L’impero colpisce ancora (e perde nella battaglia tra marchi deboli)

Mentre per il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti a escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte.

La vicenda. La società L. S.r.l. depositava nell’agosto del 2011 un marchio costituito dalle parole MISS IMPERO”. La società I. S.p.a., titolare del marchio IMPERIAL” proponeva opposizione alla suddetta domanda di registrazione sul presupposto della titolarità del marchio anteriore ritenuto identico così come identici erano i prodotti per i quali era stata chiesta la registrazione. Vi era, secondo l’opponente, un evidente rischio di confusione tra i segni in questione stante la somiglianza dei marchi a livello visivo, fonetico e concettuale e stante l’identità e affinità dei prodotti interessati. La Commissione prendeva in considerazione quando posto in rilievo dall’esaminatore che aveva escluso la somiglianza a livello visivo per il consumatore medio in considerazione della prevalenza all’interno del marchio opposto della parola MISS” posta davanti al termine IMPERO” a livello fonetico ancora la presenza della parola MISS” imprimeva una intonazione e ritmo diverso nella sillabazione rispetto al marchio anteriore Da ultimo, a livello concettuale il riferimento all’impero del marchio anteriore declinato a dominio di un imperatore era di natura differente rispetto al concetto di Miss intesa come donna di eccezionale bellezza. In definitiva, l’esaminatore dell’UIBM Ufficio Italiano Brevetti e Marchi escludeva il rischio di confusione in quanto l’elemento dominante del marchio opposto non poteva essere identificato con le cinque lettere comuni ai due marchi IMPER” essendo piuttosto dominante il termine inglese MISS” evocativo di bellezza femminile. La pronuncia della Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell’UIBM. Avverso la decisione dell’Ufficio, la società I. S.p.a. proponeva ricorso alla Commissione lamentando l’erronea valutazione della capacità distintiva posseduta dal proprio marchio in quanto il segno IMPERIAL” era stato diffusamente utilizzato sin dai primi anni 80 ed era quindi un segno distintivo forte ossia dotato di intensa capacità distintiva in considerazione della distanza semantica rispetto ai prodotti contrassegnati e notorio in quanto diffuso tramite una massiccia pubblicità. Inoltre, la ricorrente lamentava una errata modalità di procedere da parte dell’esaminatore in quanto avrebbe dovuto prima individuare il nucleo espressivo del marchio IMPERIAL” e poi valutare l’inclusione del segno MISS IMPERO” lasciando infine l’analisi della presenza di elementi estranei al nucleo e il loro peso rispetto all’economia complessiva del marchio in esame. Infine, la I. S.p.a. lamentava come sarebbe stato necessario compiere una valutazione tra i segni in rapporto ai prodotti contraddistinti dai due marchi. L’opposizione veniva rigettata dalla Commissione dei ricorsi con sentenza del 24.02.2014, n. 16. Il provvedimento chiariva come il termine IMPERIAL” fosse costituito dallo sviluppo della parola impero”, elemento debole e quindi non adatto a creare una esclusiva nei confronti di tutti quei marchi con radice imper”, soprattutto se all’interno di marchi complessi. Veniva quindi confermato come a livello visivo la componente prevalente all’interno del marchio opposto fosse la parola MISS”, a livello fonetico la presenza della parola MISS” imprimeva una intonazione ed un ritmo diverso alla sillabazione del marchio anteriore, a livello concettuale il riferimento era all’aspetto dominante di una bella donna. Quindi nel caso di specie la Commissione concludeva chiarendo come il marchio debole anteriore non corresse il pericolo di confusione da parte di quello composito che la detta debolezza ha ulteriormente diluito in una nuova entità, avente una sua originale capacità distintiva. Il ricorso in Cassazione. Avverso il suddetto provvedimento della Commissione, la I. S.p.a. proponeva ricorso in Cassazione lamentando come nella decisione non fosse stata considerata la distanza semantica tra il segno e i prodotti tale da attribuire al segno una capacità distintiva limitandosi a riconoscere una scarsa capacità distintiva alla parola IMPERIAL” ricordando invece quando anche una espressione di uso comune poteva costituire un marchio forte se destinata a contraddistinguere prodotti senza alcuna affinità concettuale con essa. La Cassazione ritiene infondato il motivo. Nello specifico richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale che fa salva l’ipotesi di registrazione come marchi di quei termini che non presentino alcuna aderenza concettuale con il prodotto contraddistinto dovendo diversamente escludersi nei casi in cui le parole o espressioni tratte dal linguaggio comune abbiano una funzione intrinsecamente descrittiva della qualità del prodotto. Tra questi ultimi segni vengono ricomprese anche le parole o espressioni adoperate non già per evocare o descrivere un singolo prodotto o servizio, ma per magnificare in genere tutti i prodotti o servizi ai quali vengano riferite, attraverso la sottolineatura del livello superiore delle relative caratteristiche ad es. fine, super, extra , della raffinatezza dell’utente cui sono destinate ad es. deluxe, elite, top o del prestigio che conferiscono a chi se ne avvale ad es. royal, prestige, etc. proprio perché ormai ampiamente invalse nell’uso comune per esaltare agli occhi del consumatore medio le qualità di qualsiasi prodotto o servizio per il quale vengano adoperate, tali parole o espressioni sono destinate a non assumere un significato particolarmente originale, neppure in ragione dell’accostamento concretamente realizzato, il quale, anche quando non trovi corrispondenza in un collegamento concettuale con le caratteristiche specifiche del prodotto o del servizio contrassegnato, non costituisce di per sé manifestazione di speciale inventiva o immaginazione”. Su tali presupposti quindi la sentenza condivide il provvedimento della Commissione nella parte in cui ha ravvisato un elemento debole nella radice IMPER” inadatta a limitare l’utilizzo di marchi costituiti dalla medesima radice, indipendentemente dalla mancanza di affinità concettuale con i prodotti da esso contraddistinti e dalla notorietà acquisita con l’uso ad ogni buon conto, nel caso di specie veniva rilevato dalla Suprema Corte come il secondary meaning non fosse stato specificamente dedotto essendosi la ricorrente limitata a far valere genericamente la notorietà acquisita dal marchio . La ricorrente I. S.p.a. lamentava inoltre come la complessità del marchio posteriore avrebbe richiesto un esame parcellizzato degli elementi dotati di capacità caratterizzante. Trattandosi di una comparazione tra un marchio semplice e uno complesso la Commissione, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto identificare l’elemento dominante e successivamente verificarne la confondibilità. Anche tale motivo viene respinto dalla Suprema Corte. La Commissione ha escluso che il ruolo dominante fosse della parola IMPERO” assegnandolo invece alla parola MISS”, senza tuttavia attribuire a quest’ultima una particolare capacità distintiva. Correttamente poi, secondo la Cassazione, è stato sottolineato come i segni che compongono un marchio complesso non devono essere necessariamente dotati di forte capacità distintiva, ma possono anche risultare, sia separatamente che nella loro combinazione, privi di una particolare forza individualizzante, con la sola conseguenza che in tal caso il marchio complesso sarà configurabile come marchio debole, anziché come marchio forte” e quindi su questo presupposto la portata descrittiva da riconoscersi eventualmente alla parola miss” in quanto riferibile allo stile dei capi di abbigliamento e degli accessori commercializzati dalla controricorrente, non può considerarsi di per sé idonea ad escludere la capacità distintiva del marchio, essenzialmente ricollegabile, come ritenuto dalla sentenza impugnata, alla combinazione dei due termini da cui è composto, considerata di per sé sufficiente a diluire” il marchio debole anteriore in una nuova entità avente una sua originale capacità distintiva”.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 6 dicembre 2018 – 5 marzo 2019, n. 6385 Presidente De Chiara – Relatore Nazzicone Fatti di causa L’Imperial s.p.a., titolare del marchio comunitario n. 256347 per le classi di prodotto 24 tessuti e 25 abbigliamento per uomo, donna, bambino , depositato il 9 maggio 1996, registrato il 22 marzo 2000 e rinnovato il 20 febbraio 2006, nonché del marchio nazionale n. 936304 per le classi 3 profumeria e cosmetici , 9 occhiali , 14 articoli di gioielleria e 25 abbigliamento per uomo, donna e bambino , depositato il 9 luglio 2004 e registrato il 2 settembre 2004, entrambi costituiti dalla parola , propose opposizione alla domanda di registrazione del marchio n. omissis , costituito dalle parole omissis e relativo alle classi di prodotto 3, 16, 18, 24, 25, 28, 32, 41, depositata dalla L.A. Alta Moda s.r.l L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi rigettò l’opposizione. L’impugnazione proposta dall’Imperial s.p.a. è stata respinta dalla Commissione per i ricorsi con sentenza del 24 febbraio 2014, n. 16. Premesso che, rappresentando lo sviluppo della parola , il marchio della ricorrente era costituito da un elemento debole, e quindi inidoneo a respingere come imitativi i marchi che utilizzassero la medesima radice, soprattutto nell’ambito di marchi complessi, la Commissione ha rilevato che nella specie la radice Imper , declinata nel sostantivo , era inserita in un marchio complesso nell’ambito del quale era preceduta dalla parola miss . Ha, quindi, ritenuto che la parola miss , oltre a costituire la componente prevalente a livello visivo, imponesse a livello fonetico un’intonazione ed un ritmo ben diversi alla sillabazione rispetto al marchio anteriore, e determinasse a livello concettuale una connessione con l’aspetto dominante di una bella donna, sintomatico di una sorta di appartenenza ad una superiore qualità. Ha concluso pertanto per l’insussistenza del rischio di confusione, in considerazione della debolezza del marchio anteriore e della complessità di quello successivo, che aveva ulteriormente diluito la predetta debolezza in una nuova entità, avente una sua originale capacità distintiva. Avverso detta sentenza l’Imperial s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’intimata ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Si è costituito nuovo procuratore della controricorrente, depositando memoria. Ragioni della decisione 1. - Va dichiarata l’inammissibilità della memoria prodotta dalla controricorrente in una con l’atto di costituzione di nuovo difensore, che solo a tal fine deve essere rivolto, restando ogni ulteriore difesa preclusa dal decorso del termine per le memorie previste dalla legge. 2. - Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 13, commi 1, lett. b , e comma 2, sostenendo che, nel riconoscere scarsa capacità distintiva alla parola , nonostante la mancanza di qualsiasi attinenza concettuale con i prodotti contraddistinti, la sentenza impugnata non ha considerato che è proprio la distanza semantica rispetto ai medesimi prodotti ad attribuire al segno capacità distintiva anche un’espressione di uso comune può costituire un marchio forte, se destinata a contraddistinguere prodotti che non hanno alcuna affinità concettuale con essa, mentre la sentenza impugnata non ha tenuto alcun conto di tale estraneità, né dell’ampio uso e della notorietà conseguentemente acquisita dal marchio. Il motivo è infondato. La risposta alla doglianza è da rinvenire nelle pronunce di questa Corte analogamente rese tra le medesime parti tutte non massimate Cass., ord. 19 dicembre 2017, n. 30491, r.g. 17292/2014 Cass., ord. 19 dicembre 2017, n. 30490, r.g. 17291/2014 Cass., ord. 30 novembre 2017, n. 28818, r.g. 17290/2014 , da cui non vi è ragione di discostarsi, secondo cui la debolezza della capacità distintiva riconosciuta dalla sentenza impugnata alla parola , utilizzata dalla ricorrente per distinguere i propri prodotti, trova conforto nel consolidato orientamento giurisprudenziale che, nell’escludere in linea di principio la brevettabilità come marchi di parole o espressioni tratte dal linguaggio comune, che abbiano una funzione intrinsecamente descrittiva della qualità del prodotto, fa salva l’ipotesi in cui le stesse non presentino alcuna aderenza concettuale con il prodotto contraddistinto, ma siano ad esso collegate da un accostamento di pura fantasia, tale da consentire di riconoscervi carattere originale ed efficacia individualizzante in tal senso, Cass. 9 ottobre 1992, n. 11017 30 gennaio 1985, n. 573 11 maggio 1982, n. 2929 . Tale orientamento, formatosi sotto la vigenza del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, ha trovato seguito, in dottrina e nella giurisprudenza di merito, anche in epoca successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 30 del 2005, il quale, dettando una disciplina sostanzialmente non dissimile da quella prevista dal R.D. n. 929, art. 18, esclude, al D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 13, comma 1, lett. b , il carattere distintivo dei segni costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o del servizio . Tale enumerazione, avente carattere meramente esemplificativo delle ipotesi in cui l’indicazione riveste carattere descrittivo, viene infatti ritenuta concordemente riferibile a quelle parole, figure o segni che nel linguaggio comune, industriale o commerciale, sono impiegati usualmente per indicare categorie di prodotti merceologicamente eterogenee oppure una rivendicazione di qualità. Tra questi segni vengono ricomprese anche tutte quelle parole o espressioni adoperate non già per evocare o descrivere un singolo prodotto o servizio, ma per magnificare in genere tutti i prodotti o servizi ai quali vengano riferite, attraverso la sottolineatura del livello superiore delle relative caratteristiche ad es., fine, super, extra , della raffinatezza dell’utente cui sono destinati ad. es., deluxe, elite, top o del prestigio che conferiscono a chi se ne avvale ad. es., royal, prestige, etc. proprio perchè ormai ampiamente invalse nell’uso comune per esaltare agli occhi del consumatore medio le qualità di qualsiasi prodotto o servizio per il quale vengano adoperate, tali parole o espressioni sono destinate a non assumere un significato particolarmente originale, neppure in ragione dell’accostamento concretamente realizzato, il quale, anche quando non trovi corrispondenza in un collegamento concettuale con le caratteristiche specifiche del prodotto o del servizio contrassegnato, non costituisce di per sé manifestazione di speciale inventiva o immaginazione. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, ritenuto che il segno distintivo adottato dalla ricorrente costituisse lo sviluppo della radice , vi ha ravvisato un elemento debole, e quindi inidoneo a respingere come imitativi i marchi che utilizzino la medesima radice, indipendentemente dalla mancanza di affinità concettuale con i prodotti da esso contraddistinti e dalla notorietà acquisita con l’uso, la cui valutazione doveva considerarsi nella specie superflua, avuto riguardo alla portata meramente descrittiva del termine utilizzato, da intendersi come un’allusione al pregio dei capi di abbigliamento e degli accessori commercializzati con quel marchio. È pur vero che, per effetto della tutela del c.d. secondary meaning, introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 4 dicembre 1992, n. 480, e recepita dal D.Lgs. n. 30 del 2005, all’art. 13, commi 2 e 3, un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintive per genericità, mera descrittività o mancanza di originalità, può acquistare in seguito tali capacità, in conseguenza del consolidarsi del suo uso sul mercato, cosicché l’ordinamento si trova a recepire il fatto dell’acquisizione successiva di una distintività attraverso un meccanismo che è stato definito di convalidazione del segno tale principio, riferito dalla legge all’accertamento della sussistenza dei requisiti necessari per la registrazione, è stato esteso dalla giurisprudenza anche al caso di trasformazione di un marchio originariamente debole in uno forte, con il conseguente riconoscimento della medesima tutela accordata ai marchi originariamente forti e l’affermazione che l’accertamento della contraffazione va effettuato in base agli stessi criteri che presiedono alla tutela del marchio forte cfr. Cass. 10 novembre 2015, n. 22953 3 aprile 2009, n. 8119 26 gennaio 1999, n. 697 . Nella specie, tuttavia, la verificazione di tale fenomeno non è stata specificamente dedotta, neppure in questa sede, essendosi la ricorrente limitata a far valere genericamente la notorietà acquisita dal marchio, senza specificare le circostanze di fatto, eventualmente allegate e dimostrate nel giudizio di merito e trascurate dalla sentenza impugnata, da cui avrebbe potuto desumersi l’intervenuto acquisto della pretesa capacità distintiva. 3. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, lett. d , affermando che la complessità del marchio della controricorrente avrebbe richiesto un esame parcellizzato degli elementi dotati di capacità caratterizzante trattandosi di confrontare un marchio semplice con uno complesso, la Commissione avrebbe dovuto innanzitutto identificare l’elemento dominante di quest’ultimo, e successivamente verificarne la confondibilità con quello anteriore. Nell’individuare l’elemento dominante del marchio complesso nella parola miss , nonostante la sua funzione descrittiva, la sentenza impugnata non ha considerato che era proprio tale funzione ad escluderne la capacità distintiva, trattandosi di un’espressione volta esclusivamente ad indicare l’abbigliamento femminile. L’esclusione della confondibilità dei marchi si pone d’altronde in contrasto con il principio secondo cui costituisce contraffazione anche l’inclusione in un marchio complesso dell’unico elemento che caratterizza un marchio precedentemente registrato. Il motivo è infondato. Come del pari osservato nelle sopra ricordate decisioni, la debole capacità distintiva attribuita alla radice , pur inducendo la Commissione per i ricorsi ad escludere il ruolo dominante della parola , nell’ambito del marchio di cui la controricorrente ha chiesto la registrazione, ed a riconoscere tale ruolo alla parola , anteposta alla stessa, non ha comportato l’attribuzione a quest’ultima di una particolare capacità distintiva, essendosi la sentenza impugnata limitata ad osservare che la sua presenza determina una connessione con l’aspetto dominante di una bella donna, sintomatico di una sorta di appartenenza ad una superiore qualità. Nel richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di marchio complesso, la Commissione ha d’altronde sottolineato correttamente che i segni che lo compongono non devono essere necessariamente dotati di forte capacità distintiva, ma possono anche risultare, sia separatamente che nella loro combinazione, privi di una particolare forza individualizzante, con la sola conseguenza che in tal caso il marchio complesso sarà configurabile come marchio debole, anziché come marchio forte cfr. Cass. 18 gennaio 2013, n. 1249 16 aprile 2008, n. 10071 . In questa visuale, la portata descrittiva da riconoscersi eventualmente alla parola , in quanto riferibile allo stile dei capi di abbigliamento e degli accessori commercializzati dalla controricorrente, non può considerarsi di per sé idonea ad escludere la capacità distintiva del marchio, essenzialmente ricollegabile, come ritenuto dalla sentenza impugnata, alla combinazione dei due termini da cui è composto, considerata di per sé sufficiente a diluire il marchio debole anteriore in una nuova entità, avente una sua originale capacità distintiva ultima pag. della decisione impugnata . Il predetto apprezzamento non si pone in alcun modo in contrasto con il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inclusione in un marchio complesso dell’unico elemento, nominativo o emblematico, che caratterizza un marchio semplice precedentemente registrato si traduce in una contraffazione, anche se il nuovo marchio sia costituto da altri elementi che lo differenziano da quello precedente cfr. Cass. 14 luglio 1987, n. 6128 11 maggio 1982, n. 2929 16 ottobre 1969, n. 3343 . Tale principio, postulando che il marchio precedentemente registrato sia dotato di una particolare forza individualizzante, tale da renderlo autonomamente riconoscibile anche se inserito in una rappresentazione più articolata, non è riferibile all’ipotesi in cui, come nella specie, il predetto inserimento comporti un’alterazione sostanziale del suo significato, in considerazione della debole capacità distintiva, derivante dall’adozione di una parola o un’espressione avente carattere meramente descrittivo mentre infatti per il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte cfr. Cass. 24 giugno 2016, n. 13170 25 gennaio 2016, n. 1267 26 giugno 2007, n. 14787 . 4. - Il ricorso va pertanto respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che si liquidano come dal dispositivo. La mancata costituzione degli altri intimati esclude invece la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali nei rapporti con gli stessi. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Dichiara che sussistono presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis.