Credito dello studio professionale: non è legittimato all’opposizione il singolo professionista (in proprio) ma solo il legale rappresentante

La legittimazione ad impugnare, ai sensi dell’art. 98 legge fallimentare, il decreto di parziale ammissione di un credito in sede di insinuazione al passivo fallimentare, spetta esclusivamente al medesimo soggetto che ha proposto la domanda di insinuazione, non potendo considerare tale il singolo professionista che agisce per conto dello studio professionale asseritamente creditore ma senza spendita del nome e senza precisare che l’opposizione viene proposta nella sua qualità di legale rappresentante.

Con l’ordinanza n. 14321 del 24 maggio 2019, il S.C. affronta, da un lato, la tematica della soggettività giuridica dello studio professionale in rapporto ai singoli componenti e, dall’altro, la legittimazione dei singoli componenti o del legale rappresentante relativamente alla procedura di insinuazione nella massa fallimentare dei crediti dello studio associato. Il caso. Uno studio professionale, all’esito della parziale ammissione del proprio credito nello stato passivo di un fallimento, riteneva di proporre opposizione ma tale attività veniva attuata da un singolo componente dello studio senza che fosse esplicitata la sua qualità di legale rappresentante. L’opposizione veniva rigettata sul rilievo della diversità del soggetto che aveva promosso l’insinuazione e successivamente l’opposizione. Ricorre per cassazione lo studio professionale per il tramite del proprio legale rappresentante sostenendo, per contro, la sostanziale identità dei soggetti. Il S.C. rigetta il ricorso confermando quindi il provvedimento del Tribunale reso al termine dei giudizio di opposizione. Studio professionale e soggettività giuridica. Il S.C. affronta, preliminarmente, la questione della titolarità in capo allo studio associato di posizioni giuridiche, confermando un orientamento ormai consolidato da tempo. In particolare, lo studio professionale associato, anche se privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi - quali le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi europei di interesse economico di cui anche i liberi professionisti possono essere membri - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici essi sono perciò dotati di capacità di stare in giudizio come tali, in persona dei loro componenti o di chi, comunque, ne abbia la legale rappresentanza secondo il paradigma indicato dall'articolo 36 c.c., fermo restando che il suddetto studio professionale associato non può legittimamente sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per l'espletamento delle quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso. Studio professionale e ripartizione delle spese. Al contrario, non può parlarsi di studio associato come autonomo centro di imputazione nel caso in cui i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscano per ciò solo all'associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservino la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente in questa ipotesi, infatti, non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale. Il fenomeno associativo tra professionisti, infatti, non può intendersi univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi, e, pertanto, inidoneo ad attribuire all'associazione la titolarità di un rapporto professionale. Una tale configurazione, invero, si pone in contrasto con la vigente normativa, in particolar modo con il disposto di cui all'articolo 36 c.c., nella parte in cui sancisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati. Opposizione allo stato passivo e legittimazione. Fermo quanto precede, la questione posta riguardava la possibilità per il singolo professionista di impugnare, in proprio, il decreto di parziale ammissione allo stato passivo in favore dello studio associato del quale il singolo professionista fa parte. Il S.C. in primo luogo precisa che il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell'immutabilità della domanda, all’interno del quale, quindi, non possono essere introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d'insinuazione al passivo. A seguire, la Cassazione, richiamando – anche qui – un più che consolidato orientamento, conferma l’inammissibilità dell’opposizione allo stato passivo in quanto promossa da un soggetto singolo professionista diversa dal creditore studio associato , non rilevando il fatto che il primo sia componente del secondo, mancando, invece, il riferimento all’essere legale rappresentante dello studio associato. Domanda di insinuazione proposta da studio professionale esclusione del privilegio ex articolo 2751-bis, n. 2. Il provvedimento affronta, infine, seppur sullo sfondo e come ulteriore argomentazione, il tema della legittimazione dello studio associato a proporre l’insinuazione nel fallimento. Come noto, infatti, la domanda di insinuazione al passivo fallimentare può essere proposta da uno studio associato qualora sia il centro di imputazione dell’obbligazione per cui è causa. Ciò, però, fa presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex articolo 2751- bis , n. 2, c.c., salvo che l'istante dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall'associazione professionale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 dicembre 2018 – 24 maggio 2019, n. 14321 Presidente Iofrida – Relatore Dolmetta Fatti di causa 1.- B.M. , rappresentante dello Studio omissis , ha presentato domanda di insinuazione in via privilegiata nel passivo fallimentare della s.r.l. omissis , per prestazioni professionali svolte a favore di questa società, quando era in bonis. La domanda è stata solo parzialmente accolta, avendo il giudice delegato ammesso il credito per una somma minore di quella richiesta e in via di chirografo. 2.- Nei confronti di tale provvedimento B.M. ha proposto opposizione L. Fall., ex art. 98 avanti al Tribunale di Verona. L’impugnazione è stata rigettata con decreto depositato in data 15 maggio 2014. 3.- Il Tribunale ha ritenuto, in particolare, l’ inammissibilità della domanda di opposizione la domanda di insinuazione allo stato passivo era stata presentata dal diverso soggetto Dott. B.M. nella veste di rappresentante dello Studio omissis , unico a essere eventualmente legittimato a opporsi a un provvedimento su di una propria domanda di ammissione allo stato passivo . Pure ha rilevato, in addizione, che in ogni caso, nel merito vi è prova documentale mandato professionale rilasciato dalla società poi fallita in bonis e fatturazione emessa che l’incarico è stato conferito all’associazione professionale, unico soggetto portatore della ragione di credito . 4.- Avverso il decreto del Tribunale veronese B.M. , in proprio e anche, ove occorrer possa, in qualità di rappresentante dello Studio omissis , ha proposto reclamo, articolando tre motivi di cassazione. Il Fallimento non ha svolto difese in questo grado di giudizio. Ragioni della decisione 5.- Il primo motivo di ricorso assume nullità del decreto reso dal Tribunale di Verona o nullità del procedimento di opposizione L. Fall., ex art. 98 v. art. 360 c.p.c., n. 4 e/o violazione o falsa applicazione di legge art. 360 c.p.c., n. 3 , con mancato rispetto dei principi rivenienti dalla L. Fall., artt. 98 e 99, artt. 81 e 323 c.p.c. e ss., letti in combinato disposto con gli artt. 1117 c.c. ss., da un lato, e con gli artt. 2232, 2247, 38, 2267-2268 e 2615 c.c., dall’altro, per avere il Tribunale di Verona affermato il ricorrere di una netta e incompatibile differenza, con conseguente dedotta alterità sul piano soggettivo, intercorrente tra il professionista intellettuale e l’associazione professionale nella quale questi faccia parte, con, quale conseguenza ulteriore, la rilevata carenza di legittimazione a impugnare lo stato passivo dichiarato esecutivo in capo al singolo professionista ove il procedimento di prima istanza abbia visto la presenza in giudizio, quale parte, dello studio associato . Nella sostanza, il motivo si concretizza nell’affermare la piena legittimazione - anche in capo al Dott. B. in proprio, cioè - ad opporre lo stato passivo. E ciò anche a fronte dell’eventualità per cui nel precedente procedimento conclusosi per l’accertamento del credito, l’istanza fosse stata se del caso formulata dall’associazione professionale . L’assunto viene fatto discendere - nei termini di ricaduta consequenziale - dal più generale assunto per cui quella impersonata dallo studio professionale associato è posizione soggettiva del tutto anomala o quantomeno peculiare . Assunto che pure comporta - quasi a mò di medio logico, anzi, tra questa premessa e la sopra riferita inferenza - che, per l’associazione professionale, si determina una situazione di indifferenza, da un punto di vista sostanziale e anche processuale, relativamente al soggetto i.d. lo studio professionale ovvero uno degli associati che agisca in giudizio per tutelare gli interessi e le ragioni riconnesse al conferimento di un incarico professionale . A supporto ulteriore della tesi così sviluppata, il ricorrente segnala poi come la giurisprudenza di questa Corte abbia parificato l’associazione professionale, fra gli altri, al condominio viene richiamata, al riguardo, la pronuncia di Cass., 28 luglio 2010, n. 17683 . Per aggiungere che in materia di condominio, è pacifico il principio secondo cui - resa in prime cure la sentenza nei confronti dell’ente - il singolo condominio ha ogni pieno potere di gravare la decisione , come pure ripetuto da più pronunce di questa Corte. E ancora marcare, al riguardo, la sussistenza di un forte parallelismo tra studio professionale associato e condominio o ente di gestione , entrambi privi di proprio e separato patrimonio , a differenza di quanto accade nelle società semplici, consorzi e associazioni non riconosciute . 6.- Il motivo non merita di essere accolto. Per entrare in modo opportuno nel merito della relativa disamina, è importante fissare, prima di ogni altra cosa, taluni punti di base. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte - è bene dunque rilevare -, l’associazione professionale costituisce un centro autonomo di imputazione e di interessi, tanto nel caso in cui assuma la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera, quanto in quello in cui si limiti a dare vita a una condivisione di segreteria cfr., tra le più pronunce, Cass., 13 aprile 2007, n. 8853 Cass., n. 17683/2010, già sopra richiamata . Da ciò tra l’altro discende pure che, naturalmente, lo studio associato e i singoli professionisti, che vi si associano, costituiscono dei centri di imputazione e di interessi distinti tra loro. Punto altrettanto sicuro - perché non meno consolidato nella giurisprudenza di questa Corte - può dirsi quello per cui il procedimento di opposizione all’esclusione dallo stato passivo si configura come giudizio che ha natura impugnatoria rispetto alla verifica compiuta in prima battuta dal giudice delegato cfr. ex multis, Cass., 3 novembre 2017, n. 26225 . Ne consegue che il tema, posto dal motivo in esame, si focalizza in buona sostanza sulla questione se - nell’ambito della figura dell’associazione tra professionisti - un centro di interessi diverso da quello che ha presentato la domanda nel primo grado del giudizio possa, pur non avendo preso parte allo stesso, impugnare il provvedimento di rigetto della detta domanda. 7.- A tale quesito non si può che dare risposta negativa. Così come ha ritenuto il decreto impugnato. È invero principio comune che la legittimazione a impugnare spetta solo a chi è stato parte del processo concluso con la pronuncia che viene impugnata. Del resto, il tenore della norma della L. Fall., art. 98, comma 2, non manca di riscontrare che con l’opposizione il creditore contesta che la propria domanda sia stata accolta solo in parte o sia stata respinta . Da quest’angolo visuale si manifesta dunque irrilevante e inconferente l’affermazione del ricorrente per cui è in sé indifferente se ad agire - per il riconoscimento di un credito da prestazione professionale e per la condanna al relativo pagamento - è l’associazione o uno dei suoi associati. Per determinare la legittimazione all’impugnazione, in effetti, non si può che fare comunque riferimento a chi, nella concreta dinamica dei fatti processuali, è stato parte nel giudizio concluso con l’impugnanda sentenza. 8.- Non condivisibile risulta, d’altro canto, neppure l’assunto di base del ricorrente, per cui è in sé indifferente - in punto di legittimazione - se ad agire per il recupero del credito da prestazione professionale è l’associazione ovvero il singolo associato. Secondo un indirizzo sviluppato da questa Corte, nel caso in cui i professionisti si associno per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi dell’attività , senza trasferire all’associazione la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera, la relativa legittimazione attiva fa capo esclusivamente ai singoli associati interessati Cass., 22 marzo 2007, n. 6994 . Non diversamente, nel caso in cui i rapporti, di cui all’attività professionale, siano stato attribuiti all’associazione, questa risulta l’unica legittimata per lo svolgimento delle conseguenti azioni Cass., 15 luglio 2011, n. 15694 . Non contraddice - per il punto della legittimazione - questo orientamento il più recente, e sfumato, indirizzo formulato da questa Corte che non esclude l’eventualità che l’associazione possa chiedere l’ammissione al passivo anche per crediti di pertinenza propria dei singoli associati cfr. Cass., 31 marzo 2016, n. 6285 Cass., 20 aprile 2018, n. 9927 . In effetti, tale orientamento fa riferimento sostanziale all’ipotesi in cui la pertinenza propria del singolo associato si pone non a livello esterno di rapporti con il cliente, cioè , bensì a quello interno, come appunto corrente tra gli accordi ripartitori tra i diversi associati illuminante resta, al riguardo, la sentenza di Cass., 23 maggio 1997, n. 4628 . Rimane in ogni caso fermo, poi, che il singolo associato non è, in quanto tale, legittimato ad agire per il recupero dei crediti propri dell’associazione. 9.- Non viene a mutare l’indicato stato delle cose il parallelismo strutturale che il ricorrente ritiene sussistere - richiamando la giurisprudenza di questa Corte, e in particolare la pronuncia di Cass., n. 17683/2010 - tra la figura dell’associazione professionale e quella del condominio. In realtà, questa pronuncia si limita, in sostanza, a ripetere quanto già rilevato dal precedente di Cass., n. 4628/1997, la quale - nel superare precedenti incertezze manifestate dalla Corte sul punto della soggettiva autonomia giuridica dell’associazione - ebbe a rilevare che, quantunque privo di autonoma personalità giuridica, lo studio associato rientra, a pieno titolo, nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi quali sono, ad esempio, le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna, ed ora altresì i gruppi Europei di interesse economico di cui anche liberi professionisti possono essere membri cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi punti di imputazione di rapporti giuridici, e che sono perciò dotati di capacità di stare in giudizio come tali . Si tratta, com’è evidente, di un richiamo di mero genere, oltre che solamente esemplificativo, di una serie variegata di figure. Che ha, quindi, il significato di una indicazione di carattere descrittivo e che, perciò, si manifesta in sé stesso inidoneo ad accreditare una qualunque ipotesi di integrazione disciplinare. Del resto, la differenza strutturale che intercorre tra una figura di comunione di bene, qual è il condominio, e una figura di svolgimento in comune di un’attività o di messa in comune di servizi, secondo quanto è proprio dell’associazione professionale, può solo condurre, al più, ad accostamenti di tratto generico e di segno descrittivo. 10.- Il secondo motivo di ricorso richiama violazione e/o falsa applicazione di legge art. 360 c.p.c., n. 3 e/o nullità del provvedimento impugnato o del procedimento art. 360 c.p.c., n. 4 in ragione dell’erronea lettura dell’art. 156 c.p.c. interpretato in combinato con l’art. 77 c.p.c. per avere il Tribunale di Verona dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione allo stato passivo in forza, al momento di svolgere l’insinuazione, di una pur non equivoca affermazione di contemplatio del soggetto rappresentato ossia dello studio professionale ricavandone appunto, a fronte del rilievo per cui l’azione in via di opposizione fu esperita dal singolo professionista, l’irricevibilità del relativo ricorso o, alternativamente, in forza, al momento di opporre lo stato passivo, di una analogamente inequivoca affermazione di contemplatio del soggetto rappresentato ossia, ed ancora, dello studio professionale ricavandone, a fronte del fatto che l’insinuazione era stata svolta dallo studio professionale, l’irrituale proposizione dell’opposizione L. Fall., ex art. 98 . Nel suo svolgimento sostanziale, il motivo viene poi ad articolarsi in due distinte - e, di per sé, tra loro alternative - censure al decreto impugnato. La prima è che questo ha errato nel ritenere che a proporre la domanda di insinuazione fu lo studio associato e non B.M. . A sostegno di questa tesi, il ricorrente rileva che, nel concreto, la domanda di insinuazione fu svolta dal dottore commercialista B.M. rappresentante dello Studio per contro – si argomenta - se lo studio avesse insinuato un credito proprio, la dicitura avrebbe dovuto essere Studio , in persona del legale rappresentante B.M. . La seconda è che, a volere ammettere che l’insinuazione fu svolto dal Dott. B. quale rappresentante dello Studio , allora si sarebbe dovuto concludere che pure l’opposizione era stata presentata nei medesimi termini, in quanto le prestazioni da remunerare erano state appunto rese nel contesto dell’attività svolta dallo Studio . 11.- Il motivo è inammissibile. Lo stesso, infatti, sollecita una nuova valutazione dei dati fattuali posti alla base del giudizio relativo alla mancanza di legittimazione del soggetto che, nel concreto, presentò l’opposizione di cui alla L. Fall., art. 98. D’altro canto, le valutazioni compiute al riguardo dal Tribunale di Verona si manifestano senz’altro ragionevoli, essendo le stesse fondate sulla piana interpretazione testuale della domanda di insinuazione e del ricorso in opposizione. 12.- Il terzo motivo assume violazione e/o falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 2751 bis c.c., per essersi erroneamente escluso il privilegio assicurato dalla disposizione de qua in ragione del puro e semplice rilievo della circostanza per cui, nel testo mandato professionale dall’adempimento del quale sorsero poi i crediti oggetto dell’insinuazione, risultava contemplato un riferimento allo studio professionale nel cui ambito si trovava a operare il singolo libero professionista che poi maturò il diritto al compenso, dando così centrale e decisivo peso al solo momento genetico del rapporto, senza poi considerarne lo svolgimento in concreto . Il mancato accoglimento dei primi due di ricorso, relativi al tema della legittimazione a impugnare, comporta assorbimento del terzo motivo, che riguarda il merito della controversia. 13.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto. Non vi è da provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendosi costituito l’intimato Fallimento. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto del comma 1 bis dell’art. 13.