Pretese in conflitto: il creditore tardivo quanto tempo ha per proporre impugnazione?

La Corte affronta e risolve il problema dell’individuazione del termine per l’impugnazione di un credito ammesso al passivo fallimentare da parte di un terzo creditore insinuatosi tardivamente per la medesima pretesa creditoria.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8869/17 depositata il 5 aprile. Il caso. La pronuncia in oggetto origina dalla richiesta di ammissione al passivo per crediti da prestazioni professionali avanzata dall’avvocato Tizio nei confronti del fallimento di una s.p.a Il giudice delegato rigettava la domanda per il giudicato venutosi a formare sul credito di un altro avvocato Caio già ammesso al passivo con il medesimo oggetto e non contestato. Il Tribunale di Milano, adito dall’avvocato Tizio con opposizione ex art. 98 l. fall. e impugnazione del credito ammesso a favore del collega, dichiarava tardiva l’opposizione e rigettava nel merito la pretesa azionata. La sentenza viene dunque impugnata in Cassazione da Tizio che deduce la violazione dell’art. 99 l. fall. per aver il Tribunale ritenuto che il termine per l’impugnazione decorresse dalla comunicazione dell’ammissione del credito all’avvocato Caio e non dalla comunicazione del rifiuto della sua domanda di ammissione al passivo. Deduce inoltre la violazione degli artt. 98 e 101 l. fall. per aver il Tribunale rigettato la sua domanda di insinuazione in riferimento ad un credito già insinuato da terzi. Tardività dell’impugnazione. In riferimento al decreto che rende esecutivo lo stato passivo, la Corte ricorda che l’art. 98 l. fall. ammette la proposizione sia dell’opposizione che dell’impugnazione dei crediti ammessi, dove questo secondo mezzo di impugnazione mira ad eliminare dallo stato passivo uno o più creditori. Si tratta di un rimedio impugnatorio avente ad oggetto il decreto di approvazione dello stato passivo quale rimedio esclusivo in tal senso. La Corte richiama poi l’art. 97 l. fall. secondo il quale il curatore, subito dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, ne dà comunicazione a tutti i creditori insinuatisi, informandoli della possibilità di proporre opposizione, che, come tutte le altre impugnazioni di cui all’art. 98 l. fall., deve essere proposta con ricorso depositato in cancelleria entro 30 giorni dalla suddetta comunicazione. Creditore vs creditore. La Corte passa dunque ad analizzare l’interrogativo relativo alla possibilità per il creditore di contestare l’accoglimento della domanda di un altro creditore. Considerando che l’attuale art. 98 l. fall. riproduce quanto sostanzialmente previsto dal previgente art. 100 nell’affermare l’esclusione dai legittimati all’impugnazione dei crediti ammessi i creditori insinuatisi tardivamente, il Collegio sottolinea l’esigenza di coordinamento di tale interpretazione con la nuova disciplina delle insinuazioni tardive. Secondo l’attuale art. 101, comma 1, le domande depositate oltre il termine di 30 giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dello stato passivo sono considerate tardive e vengono esaminate nelle stesse forme di cui all’art. 95 l. fall., con la conseguenza che anche il creditore tardivo può impugnare il credito altrui. L’eventuale conflitto tra diverse pretese creditorie deve essere posto in discussione contestualmente alla dichiarazione tardiva, proprio come accaduto nel caso di specie. Deve dunque essere coordinata tale iniziativa con la disciplina del termine per impugnare il credito ammesso, non potendo applicarsi al creditore tardivo il termine di 30 giorni di cui all’art. 99. Si riscontra a questo punto un vuoto normativo colmabile solo con il ricorso all’applicazione analogica dell’art. 327 c.p.c. che identifica il generale principio per cui, decorsi 6 mesi dalla pubblicazione del provvedimento decisorio non possono più essere proposte impugnazioni ordinarie. La Corte conclude dunque affermando il principio per cui l’impugnazione del credito ammesso a favore di un terzo può essere proposta dal creditore tardivo – contestualmente alla dichiarazione tardiva del suo credito ove si sia in presenza di situazioni soggettive tra loro in conflitto – entro 6 mesi dalla chiusura dello stato passivo, unica eccezione essendo rappresentata dalla non conoscenza del processo fallimentare, della cui prova è onerato il creditore . Essendo nel caso specifico decorso il termine di sei mesi così individuato dalla Suprema Corte, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 22 marzo – 5 aprile 2017, n. 8869 Presidente Didone – Relatore Terrusi Fatto e diritto Rilevato che l’avv. T.d.P. chiese di essere ammesso al passivo del fallimento di s.p.a., per crediti derivanti da prestazioni professionali il giudice delegato rigettò la domanda stante il giudicato formatosi sul credito già ammesso al passivo a favore dell’avv. C. , non rimosso con azioni di revocazione, né oggetto di cessione l’avv. T. propose opposizione ai sensi dell’art. 98 legge fall. e, contestualmente, impugnazione del credito ammesso a favore dell’avv. C. il tribunale di Milano, con decreto in data 5-7-2011, dichiarò l’opposizione inammissibile per tardività quanto all’impugnazione del credito vantato dall’avv. C. e la rigettò nella parte direttamente involgente la pretesa azionata, atteso che quello che ne costituiva oggetto era appunto lo stesso credito già ammesso a favore di altro soggetto l’avv. T. ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi nessuno degli intimati ha svolto difese il procuratore generale ha depositato conclusioni scritte Considerato che la memoria depositata dal ricorrente in data 15-3-2015 è tardiva in rapporto al termine di dieci giorni prima dell’adunanza previsto dall’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. col primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 99 legge fall. nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il termine per l’impugnazione decorresse dalla data di comunicazione dell’ammissione del credito all’avv. C. , anziché da quella della comunicazione relativa al diniego di ammissione della tardiva, effettuata nei confronti di esso ricorrente col secondo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 98 e 101 legge fall., per avere il tribunale rigettato la domanda di insinuazione in quanto riferita a un credito già insinuato da terzi, e dunque non nuovo col terzo motivo si denunzia infine l’omessa motivazione del provvedimento in ordine al riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751-bis cod. civ. il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, è infondato in base alle considerazioni che seguono secondo la disciplina oggi unificata all’interno dell’art. 98 della legge fall., contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo può essere proposta sia l’opposizione sia l’impugnazione dei crediti ammessi o la revocazione l’impugnazione in particolare serve a eliminare dallo stato passivo uno o più creditori, esattamente come accadeva prima della riforma in base all’art. 100 tenendo conto del testo di riforma, è chiarissimo che si tratta di un rimedio impugnatorio nei riguardi del decreto di approvazione dello stato passivo, avente, quanto all’oggetto, carattere di esclusività ai sensi dell’art. 97 della legge fall., il curatore, immediatamente dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, ne dà comunicazione trasmettendo una copia a tutti i creditori insinuatisi, informandoli del diritto di proporre opposizione in caso di mancato accoglimento della domanda il successivo art. 99 stabilisce che tutte le impugnazioni di cui all’art. 98 e quindi anche l’impugnazione del credito ammesso a favore di altro concorrente si propongono con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla suddetta comunicazione di cui all’art. 97 l’avv. T. non era annoverabile tra i destinatari di quella comunicazione in quanto, come egli stesso deduce, al momento non aveva presentato domande il decreto di esecutività dello stato passivo, essendo stata l’ammissione comunicata all’avv. C. come dice i tribunale di Milano in data 30-7-2009, era peraltro certamente anteriore a tale data l’avv. T. aveva proposto una domanda tardiva in data 29-82010, come da lui stesso evidenziato in ricorso addirittura una supertardiva a tal riguardo nulla è dedotto circa l’avvenuta proroga del termine di cui all’art. 101, primo comma, ult. alinea e nulla ben vero è dedotto finanche in ordine alla condizione di ammissibilità di cui all’art. 101, ultimo comma può peraltro sorvolarsi su tale ultima notazione, in quanto ciò che in effetti rileva, ai fini della soluzione della questione giuridica posta dal ricorrente, è che l’impugnazione dei crediti ammessi è consentita, tra gli altri, al creditore al fine di contestare che la domanda di un altro creditore sia stata accolta la mancanza di precedenti induce a rammentare che, nel vigore del cessato art. 100 della legge fall., essendo la legittimazione attiva attribuita anche lì al creditore , in prevalenza si escludeva che nel novero dei legittimati all’impugnazione dei crediti ammessi potessero essere annoverati i creditori insinuati tardivamente tale orientamento era sorretto dall’osservazione di matrice dottrinale per cui i detti creditori non potevano mai essere ammessi al passivo prima del decorso del termine di quindici giorni di cui al citato art. 100 legge fall. è rilievo generalmente condiviso che l’attuale art. 98, sul piano della legittimazione, facendo riferimento al creditore , non abbia innovato rispetto al vecchio art. 100, sicché gli orientamenti maturati sotto la vigenza di tale norma andrebbero mantenuti fermi essi però vanno adeguati al mutato regime delle insinuazioni tardive, perché, ai sensi dell’art. 101, primo comma, tutte le domande depositate oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dello stato passivo sono da considerare tardive e il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge - oggi - nelle stesse forme di cui all’art. 95 consegue che niente osta a che anche il creditore tardivo possa impugnare il credito altrui laddove vengano in discussione pretese creditorie tra loro in conflitto, ciò deve avvenire contestualmente alla dichiarazione tardiva ed emblematica del conflitto è la situazione di specie, in cui il credito insinuato tardivamente era lo stesso già ammesso a favore di un terzo in base alla sua insinuazione tempestiva difatti il creditore tardivo deve, per poter essere ammesso, altresì ottenere l’esclusione dell’altrui ammissione per lo stesso credito in base alla disciplina normativa, l’impugnazione del credito deve essere effettuata nel termine indicato dall’art. 99 essendo l’iniziativa intrapresa dal creditore tardivo nella condizione di conflittualità sopra evidenziata, codesta sua posizione va coordinata con la disciplina del termine per l’impugnazione del credito ammesso a favore del terzo, e non giova insistere su una distinta decorrenza del termine per l’impugnazione del credito, dal momento che tutte le previsioni dettate dagli artt. 97 e seg. della legge fall. convergono verso l’obiettivo di assicurare celerità e speditezza al processo fallimentare simile obiettivo si rinviene anche e proprio nel regime delle domande tardive, caratterizzato da un termine per la presentazione e dall’effetto altrimenti preclusivo della declaratoria di esecutività dello stato passivo il che incide anche sull’oggetto del processo instaurato con la domanda tardiva, la quale implica, nei limiti indicati dalla legge, l’instaurazione di una mera ulteriore fase dello stesso unico accertamento giurisdizionale rilevante ai fini del concorso in sostanza, il creditore tardivo accetta l’unitario processo di verifica nello stato in cui si trova al momento il punto è che la disciplina dell’art. 97 della legge fall., conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 1986, in ordine al decorso del termine di trenta giorni di cui all’art. 99, non può materialmente applicarsi al creditore tardivo, perché questi, giustappunto in quanto tardivo, non è destinatario dell’avviso previsto da tale norma poiché in relazione alla sopra riferita ratio delle previsioni richiamate è inconcepibile concludere nel senso del non assoggettamento a termine di sorta dell’impugnazione del creditore tardivo, vi è che il sistema patisce, in questa specifica prospettiva, una lacuna suscettibile di esser colmata solo mediante ricorso all’analogia la norma analogicamente applicabile, a chiusura del sistema delineato, è l’art. 327 cod. proc. civ., che in materia processuale identifica il generale principio secondo cui, decorsi sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento assunto in funzione decisionale archetipo del quale è la sentenza , non possono più essere proposte le impugnazioni ordinarie in questo senso va affermato il seguente principio l’impugnazione del credito ammesso a favore di un terzo può essere proposta dal creditore tardivo - contestualmente alla dichiarazione tardiva del suo credito ove si sia in presenza di situazioni soggettive tra loro in conflitto - entro sei mesi dalla chiusura dello stato passivo, unica eccezione essendo rappresentata dalla non conoscenza del processo fallimentare, della cui prova è onerato il creditore nel caso specifico si trattava di crediti tra loro in conflitto, e la domanda tardiva del ricorrente non era stata proposta contestualmente all’impugnazione del credito ammesso in favore del terzo l’avv. C. l’impugnazione del credito ammesso era stata proposta ampiamente dopo il decorso del termine semestrale detto consegue che correttamente il tribunale di Milano ha deciso nel senso dell’inammissibilità dell’impugnazione e del rigetto della domanda tardiva, perché attinente - codesta - al medesimo credito già ammesso a favore del terzo a questo punto va aggiunta una considerazione la questione esaminata è, nella sua complessità, rilevante ed è anche priva di precedenti, come detto, nella giurisprudenza di questa Corte ciò nondimeno per la definizione della stessa il collegio non reputa necessario, né minimamente reputa opportuno come invece affermato da alcune decisioni rese da altre sezioni della Corte da ultimo, per es., Cass. n. 5333-17 , la rimessione della causa in pubblica udienza l’opinione che la sezione semplice, in esito all’adunanza in camera di consiglio, possa rimettere la causa in pubblica udienza mediante una sorta di mutamento del rito di cui all’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. è notoriamente discussa in dottrina secondo un contrario indirizzo, mancando una espressa previsione di legge tesa a legittimare un simile passaggio, al collegio, in casi del genere, onde accedere alla pubblica udienza residuerebbe soltanto il potere di rimessione alle sezioni unite ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ. può osservarsi che non è vietato al collegio disporre la rimessione della causa dalla camera di consiglio alla pubblica udienza, di riflesso al fatto che non gli è vietato disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo, onde poi consentire che essa sia avviata al rito che si ritenga adeguato il punto nodale è governato da profili di opportunità, in quanto una simile decisione resa a conclusione dell’adunanza camerale sarebbe priva di costrutto la trattazione col rito camerale, anziché in pubblica udienza, non concretizza alcuna lesione al diritto processuale delle parti, né sotto il profilo del diritto di difesa, né sotto il profilo del diritto al contraddittorio essa si rivela, anzi, pienamente rispettosa di tali diritti, essendo il procedimento di cui all’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. congegnato in modo tale da assicurare a tutte le parti la possibilità di esporre compiutamente i propri assunti, in considerazione dell’adeguatezza del termine stabilito per la comunicazione del giorno fissato per l’adunanza e in considerazione del previo eventuale deposito finanche delle conclusioni del procuratore generale donde non è seriamente discutibile che la generalizzazione del rito camerale sia stata disegnata dal legislatore nell’osservanza più piena del principio del contraddittorio, anche nei confronti del rappresentante del procuratore generale, sulle cui conclusioni è sempre consentito svolgere successive osservazioni scritte in siffatto contesto la successiva rimessione della causa in pubblica udienza non sarebbe sorretta da alcuna specifica esigenza di salvaguardia del diritto di difesa è notazione dirimente che l’interesse della parte nel processo si sostanzia nel vedersi riconosciuto il buon fondamento della pretesa quale forma assuma il provvedimento a ciò deputato, se ordinanza o sentenza, alla parte non interessa punto una dilazione dei tempi di definizione in nome di codesta inessenziale alternativa sarebbe sicuramente in contrasto col principio costituzionale di ragionevole durata del processo art. 111 cost. il ricorso è rigettato il terzo motivo di ricorso resta assorbito. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.