Il termine per l’insinuazione tardiva nel passivo fallimentare ha natura decadenziale

Il termine previsto dall’art. 101 l. fall. per le domande di insinuazione tardiva nel passivo fallimentare ha natura decadenziale il suo decorso crea una presunzione di inammissibilità della domanda.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21661/18, depositata il 5 settembre. Il caso. Gli eredi di un lavoratore chiedevano l’ammissione al passivo del fallimento di una S.r.l., datrice di lavoro del de cuius , per il credito da questi maturato a titolo di TFR. Il giudice delegato dichiarava inammissibile la domanda perché depositata oltre un anno dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. A fronte della conferma della decisione da parte del Tribunale, gli eredi ricorrono in Cassazione sostenendo la violazione dell’art. 101 l. fall Termine decadenziale. Sostengono i ricorrenti che il de cuius non aveva potuto presentare tempestivamente domanda di ammissione al passivo a causa della patologia sofferta, inoltre, fermo restando la sospensione del termine per il periodo feriale ed il sopravvenuto decesso, per gli eredi avrebbe dovuto decorrere un nuovo termine decadenziale. Il Collegio ricorda che, in tema di domanda tardiva di ammissione al passivo, la valutazione della non imputabilità della causa del ritardo non può essere riferita alla mera assenza di colpa dovendosi invece fondare su elementi oggettivi ed estranei al creditore, che nel caso di specie sono stati ritenuti insussistenti dal giudice di merito. Posto che il termine finale per la presentazione delle domande tardive è stabilito a pena di decadenza, l’eventuale decorso dello stesso implica una presunzione di inammissibilità della domanda essendo onere del creditore superare la presunzione, con la dimostrazione in concreto che il ritardo sia dipeso da una causa a lui non imputabile. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 luglio – 5 settembre 2018, n. 21661 Presidente Iofrida – Relatore Lamorgese Fatti di causa F.R.M., T.J., D. e M., in qualità di eredi di T.G., chiesero l’ammissione al passivo del fallimento della omissis srl del credito maturato dal proprio marito e padre a titolo di Tfr, il cui rapporto di lavoro era terminato il 31.10.2009. Il giudice delegato dichiarò inammissibile la domanda, perché depositata il 23.5.2012, cioè oltre un anno dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo in data 14.11.2010 . L’opposizione degli eredi è stata rigettata dal Tribunale di Catania, secondo il quale essi non potevano fruire di un termine diverso e più favorevole di quello spettante al loro congiunto il T. non aveva chiesto l’ammissione del credito al passivo, benché sorto prima del fallimento gli eredi avevano presentato la domanda solo il 23.5.2012, quando il termine di dodici mesi, di cui all’art. 101, comma 4, legge fall., era già scaduto, pur considerando la sospensione del suddetto termine nel periodo della malattia dal 1 marzo 2011 al giorno del decesso in data 4.6.2011 e la sospensione feriale cfr. Cass. n. 4408/2016 . Avverso questo decreto i medesimi eredi hanno proposto ricorso per cassazione, notificato al Fallimento omissis , che non ha svolto difese. Ragioni della decisione Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 101 legge fall., per avere ritenuto inammissibile la loro pur tardiva domanda di insinuazione al passivo, senza però considerare che il T., ammalatosi nel marzo 2011 e deceduto il 4.6.2011, non aveva potuto presentarla nel termine di dodici mesi dalla data del decreto di esecutività dello stato passivo 14.11.2010 e che il termine era rimasto sospeso nel periodo feriale che per gli eredi decorreva un nuovo termine decadenziale di un anno dalla data del decesso del congiunto che erroneamente il tribunale aveva ritenuto superato il termine, congruo, di diciotto mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Il motivo è infondato. I ricorrenti, eredi del T.G., hanno presentato una domanda di insinuazione al passivo, in data 23.5.2012, che correttamente è stata considerata dai giudici di merito come ultratardiva, a norma dell’art. 101, comma 4, legge fall., essendo spirato, già ad aprile 2012, il termine annuale di cui all’art. 101, comma 1, legge fall. non prorogato dal tribunale per l’insinuazione tardiva, pur considerando la sospensione feriale e la malattia del T. nel periodo dal 1 marzo 2011 al 4.6.2011. La valutazione della non imputabilità della causa del ritardo, ai fini dell’ammissibilità della domanda di insinuazione al passivo, non può intendersi come semplice assenza di colpa, ma deve fondarsi su elementi oggettivi ed estranei al creditore, che nella specie il giudice di merito ha accertato come insussistenti con un apprezzamento di fatto v. Cass. n. 19017/2017, n. 23302/2015, n. 20686/2013 , astrattamente censurabile in sede di legittimità mediante specifico mezzo che non è stato proposto secondo le coordinate del novellato art. 360 n. 5 c.p.c. Cass., s.u., n. 8053 e 8054/2014 . Ne consegue che, essendo il termine finale per la presentazione delle domande tardive stabilito a pena di decadenza, il suo decorso genera, in linea di principio, una presunzione di inammissibilità della domanda, essendo onere del creditore superare la presunzione, dimostrando che, in concreto, il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile, il che implica una valutazione fattuale che, come si è detto, è riservata al giudice di merito. I ricorrenti sostengono che il decesso del creditore, determinando l’acquisto del credito da parte degli eredi, farebbe decorrere un nuovo termine per l’ammissione al passivo, annuale o di diciotto mesi art. 101, comma 1, legge fall. . Tuttavia, da un lato, il termine di diciotto mesi è ipotizzabile solo quando quello di dodici mesi sia prorogato dal tribunale in caso di particolare complessità della procedura e, dall’altro, quello di dodici mesi decorre pur sempre dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, essendo azionato, come riconosciuto dai ricorrenti, il medesimo credito del loro congiunto. Il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Doppio contributo a carico del ricorrente come per legge.