(In)capacità processuale della società cancellata dal registro delle imprese

La cancellazione della società dal registro delle imprese priva la società stessa della capacità di stare in giudizio. Laddove l’estinzione avvenga nella pendenza di un procedimento in cui la società è parte, si determina dunque un evento interruttivo ex artt. 229 e ss. c.p.c. con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte dei soci successori della persona giuridica.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29251/18, depositata il 14 novembre. Il caso. Il Tribunale di Genova emetteva decreto ingiuntivo a carico di una S.r.l. in liquidazione che proponeva opposizione chiedendo in via riconvenzionale la condanna della banca intimante alla restituzione degli importi già riscossi previa deduzione di un equo compenso per l’utilizzo del bene. Il Tribunale accoglieva l’opposizione della società ingiunta revocando il decreto ingiuntivo, accoglieva anche la domanda riconvenzionale e condannava la banca al rimborso della somma di oltre 150mila euro. La decisione veniva confermata anche in appello. La banca ricorre dunque in Cassazione deducendo, con unico motivo di censura, la nullità della sentenza perché pronunciata nei confronti di un soggetto inesistente essendo intervenuta la cancellazione dalla S.r.l. con conseguente perdita della capacità di stare in giudizio. Estinzione della società. agli atti processuali, emerge che effettivamente la società era stata cancellata dal registro delle imprese pochi mesi prima dell’emissione del decreto ingiuntivo. La procedura è dunque iniziata in un momento in cui la società debitrice si era cancellata ed in un’epoca successiva all’entrata in vigore della riforma dell’art. 2495 c.c In merito a tale disposizione, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la cancellazione della società dal registro delle imprese priva la società stessa della capacità di stare in giudizio. Laddove l’estinzione avvenga nella pendenza di un procedimento in cui la società è parte, si determina dunque un evento interruttivo ex artt. 229 e ss. c.p.c. con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte dei soci successori della persona giuridica ai sensi dell’art. 110 c.p.c Nel caso in cui l’evento non sia dedotto in giudizio oppure si verifichi quando non è più possibile la deduzione in giudizio, l’impugnazione della sentenza deve provenire o essere indirizzata a pena d’inammissibilità dai o nei confronti dei soci atteso che la stabilizzazione processuale del soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio in corso. Applicando tali principi alla vicenda in esame, il Collegio giunge ad affermare che il ricorso è fondato e che la causa non avrebbe dovuto nemmeno essere intrapresa nei confronti della società in liquidazione dato che essa era già cessata di esistere come soggetto di diritto ben prima dell’emissione del decreto ingiuntivo. La Corte accoglie dunque il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 18 ottobre – 14 novembre 2018, n. 29251 Presidente De Stefano – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Il Tribunale di Genova emise, dietro richiesta della Banca Carige s.p.a., un decreto ingiuntivo nei confronti della C.M.N. s.r.l. in liquidazione, intimando il pagamento della somma di Euro 227.290,07 in relazione ad un contratto di leasing immobiliare. Il decreto fu opposto dalla C.M.N. s.r.l. in liquidazione, la quale in via ficonvenzionale chiese che la Banca intimante fosse condannata, ai sensi dell’art. 1526 cod. civ., alla restituzione degli importi già riscossi, previa deduzione di un equo compenso conseguente all’utilizzo del bene. Nel giudizio si costituì la Banca Carige, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Il Tribunale, previo espletamento di una c.t.u. per la determinazione del valore locatizio dell’immobile, accolse l’opposizione della società ingiunta, revocò il decreto ingiuntivo, accolse la domanda riconvenzionale e condannò la Banca Carige al rimborso, in favore della C.M.N. s.r.l. in liquidazione, della somma di Euro 150.567,57, oltre interessi e con il carico delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata impugnata dalla Banca soccombente e la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 30 marzo 2017, ha rigettato l’appello, ha confermato la decisione di primo grado ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Genova propone ricorso la Banca Carige s.p.a. con atto affidato ad un solo motivo. La C.M.N. s.r.l. in liquidazione non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e la società ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 , cod. proc. civ., nullità della sentenza in quanto pronunciata nei confronti di un soggetto inesistente, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ. e degli artt. 75, 82, 83 e 156 cod. proc. civ., per non avere il giudice di merito riconosciuto che l’intervenuta cancellazione della C.M.N. s.r.l. in liquidazione ne aveva determinato l’estinzione e, di conseguenza, la perdita della capacità di stare in giudizio. Sostiene la Banca ricorrente che la C.M.N. s.r.l. in liquidazione è stata cancellata dal registro delle imprese in data 1 febbraio 2008, per cui la sentenza impugnata sarebbe nulla, inesistente o comunque inutiliter data, siccome pronunciata nei confronti di un soggetto inesistente già da prima del momento in cui il giudi7io fu incardinato. 2. Giova innanzitutto premettere che non è in discussione la scansione temporale di alcuni fatti decisivi in particolare, dal controllo degli atti processuali, ai quali questa Corte può accedere in considerazione del vizio prospettato, risulta che la C.M.N. s.r.l. in liquidazione fu effettivamente cancellata dal registro delle imprese in data 1 febbraio 2008, che il decreto ingiuntivo nei suoi confronti fu emesso in data 8 agosto 2008 e che l’opposizione al decreto fu proposta con atto di citazione notificato il 1 ottobre 2008. 2.1. La presente vicenda, quindi, ha avuto inizio in un momento successivo a quello in cui la società debitrice era stata cancellata dal registro delle imprese e in un’epoca ampiamente successiva all’entrata in vigore della riforma che ha modificato, tra gli altri, l’art. 2495 del codice civile. Riguardo a detta norma le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 12 marzo 2013, n. 6070, hanno affermato, in continuità con la precedente sentenza 22 febbraio 2010, n. 4060, che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 legge fall. pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso. L’applicazione di questa giurisprudenza, alla quale l’odierno Collegio presta convinta adesione, rende necessario esaminare due problemi da un lato, quello del momento in cui la questione della cancellazione è stata effettivamente posta, con conseguente ammissibilità o meno della produzione della documentazione attestante la cancellazione anche in sede di legittimità art. 372 cod. proc. civ. dall’altro, quello della notifica dell’odierno ricorso, che la stessa parte ricorrente ha compiuto alla società in persona del liquidatore anziché ai singoli soci. Effettivamente, appare in modo palese che l’odierna parte ricorrente ha tenuto un comportamento processuale, per così dire, ondivago, perché ha preso per prima l’iniziativa al fine di ottenere il decreto ingiuntivo nei confronti di una società già cancellata, ha lasciato sullo sfondo il problema per i due gradi dei giudizi di merito anche l’atto di appello contiene appena un cenno a questa circostanza, e comunque si conclude chiedendo la condanna al pagamento della somma portata dal decreto ingiuntivo e l’ha poi fatto riemergere in questa sede, dopo che il giudizio di primo e di secondo grado avevano avuto un risultato per essa sfavorevole. Ciò nonostante, la questione della produzione documentale è superabile, posto che la certificazione della cancellazione era stata già prodotta in sede di merito e che, comunque, sarebbe stata producibile anche in questa sede, trattandosi di documentazione riguardante, almeno potenzialmente, la nullità della sentenza impugnata v. l’ordinanza 11 luglio 2014, n. 16036, e la sentenza 9 maggio 2016, n. 9334 quanto, invece, alla notifica dell’odierno ricorso alla persona fisica del liquidatore anziché ai soci - come sarebbe dovuto avvenire alla luce della citata sentenza n. 6070 del 2013 - si tratta di una conseguenza che deriva dal fatto che il ricorso non poteva che essere notificato all’unico contraddittore esistente nel giudizio di appello, ossia il liquidatore, benché di una società già cancellata. 2.2. Traendo le conclusioni del ragionamento svolto fin qui, risulta evidente che il motivo di ricorso è fondato e che la causa non avrebbe dovuto neppure essere intrapresa nei confronti della C.M.N. s.r.l. in liquidazione, dal momento che essa non era più esistente come soggetto di diritto già da prima che fosse emesso il decreto ingiuntivo. Né i termini della questione mutano per il fatto che, revocato il decreto, il giudice di merito abbia accolto la domanda riconvenzionale della società opponente, posto che anche tale domanda traeva origine da un giudizio che non sarebbe neppure dovuto cominciare nei confronti di quel contraddittore ed era comunque proposta da un soggetto non più giuridicamente esistente. 3. In conclusione, ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ., il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata senza rinvio, perché la causa non poteva essere proposta. A tale esito segue la necessità di liquidare le spese per i tre gradi di giudizio. In relazione alla particolarità della vicenda processuale ed al contenuto delle due pronunce di merito, entrambe sfavorevoli all’odierna parte ricorrente, appare opportuno disporre l’integrale compensazione di tutte le spese di giudizio, posto che la vicenda processuale ha avuto origine proprio da un’iniziativa della stessa Banca Carige ricorrente. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata sen.za rinvio e compensa integralmente le spese dei tre gradi di giudizio.