Atti del fallito revocati salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore

La cessione di credito, se effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transizioni commerciali, ed è suscettibile di revocatoria fallimentare anche se pattuita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto.

Non sono revocabili gli atti estintivi di debiti pecuniari effettuati con mezzi normali. Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26063/17, depositata il 2 novembre. Il caso. Il Tribunale dichiarava il fallimento di una società a responsabilità limitata. La curatela chiedeva ed otteneva la revoca di due cessioni di credito pro solvendo. L’istituto di credito beneficiario proponeva appello, la corte territoriale riformava la decisione di primo grado ed escludeva la revocabilità delle cessioni. La curatela ha proposto ricorso per cassazione. Normalità e anormalità della cessione del credito. La S.C. ha rilevato che la Corte territoriale ha escluso la anormalità del credito sul presupposto che la cessione del credito a ripianamento di un debito preesistente può essere considerata un mezzo normale di pagamento. L’art. 67 l. fall., al comma 1, n. 2, chiarisce che sono revocabili gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Cessione del credito, non è mezzo di pagamento normale. I Giudici di legittimità hanno richiamato orientamento consolidato a tenore del quale la cessione di credito, se effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transizioni commerciali, ed è suscettibile di revocatoria fallimentare anche se pattuita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto Cass. n. 9388/11 . L’orientamento riportato deve intendersi interpretativo del citato art. 67 l. fall., dunque, la cessione pro solvendo non è da considerarsi normale strumento di pagamento. Con queste argomentazioni la S.C. ha accolto il ricorso rinviando la causa ad altra Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 7 giugno – 2 novembre 2017, n. 26063 Presidente Didone – Relatore Dolmetta Fatto e diritto 1.- Il Fallimento della s.r.l. ricorre per cassazione nei confronti di Banca Intesa Sanpaolo, esponendo due motivi avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Torino il 9 giugno 2010. In riforma della pronuncia emessa nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Alessandria in data 7 gennaio 2007, la Corte piemontese ha escluso, in particolare, la revocabilità ex art. 67 legge fall. di due cessioni di credito pro solvendo poste in essere dalla Società di poi fallita in favore della Banca, che all’epoca era sua creditrice. Banca Intesa Sanpaolo resiste nei confronti del ricorso, depositando apposito controricorso. 2.- I motivi del ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati. Il primo motivo lamenta, in specie, violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, legge fall., insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ. . Il secondo motivo rileva, inoltre, violazione e falsa applicazione dell’art. 67 legge fall., insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ. . 3.- Il ricorso presentato dal Fallimento contesta, in via segnata, la considerazione che la Corte territoriale ha riservato alle due operazioni di cessioni del credito e che è sostanzialmente consistita nell’avere essa negato che tali cessioni abbiano costituito dei mezzi anormali di pagamento, in quanto tali revocabili ai sensi del comma 1 dell’art. 67 legge fall. secondo la versione vigente al tempo dei fatti, che è quella anteriore alla riforma legislativa del 2005 . La Corte piemontese ha trascurato - così rileva il ricorrente - che nella specie concreta le cessioni di credito non erano contestuali a nuove erogazioni di credito da parte della Banca, ma risultavano semplicemente intese a ripianare una esposizione debitoria da sconfinamento di conto corrente, preesistente e scaduta. Il ricorso altresì rileva, nel corpo del suo secondo motivo, come la sentenza della Corte d’Appello abbia del tutto omesso di esaminare la sussistenza del requisito della scientia decoctionis nella prospettiva probatoria che la norma dell’art. 67, comma 1 n. 2 legge fall., fissa per la materia dei pagamenti anormali. E pure assume che, comunque, tale conoscenza risultava nel concreto assicurata da una serie di elementi di oggettiva evidenza bilancio di esercizio verbali dell’assemblea ordinaria e straordinaria verbali del consiglio di amministrazione andamento dei conti correnti in essere con lo stesso Istituto testimonianze . 4.- Il primo motivo di ricorso si manifesta fondato. Dopo avere rilevato che la funzione solutoria delle cessioni in questione non pare possa essere contestata in fatto, come pure il suo utilizzo in funzione di ripianamento del debito già in essere, la sentenza impugnata ne ha peraltro escluso il carattere di anormalità sulla base dell’assunto che le stesse non hanno carattere straordinario, perché si inseriscono in modo del tutto normale nel quadro degli affidamenti concessi alla società fallita . Ora, tale ultimo assunto si manifesta estraneo alla nozione di pagamento anormale che è stato fatto proprio dalla norma dell’art. 67, comma 1 n. 2, legge fall., con peculiare riferimento alla figura della cessione di credito. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, la cessione di credito, quando effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali . Resta unicamente salva - si aggiunge - l’eventualità che la cessione sia stata nel concreto prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del credito al cui specifico soddisfacimento venga per l’appunto destinata cfr., tra le ultime, Cass., 20 settembre 2013, n. 21610 Cass., 29 luglio 2009, n. 17683 . Eventualità, quest’ultima, non ricorrente nel caso di specie. 5.- All’accoglimento del primo motivo segue poi l’accoglimento pure del secondo motivo di ricorso. In effetti, l’analisi compiuta sul punto della scientia decoctionis dalla Corte territoriale si fissa propriamente sul presupposto dell’eventuale applicazione della revocatoria dei pagamenti normali, di cui al comma 2 dell’art. 67 legge fall., e non già di quella dei pagamenti anormali, di cui al primo comma della disposizione quindi viene svolta secondo tale prospettiva esclusiva. Secondo quanto, del resto, la stessa sentenza impugnata riconosce espressamente escluso che la società abbia eseguito un pagamento anormale, viene a cadere quello che il Tribunale ha definito l’indizio dirimente dell’effettiva conoscenza posseduta dalla banca in ordine allo stato di insolvenza della società qui fallita . 6.- In conclusione, il ricorso va accolto e cassata la sentenza impugnata. Con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Torino che, in diversa composizione, giudicherà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Torino che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.