L’onere di provare il valore della quota del socio ai fini della liquidazione

Quando il rapporto sociale si estingue nei confronti di un socio è compito degli amministratori rendere il conto della gestione per consentire così la formazione di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota .

Così la Cassazione nell’ordinanza n. 4260/20, depositata il 19 febbraio. Il fatto. Il socio occulto di una s.n.c., presso la quale aveva prestato la propria attività di socio d’opera dal 1990 al 1997, difronte al rifiuto degli altri soci di formalizzare il rapporto anche nei suoi confronti, impugna la sentenza della Corte d’Appello dando atto che la società non aveva ottemperato all’ordine di esibizione della documentazione contabile ed aveva proceduto a liquidare la quota spettante al ricorrente determinandola in 10.000 euro, in assenza di ulteriori elementi di prova da questi forniti. Liquidazione della quota sociale. È principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, l’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persona ma lo stesso discorso vale anche per tutte le altre ipotesi in cui in una società di persone abbia luogo lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio , ai fini della liquidazione della stessa agli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, poiché solo i soci rimasti in società sono in grado, attraverso la produzione delle scritture contabili, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio, o comunque lo scioglimento del rapporto sociale, e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento. Pertanto, quando il rapporto sociale si estingue nei confronti di un socio è compito degli amministratori rendere il conto della gestione per consentire così la formazione di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota . Sulla base di tale principio, la S.C. accoglie il motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 novembre 2019 – 19 febbraio 2020, n. 4260 Presidente Campanile – Relatore Marulli Fatti di causa 1. B.S. , nella sua qualità di socio occulto della s.n.c. F.lli G. , per conto della quale aveva prestato la propria attività di socio d’opera dal 1990 al 1997 allorché, di fronte al rifiuto degli altri soci di formalizzare il rapporto anche nei suoi confronti, aveva abbandonato l’attività sociale - qualità già riconosciuta con sentenza passata in giudicato - impugna per cassazione, sulla base di cinque motivi di ricorso - ai quali non hanno inteso replicare la società ed i soci della medesima pure intimati - la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catania, dando atto che la società non aveva ottemperato all’ordine di esibizione della documentazione contabile, ha proceduto a liquidare la quota spettante al ricorrente, in assenza di altri elementi di prova, non forniti dal ricorrente stesso, in via equitativa, determinandola nella somma di Euro 10.000,00 e nel contempo liquidando le spese di giudizio di primo grado e compensando quelle del giudizio d’appello. Ragioni della decisione 2. Con il primo motivo di ricorso il B. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2289 c.c., poiché il decidente del grado, annotando che il ricorrente non aveva fornito ulteriori elementi di prova in grado di suffragare il giudizio in ordine alla valutazione della quota liquidanda, avrebbe erroneamente onerato esso ricorrente della prova al riguardo, quantunque nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio la prova in ordine alla valore della quota spettante al medesimo incomba sulla società, disponendo essa delle fonti documentali contabili in base alle quali poter procedere alla determinazione della situazione patrimoniale utilizzabile a questo fine. 3. Il motivo è fondato. È principio stabilmente invalso nella giurisprudenza di questa Corte - a cui il collegio intende dare continuità -, affermatosi con particolare riferimento all’ipotesi della morte del socio, ma estensibile a tutte le ipotesi in cui in una società di persone abbia luogo lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, che l’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento Cass., Sez. II, 19/04/2001, n. 5809 . Allorché il rapporto sociale si estingua nei confronti di un socio è perciò compito degli amministratori, in ciò obbligati dal combinato disposto degli artt. 2261 e 2289 c.c., quello di rendere il conto della gestione al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota Cass., Sez. I, 16/01/2009, n. 1036 . Erra dunque palesemente il decidente del grado che, a fronte dell’inerzia della società, resasi inosservante anche dell’ordine di esibizione dei documenti utili a consentire di determinare il valore della quota, affermando che ulteriori elementi di prova non sono stati forniti dal B. , abbia ritenuto che l’onere di provare la situazione patrimoniale della società in funzione della determinazione della quota spettante al socio uscente debba far carico al medesimo, quantunque egli, per non essere più parte della compagine sociale sia impedito di accedere alla contabilità della società, che resta invece nella disponibilità dei soci superstiti e che per questo sono essi tenuti a provare il valore della quota in liquidazione. Onde per questo capo l’impugnata decisione, in accoglimento del motivo, va conseguentemente cassata. 4. Con il secondo motivo di ricorso il B. si duole poi sempre della violazione e falsa applicazione dell’art. 2289 c.c., poiché il decidente del grado avrebbe proceduto a determinare il predetto valore assumendo a base della valutazione equitativa della quota sociale non la situazione patrimoniale come prescritto dalla norma bensì l’utile d’esercizio relativo all’anno 1995. 5. Il motivo, argomentato sull’evidente presupposto che la Corte abbia in ciò tratto convincimento dalla deposizione del teste I. che aveva dichiarato che la società aveva maturato utili per circa 50/60 milioni annui sino al 1995, mentre aveva accumulato perdite negli anni successivi, è fondato e va pertanto accolto. E pur vero che nel caso che ne occupa la materia sia regolata, in considerazione della particolare natura della prestazione d’opera, di per se variabile, perché, tra l’altro, legata a fattori personali destinati a modificarsi nel tempo Cass., Sez. I, 2/08/1995, n. 8468 , da un criterio equitativo, di talché la sua adozione si imponga non solo quando si tratta di determinarne la partecipazione agli utili e alle perdite ai sensi dell’art. 2263 c.c., ma anche quando si tratta di procedere alla determinazione della quota spettante al medesimo in sede di liquidazione donde il principio che il criterio di ripartizione dei guadagni e delle perdite, stabilito dall’art. 2263 c.c., comma 2, per il socio che ha conferito la propria opera, vale anche all’atto dello scioglimento della società limitatamente al socio predetto per la determinazione della quota da liquidare a questo o ai suoi eredi. Pertanto, se nel contratto sociale sia riconosciuta, ai soci che conferiscono soltanto il loro lavoro, parità di diritti nella ripartizione dei guadagni e delle perdite, siffatto criterio deve seguirsi anche all’atto dello scioglimento del rapporto sociale nella liquidazione della quota al socio uscente. Se, viceversa, manchi una tale determinazione convenzionale, il valore della quota già spettante al socio conferente la propria opera è, ai fini della sua liquidazione, fissato dal giudice secondo equità, assumendo a base la situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento Cass., Sez. I, 20/03/2001. n. 3980 . E tuttavia anche in tal caso non si dubita che, implicando la partecipazione ad una società di persone in qualità di socio d’opera, senza cioè conferimento di beni e con un apporto di attività di lavoro, non soltanto un diritto alla distribuzione degli utili, ma anche un diritto, in caso di scioglimento del rapporto sociale, ad una liquidazione della quota proporzionata alla partecipazione ai guadagni art. 2289 c.c. , in relazione agli incrementi patrimoniali conseguiti dalla società Cass., Sez. I, 18/10/1985, n. 5126 , il giudice, investito della relativa domanda, nel procedere lungo il sentiero dell’equità possa deflettere dal chiaro criterio fissato dalla legge e possa prescindere dal determinare, pure secondo equità, la quota spettante al socio d’opera in uscita dalla società dalla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento art. 2289 c.c., comma 2 . Ne discende perciò che, pur potendo determinare il valore della quota in modo equitativo - ovvero facendo confluire nel proprio giudizio elementi che si riannodano alla particolare natura della prestazione resa dal socio d’opera - la valutazione del giudice, onde risultare conforme a diritto e non sconfinare nell’arbitrio, deve pur sempre muovere da un presupposto obbligato ed ineludibile costituito dalla situazione patrimoniale della società al momento dello scioglimento ovvero dovrà muovere da un documento - che, allorché non si renda disponibile per iniziativa dei soci, potrà essere predisposto senz’altro a mezzo di CTU in cui, in difetto di idoneo apporto documentale, potrà essere utilizzato ogni utile elemento di valutazione - da cui possa emergere l’effettiva consistenza patrimoniale della società al momento dello scioglimento. E di tutta evidenza che la decisione impugnata non si allinea in parte qua al principio di diritto enunciato e che per questo motivo merita quindi di essere cassata. 6. Il terzo motivo, a mezzo del quale si eccepisce, tra l’altro la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo motivazionale, nonché per omesso esame di un fatto decisivo, segnatamente in relazione alle circostanze evidenziate in sede istruttoria dal ricorrente ai fini di orientare utilmente il giudizio equitativo, resta conseguentemente assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso. 7. Vanno quindi accolti i primi due motivi di ricorso, mentre va assorbito il terzo. Cassata nei limiti anzidetti la decisione impugnata la causa va rinviata al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Catania che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.