto parzialmente l’appello incidentale dell’Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. osservando che la S. aveva registrato e utilizzato in mala fede il segno omissis , con l’illecito intento di agganciare il pubblico del marchio famoso , come risulta avvalorato dal fatto che l’appellante aveva utilizzato il suddetto segno anche quale marchio mega-tag per rendere il suo sito personale più facilmente raggiungibile dai motori di ricerca, essendo emerso che su tale sito personale veniva pubblicizzata l’attività giornalistica della medesima appellante e la possibilità di acquistare il suo ultimo libro ai fini della valutazione della mala fede della S. era irrilevante che la società appellata avesse tollerato la presenza di detto marchio sino al 2008, concedendo anche un’intervista alla appellante sulla rivista Marie Claire, essendo invece rilevante il momento della registrazione del marchio, non dovendosi tenere conto dell’eventuale comportamento successivo di tolleranza che vale come ulteriore elemento per valutare l’applicabilità o meno della convalidazione una volta accertata la mancanza di registrazione in mala fede . Ricorre in cassazione S.G. con un unico motivo illustrato con memoria. Resiste l’Arnoldo Mondadori Editore s.p.a con controricorso illustrato con memoria. Ritenuto in fatto che Con l’unico motivo di ricorso S.G. denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 CPI, censurando l’accoglimento parziale dell’appello incidentale dell’Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. in quanto la Corte d’appello, nel ritenere che la registrazione del marchio omissis fosse avvenuta in mala fede, aveva valorizzato la notorietà del marchio che, invece, non assumeva rilevanza in ordine alla convalidazione del marchio posteriore, da considerare estesa anche all’ipotesi di marchio munito di rinomanza nell’ambito dell’UE ed a marchio notoriamente conosciuto a norma dell’art. 6 bis, della Convenzione di Unione di Parigi la ricorrente aveva registrato il marchio in quanto da sempre è stata conosciuta come tale, ossia V.G. , mentre il nome non aveva quale finalità l’agganciamento alla rivista edito dalla società controricorrente, ma quella di contraddistinguere in modo diretto l’attività della stessa ricorrente in ogni caso, la ricorrente aveva introdotto alcune modifiche idonee a distinguere il proprio marchio da quello dell’Arnoldo Mondadori Editore s.p.a., aggiungendo il suffisso net quest’ultimo rientrante nell’ambito dei sintagmi che, all’epoca dei fatti, agli albori della diffusione di internet, poteva avere rilevanza distintiva nel contraddistinguere un marchio dall’altro non era stata dimostrata la notorietà del marchio alla data della registrazione del marchio della ricorrente 1999 . Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse, in quanto non può sostenersi che la sentenza impugnata sia sorretta da tre distinte rationes, emergendo piuttosto che i tre profili indicati dalla società controricorrente siano tra loro logicamente connessi, da costituire espressione della medesima argomentazione che sorregge la motivazione adottata dalla Corte d’appello infatti, secondo quest’ultima, la convalidazione non applicabile per analogia ai segni atipici pur connessi al marchio registrato non è legittima per la mala fede della ricorrente all’atto della registrazione del marchio successivo, la cui finalità era quella di agganciare il pubblico che utilizzava il primo marchio . Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. La ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia escluso la convalidazione del proprio marchio, ritenendolo registrato in mala fede, criticando la valutazione complessiva degli elementi di fatto posti a sostegno della pronuncia impugnata e contestando che sia stata provata la notorietà del marchio registrato dalla società controricorrente anteriormente a quello per cui è causa, omissis . Ora, va anzitutto rilevato che la doglianza è inammissibile nella parte in cui è diretta al riesame dei fatti, ovvero a provocare una diversa interpretazione dei fatti oggetto della sentenza impugnata riguardo all’insussistenza dei presupposti della convalidazione del marchio della ricorrente. Invero, la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile l’art. 28 CPI attraverso una motivazione esaustiva, fondata su una serie di fatti, peraltro non contestati, non censurabile in questa sede. La ricorrente ha comunque esposto che la invocata convalidazione del marchio omissis non sarebbe esclusa dalla notorietà o rinomanza del marchio anteriore , di cui è titolare la Arnoldo Mondadori Editore s.p.a., poiché il marchio da convalidare non aveva mai avuto la finalità determinante di agganciare la rivista ma solo quella di contraddistinguere in modo diretto l’attività della S. , come comprovato anche dall’uso del suffisso net. Tale critica non coglie nel segno. Invero, va osservato che la registrazione di un domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio. Al riguardo, seppure con riferimento al periodo anteriore all’entrata in vigore del codice della proprietà industriale, consta un unico precedente di legittimità, cfr. Cass., n. 24620/10 sui segni atipici, secondo cui nel periodo anteriore all’entrata in vigore del codice della proprietà industriale D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 , anche ai nomi di dominio di sito internet deve applicarsi, sebbene si tratti di segni distintivi atipici, il R.D. 21 giugno 1942, n. 929, essendo essi strumenti attraverso cui accedere, nell’ambito di internet, ad un vasto mercato commerciale di dimensioni globali che consentono di identificare il titolare del sito web ed i prodotti e servizi offerti al pubblico, onde tali nomi rivestono una vera e propria capacità distintiva, in quanto, secondo la attuale concezione sulla natura e sulla funzione del marchio, non si limitino ad indicare la provenienza del prodotto o del servizio, ma svolgano una funzione pubblicitaria e suggestiva che ha la finalità di attrarre il consumatore, inducendolo all’acquisto . Nel caso di specie è indiscusso, in quanto giudizialmente accertato dalla stessa Corte territoriale, che il marchio registrato in questione è forte , per cui lo stesso risulta assistito dalla più rigorosa tutela, connotata da una maggiore incisività che rende illegittime le variazioni anche originali che, comunque, lasciano intatto il nucleo ideologico che riassume l’attitudine individualizzante del segno Cass. n. 5091/2000 n. 1413/1995 n. 5924/1996 , giacché anche lievi modificazioni, che il marchio debole deve invece tollerare, condurrebbero al risultato di pregiudicare il risultato conseguibile con l’uso del marchio cfr. Cass., n. 26000/18 . Ora, è indubbio che l’uso del marchio omissis abbia comportato un oggettivo agganciamento, atteso il medesimo nucleo ideologico semantico, al marchio rinomato ed altamente distintivo , presente come testata editoriale nel territorio nazionale fin dagli anni ‘40 del secolo scorso nè merita censura il rilievo del giudice del merito in ordine alla sussistenza della mala fede, quale elemento impeditivo della convalidazione, all’atto della registrazione del marchio fatto valere dalla ricorrente, avvenuta vari decenni dopo la creazione del marchio agganciato, in conformità dell’art. 28 CPI. Ne consegue altresì, al riguardo, l’irrilevanza del riferimento della ricorrente al fatto che il link collegato al segno OMISSIS , che rinviava ad altro sito che pubblicizzava un libro della S. , fosse stato introdotto solo nel 2008, atteso che la Corte territoriale ha ravvisato la mala fede al momento della registrazione del marchio successivo. Per quanto esposto, il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 6400,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.