Insinuazione al passivo ed effetti sulla prescrizione del credito e dell’ipoteca

L’ipoteca ha carattere accessorio rispetto al credito garantito, pertanto, ai fini dell’esercizio del diritto di garanzia sul bene ipotecato, non devono essere prescritti né il credito, né l’ipoteca, i quali, peraltro, sono soggetti ad un diverso regime prescrizionale.

La III sezione civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 1149/20, pubblicata in data 21 gennaio, ha espresso un importante principio in tema di effetti dell’insinuazione al passivo, con riferimento all’ipotesi di esecuzione forzata contro il terzo proprietario. I fatti. La fattispecie riguardava un’unita immobiliare acquistata nel maggio 1984 da una coppia, unità sulla quale gravava, in misura frazionata, un’ipoteca posta a garanzia del mutuo fondiario che un Istituto di credito aveva concesso alla società costruttrice. Dopo quattro anni, detta società veniva dichiarata fallita e la banca, seppur tardivamente 1992 , si insinuava al passivo del fallimento. Nell’anno 2004 succedeva nella titolarità del credito una nuova società che, con atto di precetto, intimava alla coppia acquirente, terza proprietaria del bene ipotecato, il pagamento della somma di euro 75.320,70. I coniugi si opponevano ex artt. 615 e 617 c.p.c. deducendo l’intervenuta prescrizione del credito e chiamando in causa anche la fallita società costruttrice, per essere tenuti indenni dalle conseguenze dell’esecuzione. Il Tribunale di Tivoli accoglieva parzialmente l’opposizione e la decisione veniva appellata dalla cessionaria del credito, innanzi alla Corte d’Appello di Roma che, all’esito dell’istruttoria, respingeva il gravame principale, accogliendo quello incidentale dei coniugi, con declaratoria di nullità dell’atto di precetto, per essere prescritto il relativo credito. In particolare, riteneva la Corte che gli effetti sospensivi del decorso della prescrizione, previsti dall’art. 2945 c.c., in conseguenza dell’insinuazione al passivo del creditore del fallimento della società costruttrice, potevano estendersi anche al debitore solidale, ma non ai terzi acquirenti dell’immobile ipotecato. Questi, a dire del Collegio, non acquistano la qualità di debitori solidali, piuttosto, di meri terzi proprietari del bene ipotecato ciò, perché la presentazione dell’istanza di ammissione al passivo comporta la risoluzione del contratto di mutuo, con interruzione della prescrizione, i cui effetti, tuttavia, non sono permanenti. Prescrizione. La nuova titolare del credito ha proposto ricorso in Cassazione avverso la suddetta sentenza ed i coniugi hanno resistito con controricorso. Con il primo motivo si è dedotta la violazione dell’art. 2938 c.c., sostenendo che La Corte romana aveva ampliato, d’ufficio, l’eccezione di prescrizione formulata dagli opponenti mentre questi ultimi avevano sostenuto che la prescrizione del credito era decorsa dal momento dell’ammissione al passivo fallimentare, la Corte di appello aveva individuato, d’ufficio, una prescrizione nuova. Il Collegio, pur ritenendo il motivo infondato, poiché in sentenza non era stato applicato un termine di prescrizione diverso da quello invocato dalla parte, ma semplicemente aggiunta una considerazione in diritto, ha comunque ritenuto di dover fare chiarezza sul principio iura novit curia . Si legge, infatti, in parte motiva, che non viola il principio dispositivo la sentenza di merito che accoglie l’eccezione di prescrizione ordinaria del diritto azionato, sulla base di una ragione giuridica diversa, da quella prospettata dalla parte che l’ha formulata. Infatti, è compito del giudice individuare gli effetti giuridici dei singoli atti indicati dalle parti e la tutela del contraddittorio è comunque garantita ponendo la parte contro la quale è formulata l’eccezione, nelle condizioni di difendersi, deducendo l’esistenza di eventuali atti rilevanti per tutto l’arco temporale considerato dal giudice. Con il secondo motivo è stata eccepita la violazione di legge, rilevando che la sentenza aveva affermato che gli atti interruttivi della prescrizione non esplicano effetti nei confronti di terzi datori di ipoteca e dei terzi acquirenti dell’immobile ipotecato, in violazione del diritto di sequela proprio della garanzia reale. La doglianza è stata parzialmente condivisa e il Supremo Consesso ha risolto un contrasto giurisprudenziale chiarendo che l’ipoteca ha carattere accessorio rispetto al credito garantito per esercitare il diritto di garanzia sul bene ipotecato, pertanto, è necessario che non si siano prescritti né il credito, tantomeno l’ipoteca. Tali diritti, peraltro, sono sottoposti ad un diverso regime di prescrizione mentre la Corte di appello aveva confuso i due piani, affermando che l’insinuazione al passivo del fallimento del debitore originario, non aveva prodotto effetti nei confronti dell’acquirente del bene ipotecato. Nel caso di specie, infatti, tra l’atto di acquisto dell’immobile e la notifica del precetto erano trascorsi meno di 20 anni ed il credito della società di costruzione non si era estinto, poiché aveva operato l’effetto interruttivo della insinuazione al passivo, il quale genera la sospensione fino alla chiusura del fallimento. Il terzo ed ultimo motivo, invece, è stato dichiarato inammissibile poiché volto a censurare un mero obiter dictum , piuttosto che la ratio decidendi del provvedimento della Corte d’Appello. Per quanto sopra, la Suprema Corte ha cassato la sentenza in relazione al motivo accolto e rinviato alla Corte territoriale, in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 giugno 2019 – 21 gennaio 2020, n. 1149 Presidente Vivaldi – Relatore D’Arrigo Fatti di causa I coniugi S.F. e Sc.Ma.Te. in data 11 maggio 1984 acquistavano dalla omissis s.r.l. un’unità immobiliare sulla quale gravava, in misura frazionata, un’ipoteca posta a garanzia del mutuo fondiario che l’Istituto Bancario San Paolo IMI di Torino aveva concesso alla società costruttrice. In data 27 gennaio 1988 la omissis s.r.l. veniva dichiarata fallita. L’Istituto San Paolo IMI si insinuava tardivamente al passivo del fallimento, con istanza del 13 ottobre 1992 data accertata, nel contrasto fra le parti, dalla Corte d’appello . Con atto di precetto notificato il 17 marzo 2004, la International Credit Recovery ICR s.r.l. - succeduta, a seguito di molteplici passaggi, nella titolarità del credito che era dell’Istituto San Paolo IMI - intimava allo S. e alla Sc. , nella qualità di terzi proprietari dell’immobile ipotecato, il pagamento della somma complessiva di Euro 75.320,70 oltre interessi. Successivamente, procedeva a pignorare l’unità immobiliare. Gli esecutati proponevano opposizione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., deducendo - fra l’altro e per quanto ora d’interesse - l’intervenuta prescrizione del credito. La ICR s.r.l. si costituiva contestando la fondatezza, in fatto e in diritto, dell’opposizione. Gli opponenti chiamavano in causa anche la omissis s.r.l., per essere tenuti indenni dalle conseguenze dell’esecuzione. La società fallita, tuttavia, non è più parte del rapporto processuale, poiché la stessa non veniva convenuta in grado d’appello e la Corte territoriale, con motivazione non impugnata sul punto, escludeva che dovesse essere ordinata l’integrazione del contraddittorio. Il Tribunale di Tivoli, per ragioni che oggi non vengono in rilievo, accoglieva parzialmente l’opposizione, riducendo l’importo dovuto ad Euro 37.175,57. La decisione era appellata in via principale dalla Sagrantino Italy s.r.l. quale mandataria di Pirelli Re Credit Servicing s.r.l., cessionaria della ICR s.r.l. . Gli opponenti proponevano appello incidentale, insistendo sull’eccezione di prescrizione del credito. La Corte d’appello di Roma, disattese alcune questioni preliminari, respingeva l’appello principale e accoglieva quello incidentale, dichiarando la nullità dell’atto di precetto per essere prescritto il relativo credito. In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto che gli effetti sospensivi del decorso della prescrizione, previsti dall’art. 2945 c.c., conseguenti all’insinuazione del creditore al passivo del fallimento della omissis s.r.l. potessero estendersi, ai sensi dell’art. 1310 c.c., al debitore solidale e quindi, eventualmente, al fideiussore, ma non anche ai terzi acquirenti dell’immobile ipotecario, i quali, a meno che non si accollino il mutuo frazionato, non acquistano la qualità di debitori solidali, bensì di terzi proprietari del bene ipotecato. Sostanzialmente, alla presentazione dell’istanza di ammissione al passivo è stato attribuito l’effetto di risolvere il contratto di mutuo e quindi di interrompere la prescrizione, ma non con effetti permanenti. Sicché, non risultando atti interruttivi intermedi, alla data di notifica dell’atto di precetto il credito era in realtà già prescritto. Contro tale sentenza la Sagrantino Italy s.r.l. divenuta, nel frattempo, mandataria della Cerved Credit Management s.p.a., nuova titolare del credito ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Lo S. e la Sc. hanno resistito con controricorso ed hanno depositato memorie difensive. Il ricorso è stato chiamato una prima volta in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c. Ma, in considerazione del carattere di novità e del rilievo nomofilattico delle questioni di diritto prospettate, con ordinanza interlocutoria del 1 aprile 2019 ne è stata disposta la trattazione in pubblica udienza. Ragioni della decisione 1. Va disattesa, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa indicazione degli estremi identificativi della sentenza impugnata. Invero, sembra che la società ricorrente abbia erroneamente riportato il numero della sentenza d’appello sul provvedimento tale numero non risulta annotato , ma l’individuazione del provvedimento impugnato è univoca, in quanto la Sagrantino Italy s.r.l. ha riportato nel proprio ricorso pure il numero di registro generale della causa di merito n. 6037 R.G.A.C. , che corrisponde a quello della sentenza allegata ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Inoltre, non assume alcun rilievo, non costituendo un requisito formale di validità del ricorso, la circostanza che gli estremi della sentenza impugnata non siano riportati nelle conclusioni del ricorso, essendo sufficiente che dal corpo dell’atto 5i comprenda con esattezza quale sia il provvedimento impugnato. 2.1 Venendo all’esame del ricorso, con il primo motivo si deduce - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 - la violazione e falsa applicazione dell’art. 2938 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. In particolare, la società ricorrente censura la decisione della corte d’appello nella parte in cui avrebbe ampliato d’ufficio l’eccezione di prescrizione formulata dagli opponenti. Quest’ultimi, infatti, con le memorie ex art. 183 c.p.c. avevano sostenuto che la prescrizione del credito fosse iniziata a decorrere non dalla scadenza dell’ultima rata del mutuo, prevista per il 10 luglio 1999, bensì dal momento dell’ammissione della banca San Paolo IMI al passivo fallimentare. La corte territoriale, invece, avrebbe dichiarato la prescrizione del credito sulla base di un rilievo diverso da quello formulato dagli opponenti, ossia spiegando che l’istanza di insinuazione al passivo aveva determinato, ai sensi degli art. 2945 e 1310 c.c., l’interruzione della prescrizione solo nei confronti del debitore principale e dei condebitori solidali, non anche nei confronti dei terzi proprietari estranei alla procedura. In tal modo, il giudice d’appello avrebbe individuato d’ufficio una prescrizione nuova e diversa da quella prospettata dagli opponenti, in violazione sia dell’art. 2938 c.c. sia dell’art. 112 c.p.c. Il motivo è infondato. 2.2 La questione sollevata dalla ricorrente involve il tema dei limiti e della estensione dei poteri di pronuncia del giudice di merito investito dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte. Si discute, cioè, se il giudice di merito, nel pronunciare sull’eccezione di prescrizione, debba necessariamente attenersi alle prospettazioni delle parti o se, invece, egli possa dichiarare l’estinzione del diritto sulla base di ragioni diverse. Sul punto, gli orientamenti giurisprudenziali non sono univoci. Un orientamento più risalente propende per la soluzione restrittiva ed esclude il potere del giudice di dichiarare una prescrizione diversa, o comunque fondata su ragioni diverse, rispetto a quella eccepita dalla parte. Ciò implicherebbe infatti il rilievo da parte del giudice di una prescrizione non opposta, in violazione sia del carattere dispositivo dell’eccezione di prescrizione sia del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato Sez. U, Sentenza n. 1607 del 03/04/1989, Rv. 462389 - 01 Sez. L, Sentenza n. 6261 del 15/05/2000, Rv. 536529 - 01 . Ed inoltre, il giudice d’appello che abbia applicato una prescrizione diversa da quella dedotta, violerebbe il principio del contraddittorio, nonché il divieto di eccezioni nuove in appello posto dall’art. 345 c.p.c. Sez. L, Sentenza n. 4456 del 08/04/2000, Rv. 535458 - 01 . In conclusione, dal carattere dispositivo della prescrizione deriverebbe, per la parte che propone la relativa eccezione, l’onere di tipizzarla in base ad una delle varie ipotesi previste dalla legge, anche se indipendentemente dall’adozione di formule rituali e dall’indicazione di specifiche norme Sez. L, Sentenza n. 10904 del 07/12/1996, Rv. 501094 - 01 . L’opposta opinione sostiene, invece, che il giudice, in virtù del principio iura novit curia, possa dichiarare anche una prescrizione diversa da quella eccepita dalla parte. Infatti, compete soltanto al giudice l’individuazione della norma corretta da applicare al caso di specie. Sicché, una volta che la parte abbia assolto al proprio onere di formulare l’eccezione di prescrizione e, in ossequio al carattere dispositivo dell’art. 2938 c.c., di allegare i fatti costituitivi e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, spetta al giudice analizzare l’eccezione di parte e individuare le norme applicabili alla fattispecie dedotta Sez. U, Sentenza n. 10955 del 25/07/2002, Rv. 556223 - 01 . Pertanto, sarebbe irrilevante l’evenienza che colui che invochi la prescrizione abbia erroneamente individuato il termine applicabile, ovvero il momento iniziale o finale di esso Sez. 1, Sentenza n. 11843 del 22/05/2007, Rv. 597118 - 01 Sez. L, Sentenza n. 9825 del 26/07/2000, Rv. 538836 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 15631 del 27/07/2016, Rv. 640674 - 01 . 2.3 Occorre rilevare che la ragione principale addotta da chi sostiene la tesi più restrittiva dei poteri officiosi del giudice risiede nell’esigenza di garantire l’esercizio della difesa da parte di colui contro il quale è stata eccepita la prescrizione, il quale, confidando sulla prospettazione di controparte, ben potrebbe aver limitato la sua difesa all’ambito temporale corrispondere al regime prescrizionale eccepito, trascurando ogni deduzione e allegazione ad esempio relativa a fatti interruttivi con riguardo ad un più ampio periodo. Tale esigenza si pone alla base di una opinione, per così dire, intermedia, secondo cui, nell’ipotesi in cui la parte abbia eccepito la prescrizione decennale, il giudice può ritenere invece che si sia verificata una prescrizione più breve, senza che ciò comporti una violazione del principio dispositivo, sia perché è suo compito la qualificazione giuridica dei fatti, sia perché l’allegazione del decorso del decennio implica l’allegazione di un termine eventualmente più breve, salvo che si tratti di casi in cui la legge, stabilendo la prescrizione breve, abbia anche dettato particolari disposizioni per la sospensione o l’interruzione. Viceversa, nel caso in cui la parte abbia eccepito una prescrizione quinquennale, così limitando a tale periodo la correlata difesa della controparte, deve reputarsi inammissibile la successiva qualificazione della prescrizione come decennale Sez. L, Sentenza n. 13898 del 11/12/1999, Rv. 532050 - 01 . Questo arresto giurisprudenziale ha il merito di porre a fuoco la circostanza che il nodo irrisolto dalla giurisprudenza concerne, in pratica, solamente i casi in cui, avendo l’obbligato eccepito una prescrizione quinquennale o comunque breve, purché non presuntiva , il giudice abbia invece ritenuto che si dovesse applicare il termine decennale, rispetto al quale ha ritenuto il diritto estinto. Nell’ipotesi inversa, in cui è stato eccepito l’intero decorso del termine ordinario decennale, ma ex officio è stata rilevata l’applicabilità di un termine più breve, le incertezze giurisprudenziali sono pressoché assenti, essendo stato comunque assicurato il contraddittorio circa l’esistenza di fatti interruttivi o sospensivi su un arco temporale maggiore di quello concretamente preso in esame dal giudice. 2.4 Orbene, nel caso in esame non si profila la predetta alternativa. Ciò di cui la società ricorrente si duole è che il giudice sia pervenuto al medesimo risultato invocato dagli opponenti, cioè la declaratoria di prescrizione del credito, applicando la medesima norma invocata dagli stessi, ma sulla base di una ragione giuridica diversa da quella eccepita. Nel caso oggetto di censura, pertanto, non si versa nell’ipotesi in cui sia stato applicato un termine di prescrizione diverso da quello invocato dalla parte. 2.5 Il principio di diritto che deve essere applicato è dunque il seguente Non viola il principio dispositivo di cui all’art. 2938 c.c., nè quello di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., la decisione del giudice di merito che accolga l’eccezione di prescrizione ordinaria del diritto azionato sulla base di una ragione giuridica diversa da quella prospettata dalla parte che ha formulato l’eccezione ad esempio, ritenendo che un determinato atto sia privo di efficacia interruttiva . Infatti, in base al principio iura novit curia, spetta al giudice individuare gli effetti giuridici dei singoli atti indicati dalle parti, attribuendo o negando a ciascuno di essi efficacia interruttiva o sospensiva della prescrizione, mentre la tutela del contraddittorio è assicurata ponendo la parte contro la quale è formulata l’eccezione nelle condizioni di difendersi deducendo l’esistenza di eventuali atti rilevanti ex artt. 2941, 2942, 2943 e 2944 c.c. per tutto l’arco temporale preso in considerazione dal giudice . 2.6 Questo principio non risulta violato nel caso in esame. Infatti, la Corte d’appello ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del credito sulla base del medesimo regime decennale ordinario invocato dagli opponenti, limitandosi ad aggiungere una considerazione in punto di diritto implicitamente sottesa nell’eccezione. Nel caso oggetto di censura, pertanto, non è stato applicato un termine di prescrizione diverso da quello invocato dai debitori circostanza che, invece, avrebbe potuto ledere le facoltà difensive della creditrice e non si ravvisano le violazioni di legge prospettate dalla società ricorrente. Il motivo, pertanto, deve essere rigettato. 3.1 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1310, 2878, 2880 e 2945 c.c. La censura concerne la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che, in base all’art. 1310 c.c., gli atti interruttivi della prescrizione non esplicherebbero effetto nei confronti dei terzi datori di ipoteca e dei terzi acquirenti dell’immobile ipotecato, in violazione del diritto di sequela caratteristico della garanzia reale. Il motivo è fondato nei termini che seguono. 3.2 Stante il carattere accessorio dell’ipoteca rispetto al credito garantito, condizione necessaria per poter esercitare il diritto di garanzia sul bene ipotecato è che non si siano prescritti nè il credito, nè l’ipoteca. Quando il bene ipotecato è di proprietà di un terzo - o perché così è stata costituita la garanzia o per essersi reso il terzo acquirente dell’immobile già gravato da ipoteca - si pone il problema se gli atti interruttivi della prescrizione del credito, che ovviamente devono compiersi nei confronti del debitore, valgano anche nei riguardi del proprietario dell’immobile. Il caso che più frequentemente si pone è quello in cui il creditore si insinua al passivo del fallimento del debitore garantito. Com’è noto, infatti, l’insinuazione al passivo fallimentare produce i medesimi effetti della proposizione di una domanda giudiziale e, pertanto, determina non solo l’interruzione della prescrizione del credito, ma anche la sospensione del suo decorso con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2, ex plurimis, Sez. 3, Ordinanza n. 9638 del 19/04/2018, Rv. 648427 - 01 . La questione di diritto rappresentata con il motivo in esame consiste nell’individuazione degli effetti, nei confronti del terzo datore di ipoteca o acquirente del bene ipotecato, dell’insinuazione al passivo del fallimento del debitore garantito. Se, cioè, tale atto determini anche l’interruzione della prescrizione dell’ipoteca e, nell’eventualità, se tale interruzione abbia effetti istantanei o permanenti. 3.3 Anche su questo punto sembra sussistere un contrasto fra diverse posizioni della giurisprudenza di legittimità. Una prima posizione è dell’avviso che ove un bene immobile gravato da ipoteca sia acquistato da un terzo, l’insinuazione al passivo del fallimento del debitore garantito ha natura di atto interruttivo della prescrizione anche nei confronti del terzo acquirente del bene ipotecato Sez. 3, Sentenza n. 20656 del 25/09/2009, Rv. 609350 - 01 . Un diverso arresto giurisprudenziale afferma, invece, che, stante la distinzione - presupposta dall’art. 2880 c.c. - tra diritto del creditore di espropriare il bene nei confronti del terzo acquirente e diritto di credito vantato nei confronti del debitore, il creditore, per evitare la prescrizione dell’ipoteca verso il terzo acquirente, deve promuovere contro il medesimo, nei termini, il processo esecutivo individuale, senza che costituisca valido atto interruttivo della prescrizione del diritto di garanzia l’ammissione al passivo del fallimento del debitore iscritto, che di quel bene abbia perduto la disponibilità Sez. 3, Sentenza n. 13940 del 07/07/2016, Rv. 640532 - 01 . 3.4 In realtà, ogni considerazione sul tema deve muovere dalla premessa che i due diritti sono sottoposti ad un diverso regime prescrizionale, decennale per il credito e ventennale per l’ipoteca art. 2880 c.c. . La Corte d’appello ha, invece, confuso i due piani, concludendo nel senso che l’insinuazione del creditore al passivo del fallimento del debitore originario non ha prodotto effetti nei confronti dell’acquirente del bene ipotecato. Ora, nel caso che ci occupa, è dirimente la circostanza che dalla data dell’atto di acquisto dell’immobile ipotecato 11 maggio 1984 a quella di notificazione dell’atto di precetto 17 marzo 2004 sono intercorsi meno di venti anni. Al contempo, neppure il credito nei confronti della OMISSIS s.r.l. si è estinto per prescrizione, in quanto ha operato l’effetto interruttivo dell’insinuazione al passivo avvenuta entro 10 anni dalla chiusura del rapporto con effetti sospensivi fino alla chiusura del fallimento avvenuta il 31 maggio 2007 . In conclusione, il credito diritto principale non si è estinto, per essersi verificato un atto interruttivo nei confronti del debitore, mentre l’ipoteca non si è estinta in quanto non è decorso il ventennio. Il motivo, quindi, deve essere accolto. 4.1 Con il terzo motivo si deduce - in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, comma 3, della L. n. 130 del 1999, art. 4 e dell’art. 1263 c.c., comma 1. La doglianza riguarda il capo della sentenza impugnata in cui si afferma che l’omessa insinuazione della cessionaria al passivo del fallimento della omissis s.r.l. avrebbe comportato l’inefficacia ex tunc dell’insinuazione e la prescrizione del diritto azionato anche in pendenza della procedura fallimentare. 4.2 Il motivo è inammissibile, in quanto volto a censurare ciò che, in realtà, non rappresenta la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello, bensì un mero obiter dictum. L’affermazione censurata, infatti, non è posta alla base della decisione impugnata, la quale si fonda esclusivamente sulle questioni di diritto già esaminate nei paragrafi precedenti. 5. In conclusione, il primo motivo deve essere rigettato e il terzo è inammissibile, ma il secondo è fondato. In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo e dichiara inammissibile il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.