Chiusura del fallimento: solo in assenza di (tempestive) domande di insinuazione al passivo

L’art. 118, n. 1, legge fallimentare deve interpretarsi nel senso che la chiusura del fallimento può avvenire per il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento, e non è consentita di tale norma un’interpretazione diversa da quelle letterale che finisca per precludere, anche in caso di rinuncia alla tempestiva, il diritto alla insinuazione tardiva assicurato dall’art. 101 l.fall. viceversa, l’eventualità del ritiro della domanda tempestivamente presentata, ovvero l’eventualità della sua rinuncia prima della adunanza di verifica dei crediti, può rilevare nel distinto contesto di un’interpretazione estensiva dell’art. 118, n. 2, l.fall., nell’ampia categoria dell’accertamento in ordine alla inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare.

Con l’ordinanza del 16 maggio 2019, n., 13270, il S.C. chiarisce la portata dell’art. 118 legge fallimentare, da interpretarsi nel senso di non equiparazione, ai fini della chiusura del fallimentare, tra domande di insinuazione non presentate e domande tempestivamente presentate ma ritirate per rinuncia. Il caso. Alla base dell’ordinanza in commento vi è la richiesta di chiusura del fallimento promossa da una società nel corso del procedimento fallimentare, sul rilievo che tutte le domande di insinuazione al passivo, seppur tempestivamente presentate, erano state ritirate. Il Tribunale e la Corte di Appello hanno rigettato la domanda di chiusura del fallimento rilevando la differenza tra la mancanza di domande tempestivamente presentate – che determina la chiusura del fallimento - e l’assenza di domande, dovuta per contro al fatto che le domande erano state ritirate anche se presentate nei termini 30 giorni prima dell’udienza di verifica . Quest’ultima ipotesi, alla stregua di un’analisi complessiva della lettera e della ratio della norma, non determina la chiusura del fallimento, secondo quanto illustrato nella massima in epigrafe. La chiusura del fallimento ai sensi dell’art. 118 l. fallimentare come e perché. Ai sensi dell’art. 118, n. 1, legge fallimentare, la procedura di fallimento si chiude se nel termine stabilito dalla sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo. In realtà – e ciò costituisce il principale profilo di rilevanza dell’ordinanza in esame - la mancata presentazione di domande nel termine fissato dalla sentenza dichiarativa di fallimento non comporta automaticamente la chiusura della procedura, in quanto essa configura più limitatamente un'ipotesi di inutile prosecuzione della medesima se ne ricava quindi che ove siano state presentate domande tardive entro l'emanazione del decreto di chiusura la procedura debba proseguire. Chiusura del fallimento e presentazione di domande tardive. Se, come visto poc’anzi, l'ipotesi di chiusura del fallimento di cui al n. 1 dell'art. 118 L. Fall. - mancata presentazione di domande di ammissione al passivo nel termine stabilito dalla sentenza di fallimento - configura una fattispecie di inutilità della pendenza della procedura in carenza di domande, non è però da escludere la possibilità della prosecuzione ove queste siano comunque presentate prima del decreto di chiusura, purché non sussistano altre condizioni per la cessazione della procedura quali, ad esempio, l'impossibilità di soddisfare neppure in parte i creditori concorsuali e le spese di procedura. Il S.C. infatti distingue l’ipotesi di mancata presentazione delle domande di insinuazione al passivo – che comporta la chiusura del fallimento – dall’ipotesi in cui le domande, tempestivamente presentate, sono state poi ritirate. Tale ipotesi non rientrerebbe nella previsione di cui all’art. 118, n. 1, l.f. ma, in base ad altre valutazioni, all’ipotesi di cui al n. 4, ossia all’ipotesi per la quale la prosecuzione del procedimento non consente, neppure parzialmente, la soddisfazione dei creditori. Domande tempestive e domande tardive. Sul punto, la distinzione è nota le domande tempestive sono le insinuazioni presentate entro 30 giorni dalla data di verifica dei crediti, mentre le domande tardive sono quelle presentate successivamente a tale udienza ed entro i 12 mesi successivi alla esecutorietà dello stato passivo. In tale contesto, la presenza di domande tempestive ma rinunciate non consente di chiudere il fallimento, non tanto perché tali domande debbano essere valutate nel segno della eventuale utile collocazione, quanto piuttosto perché il testo della disposizione afferisce solo al caso di chiusura per mancata presentazione di domande tempestive. Non rileva, infatti, che le domande siano poi rinunciate, visto che la sola presenza di domande tempestivamente presentate implica in ogni diverso creditore la possibilità di fare affidamento sull’utile prosecuzione della procedura ai fini dell’insinuazione anche tardiva. Soddisfazione dei creditori e durata della procedura. La discrezionalità rimessa al Giudice nel valutare la possibilità di non chiudere il fallimento in presenza di domande tempestivamente presentate ma ritirate è, del resto, il riflesso di una discrezionalità che si ritrova anche in altri profili degli organi fallimentari. Ad esempio, è orientamento consolidato in giurisprudenza che la chiusura del fallimento di una società disposta, per l'integrale avvenuto pagamento dei creditori ammessi, ai sensi dell'art. 118 legge fallimentare, non preclude l'adozione discrezionale di appositi accantonamenti in favore di creditori non ancora ammessi al passivo - per essere pendenti i relativi giudizi di opposizione allo stato passivo - mediante modalità di deposito stabilite dal giudice delegato che il curatore è tenuto ad attuare avvalendosi, ove in tal senso disposto dal medesimo giudice, degli strumenti contrattuali ritenuti più idonei. La chiusura del fallimento nel nuovo codice della crisi di impresa. Il testo dell’art. 118 legge fallimentare è stato sostanzialmente riproposto nel nuovo codice della crisi di impresa d.lgs. n. 14/2019 e, in particolare, nell’art. 233. Il codice in questione, peraltro, ha sostituito la procedura di fallimento con la procedura di liquidazione giudiziale”, allo scopo di eliminare le pesanti ripercussioni, anche di ordine sociale e personale, che poteva originarsi dall’attribuzione dell’aggettivo fallito” all’imprenditore insolvente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 marzo – 16 maggio 2019, n. 13270 Presidente Didone – Relatore Terrusi Fatti di causa La corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da omissis s.r.l. in liquidazione contro l’ordinanza con la quale il tribunale di Roma ne aveva a sua volta rigettato l’istanza di chiusura del fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 118, n. 1. La corte ha premesso che erano state presentate 32 domande di ammissione, tra tempestive e tardive, ancorché rinunciate, ma ha ritenuto che il caso concreto esulasse dall’ambito applicativo della norma, non essendo caratterizzato dal presupposto negativo dell’assenza di domande . Ha affermato che non era da condividere l’assunto della reclamante circa l’irrilevanza delle domande tardive ai fini della prosecuzione della procedura fallimentare, non essendo i relativi creditori suscettibili di esser considerati estranei alla procedura medesima che invero si trattava di creditori della massa, per quanto la loro posizione non fosse stata ancora definitivamente accertata. Ha aggiunto che in ogni caso la decisione del tribunale era da ritenere corretta in quanto l’istanza di chiusura era stata disattesa anche sul presupposto dell’avvenuta fissazione dell’udienza per la verifica della regolarità delle desistenze dei creditori tardivi, e per lo meno fino a tale udienza non poteva ritenersi formalmente accertata l’assenza del ceto creditorio. Per la cassazione del provvedimento la società ha proposto ricorso affidato a due motivi. La curatela del fallimento e gli altri soggetti intimati non hanno svolto difese. Ragioni della decisione I. - Col primo mezzo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 118, comma 1, e dei principi regolatori desunti dalla legge fallimentare, con riferimento alla ritenuta inapplicabilità della citata norma per la sussistenza di domande di insinuazione, seppur rinunciate prima del loro esame. Col secondo mezzo ulteriormente denunzia la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 101 e art. 118, n. 1, con riferimento alla ritenuta inapplicabilità del regime di chiusura del fallimento in ragione dell’asserita rilevanza delle eventuali future domande tardive. II. - Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, non è fondato. In punto di fatto la ricorrente espone che nel termine indicato dalla L. Fall., art. 16, n. 5, erano state nel caso concreto presentate 29 domande di ammissione al passivo, le quali domande erano state tuttavia rinunciate prima dell’adunanza di verifica. Peraltro la curatela aveva chiesto al giudice delegato la fissazione di una successiva adunanza, essendo nel frattempo intervenute altre domande tardive. Poiché anche queste domande erano state rinunciate, il giudice delegato aveva fissato un’apposita ulteriore adunanza per la verifica della regolarità delle relative desistenze. Nel ricorso è riportato il contenuto del provvedimento assunto dal tribunale fallimentare sull’istanza di chiusura del fallimento costì immediatamente presentata ai sensi della L. Fall., art. 118, n. 1 e si apprende che il tribunale aveva ritenuto che la chiusura non potesse esser dichiarata perché, considerato l’andamento appena riferito, vi era la concreta possibilità che venissero proposte ulteriori domande entro l’anno, atteso l’elevato numero di creditori emergente dall’elenco fornito dalla stessa società debitrice in sede concordataria. La decisione, gravata da reclamo, è stata confermata dalla corte d’appello di Roma sulla base dei rilievi menzionati in narrativa, a fronte dei quali la ricorrente sottolinea invece che l’avvenuta rinuncia alle domande tempestive avrebbe dovuto comportare automaticamente, e senza alcuna discrezionalità per il giudice, la chiusura del fallimento, stante l’equiparazione della rinuncia al caso della mancata presentazione di domande. III. - Osserva il collegio che la tesi della ricorrente, che riecheggia talune note posizioni dottrinali sul tema, non può essere condivisa. Giova premettere che la ratio della norma che impone la chiusura per mancata presentazione di domande tempestive deve essere coordinata con l’attuale regime dell’insinuazione tardiva, sempre ammissibile entro il termine generale di dodici mesi salvo proroga da parte del tribunale dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo L. Fall., art. 101 . Da questo punto di vista occorre considerare che la legge reputa tempestive soltanto le domande presentate entro il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica del passivo, e che tutte le altre vengono automaticamente ritenute tardive sebbene de plano ammissibili entro il sopra citato termine, decorrente dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, e scrutinabili in base alla stessa identica disciplina delle domande tempestive, nell’ambito di un procedimento attivabile con cadenza quadrimestrale analoga oltre tutto alla cadenza prevista per la ripartizione dell’attivo ciò a testimonianza della sentita necessità di evitare che si faccia luogo a ripartizioni parziali senza il previo esame di domande sì tardive nel senso appena detto , ma in ogni caso già depositate. In sostanza, l’ammissione tardiva del credito al passivo non si differenzia dalla tempestiva se non per il rischio di parziale incapienza L. Fall., art. 112 e art. 101, comma 3 . E questo è tanto vero che, seppure anomalo rispetto al fisiologico andamento delle operazioni quadrimestrali di verifica, è stato da questa Corte considerato legittimo finanche il provvedimento del giudice delegato che disponga l’inserimento immediato nello stato passivo di una domanda di ammissione tardiva, alla stessa maniera di quelle tempestive - visto che la fissazione di una nuova adunanza, pur in mancanza di particolari ragioni ostative alla decisione nell’adunanza già fissata, contrasterebbe - si è detto - con l’obbiettivo del sollecito espletamento delle operazioni di verifica dei crediti perseguito dalla legge v. Cass. n. 4792-12 . IV. - Ora giova dire che la ratio della L. Fall., art. 118, n. 1, è legata alla funzione del processo di fallimento. Si dice poiché tale processo è finalizzato a liquidare il patrimonio del debitore col fine di soddisfare i creditori, se nessun creditore presenta domanda vuol dire che nessuno ha intenzione di profittare del titolo costituito dalla sentenza dichiarativa, onde partecipare al riparto del ricavato della liquidazione del patrimonio quindi non v’è ragione di procedere alla liquidazione stessa e il fallimento deve esser chiuso. Da questo punto di vista si ritiene anzi comunemente che il fallito sia titolare di un diritto soggettivo a ottenere la chiusura del fallimento quando questo non sia più necessario per i creditori, anche a prescindere dal principio di ragionevole durata. Sulle citate enunciazioni può convenirsi. L’anzidetta spiegazione implica, però, l’inesistenza di una razionale causa di prosecuzione del fallimento ove non risultino presentate affatto le domande tempestive, sintomo dell’assenza di creditori da soddisfare e dunque non può essere estesa per ermeneusi al caso diverso in cui domande tempestive siano state presentate e successivamente siano state rinunciate, e in cui oltre a quelle siano state altresì presentate, prima dell’adunanza di verifica e comunque prima dell’adozione di un qualunque provvedimento sull’istanza di chiusura, domande tardive de plano ammissibili. Se, come pure si dice, vi è sotteso il tema della cd. mancanza di passivo, non può sostenersi che, una volta che le tempestive siano state presentate, il loro ritiro rilevi di per sé. Ove si rispondesse affermativamente, la procedura dovrebbe giungere all’epilogo della chiusura L. Fall., ex art. 118, n. 1, ancorché in presenza di domande tardive ammissibili, già presentate e da scrutinare nel modo appena visto conclusione - questa - che per quanto sostenuta da una parte della dottrina, sul rilievo che il profilo della eventuale presentazione di domande tardive non sarebbe previsto dall’art. 118, n. 1, come evento impeditivo, contrasta proprio con la leva dell’irragionevolezza della procedura liquidatoria. V. - Va tuttavia in parte corretta anche l’argomentazione che si rinviene nell’unico precedente di questa Corte sul tema Cass. n. 4021-17 , secondo cui, a seguito della riforma della legge fallimentare di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 e al D.Lgs. n. 169 del 2007, la L. Fall., art. 118, n. 1, andrebbe interpretato nel senso che il fallimento non può essere chiuso in presenza di domande, tempestive o tardive, che, una volta presentate, siano destinate ad un’utile collocazione . L’art. 118, n. 1, è riferito alla non avvenuta presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento id est, di domande tempestive. Se ne desume che la presenza di domande tempestive poi rinunciate non consente di chiudere il fallimento, ma non perché come affermato dalla ripetuta Cass. n. 4021-17 tali domande - tempestive o tardive debbano poi essere valutate nel segno dell’eventuale loro utile collocazione, quanto piuttosto e semplicemente perché il testo della disposizione afferisce solo al caso della mancata presentazione di domande tempestive, che è motivo di chiusura nell’ottica acceleratoria sottesa alla norma. E una tale ottica non rileva di per sé ove domande tempestive siano state presentate, a prescindere dall’eventuale loro successiva rinuncia, giacché la circostanza che ci siano state domande tempestive implica in ogni eventuale diverso creditore la possibilità di fare affidamento sull’utile prosecuzione della procedura ai fini dell’insinuazione anche tardiva. VI. - La ricostruzione del sistema va peraltro completata secondo la coordinazione delle cause di chiusura del fallimento di cui alla L. Fall., art. 118, nn. 1 e 2. Il fallimento si chiude naturalmente nei limiti di quanto interessa 1 se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo e 2 quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione . Anche ai sensi dell’art. 118, n. 2, la procedura non ha ragione di proseguire, solo che qui la causa è proprio costituita dal fatto che non ci sono più creditori da soddisfare. Essendo al centro della norma il caso dell’accertata inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare, è naturale inferire che non rileva in sé la circostanza della modalità estintiva del debito già ammesso al passivo, sebbene la circostanza oggettiva che i debiti - ammessi al passivo o solo postulati mediante la domanda di insinuazione - siano risultati estinti. Il che collima con le conclusioni alle quali era a suo tempo giunta la dottrina classica, la quale in relazione al testo originario dell’art. 118 aveva giustappunto osservato come la modalità con la quale il debito fosse venuto meno neppure doveva interessare ai fini indicati, ben potendo essa conseguire anche al ritiro della domanda da parte del creditore o alla rinuncia all’ammissione del credito. I precitati elementi che concorrono all’esegesi inducono ad affermare il principio per cui l’art. 118, n. 1, L. Fall. prevede come motivo di chiusura del fallimento il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa, e non è consentita di tale norma un’interpretazione diversa da quella letterale che finisca per precludere, anche in caso di rinuncia alla domanda tempestiva, il diritto all’insinuazione tardiva assicurato dall’art. 101 viceversa l’eventualità del ritiro della domanda tempestivamente presentata, ovvero l’eventualità della sua rinuncia prima dell’adunanza di verifica dei crediti, può rilevare nel distinto contesto di un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 118, n. 2, nell’ampia categoria dell’accertamento in ordine all’inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare. È dunque corretta la decisione della corte d’appello di Roma che, come del resto il tribunale, ha negato la chiusura essendo stata nella specie fissata un’apposita adunanza per la verifica dell’effettività delle desistenze a fronte delle domande presentate, tempestive e tardive. Il ricorso è rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.