Solo le somme accertate dalla Corte dei Conti confluiscono nella massa del concessionario?

Il decisum in commento si focalizza sulla figura del concessionario della riscossione, secondo la disciplina vigente ratione temporis. Nello specifico si tratta di stabilire se le somme riscosse da una società fallita in qualità di concessionaria per la riscossione di tributi e di altre entrate patrimoniali dello Stato, depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti, possano, o meno, essere acquisite alla massa fallimentare.

E, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23302/16, depositata il 16 novembre, conformandosi ad un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità Cass.,SS.UU. n. 237/99 , precisano che l’esattore delle imposte può qualificarsi come contabile, essendo un agente incaricato, in virtù di una concessione contratto, di riscuotere danaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici e del quale egli ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione ed il versamento. Ne consegue che, allorquando egli, cessato il rapporto concessorio ed assunta la concessione da parte di altro esattore, si venga a trovare nella posizione di creditore verso l’ente impositore, in conseguenza della emergenza di un saldo attivo a suo favore dalla differenza tra l’importo effettivo e quello contabile dei tributi ancora da riscuotere al momento della cessazione del rapporto, il giudizio per il pagamento di quanto dovutogli dall’ente va promosso innanzi all’autorità che normalmente giudica della responsabilità contabile, cioè della Corte dei Conti, deputata – in base alle norme degli artt. 13 e 44 T.U. n. 1214/1934 ed alle successive di cui al d.P.R. n. 603/1973 ed al d.P.R. n. 858/1963, le quali non risultano abrogate dalla l. n. 657/1986 e dal successivo d.P.R. n. 43/1988 – alla verifica dei rapporti di dare ed avere tra esattore delle imposte ed ente impositore e del risultato contabile finale di detti rapporti. E ciò anche allorché la controversia, essendo già avvenuta la riscossione per la sorte creditoria quanto al capitale, riguardi la pretesa dell’esattore relativa agli interessi, poiché questi costituiscono un accessorio del credito principale, da esso promanando e ricollegandosi ad esso in via immediata e diretta, onde ne seguono la qualificazione, inserendosi, pertanto, in presenza di contestazione dell’amministrazione sulla loro esigibilità e sul loro ammontare, nel rapporto di dare ed avere tra l’esattore e l’amministrazione finanziaria e dovendo essere necessariamente contabilizzati. Il predetto principio è applicabile anche nell’ipotesi di fallimento della concessionaria dichiarato dopo la decadenza della concessione e l’art. 51, l. fall., opera soltanto in relazione alle somme accertate dalla Corte dei Conti come spettanti alla massa fallimentare. Il fatto. La Beta s.p.a., trasformatisi in s.r.l. dopo la liquidazione, ha gestito in concessione la riscossione dei tributi e delle altre entrate patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici mediante ruolo nella provincia di Catanzaro sino al settembre 1991, anno nel quale è stata dichiarata decaduta con d.m. 12 settembre 1991. Per la prosecuzione del servizio di riscossione è stato nominato Commissario Governativo la Gamma s.p.a. che ha operato in tale veste sino al 31 gennaio 1995 e, successivamente, quale Concessionario fino al 30 giugno 1997, data del recesso. La predetta Gamma s.p.a. ha conseguito riscossioni regolarmente versate alla Cassa Depositi e Prestiti per un importo di lire 20.749 134 237. La Beta s.r.l. in liquidazione viene dichiarata fallita dal Tribunale di Lamezia Terme con sentenza del 9 marzo 2001 e la curatela, dunque, ha proposto dinanzi al Tribunale di Catanzaro domanda intesa all’accertamento della spettanza alla massa fallimentare delle succitate somme oggetto di depositi presso la Cassa Depositi e Prestiti intestati alla società fallita quale concessionaria per la riscossione dei tributi per la provincia di Catanzaro, trattandosi di somme relative a tributi e quant’altro propri degli enti per i quali la società curava il servizio di riscossione. Il giudice di prime cure, invero, dichiarato il difetto di legittimazione passiva sostanziale della Cassa Depositi e Prestiti, ha accolto la domanda nei confronti del Ministero dell’Economia e delle finanze, cui era stato esteso il contraddittorio. E, la Corte territoriale, accogliendo il gravame proposto dal Ministero de quo , ha declinato la giurisdizione in favore della Corte dei Conti sul rilievo che la domanda presuppone l’accertamento dei rapporti debito/credito tra il concessionario decaduto e gli enti impositori, accertamento richiedente la preliminare verifica circa l’avvenuta o meno anticipazione sui ruoli scaduti e non riscossi nonché con lo stesso commissario governativo per eventuali sue anticipazioni e con gli enti impositori e l’amministrazione finanziaria per le domande di rimborso ed eventuali altre pendenze. Avverso quest’ultima decisione la curatela lamenta, in sede di legittimità, che l’oggetto della domanda era l’accertamento della prevalenza della concorsualità sulle regole che disciplinano il riparto tra gli enti impositori e che l’eventuale giudizio sui conti presupporrebbe comunque l’acquisizione delle somme alla massa fallimentare. Tuttavia, gli Ermellini respingono il ricorso chiarendo che la prevalenza della procedura concorsuale è predicabile solo dopo” che sia stata acclarata dalla Corte dei Conti la spettanza di somme. Di conseguenza, solo dopo tale accertamento sorge la necessità di esecuzione per ripartire le somme depositate tra gli enti. Il concessionario della riscossione. La riscossione era affidata ad un’apposita struttura ministeriale, denominata servizio di riscossione dei tributi”, istituito con il d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, applicabile ratione temporis al caso che qui ci occupa. Tale servizio era costituito da un ufficio centrale e da uffici periferici, il cosiddetto agente della riscossione. Quest’ultimo era affidato, nei singoli ambiti territoriali ad un concessionario, che era una società privata a cui era dato in concessione l’espletamento di un pubblico servizio, nel caso de quo la società aveva gestito in concessione la riscossione dei tributi e delle altre entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici mediante ruolo nella provincia di Catanzaro. Tra Stato e concessionario vi era un rapporto contrattuale, che era stipulato in seguito ad un’asta pubblica, cui potevano partecipare soltanto determinati soggetti. Compito principale del concessionario era la riscossione delle entrate tributarie e di altre entrate pubbliche che dovevano poi essere trasferite alla tesoreria dello Stato. L’obbligo del non riscosso come riscosso. Il concessionario doveva provvedere in base al ruolo alla riscossione coattiva delle imposte. Con la ricezione dei ruoli da parte del concessionario, le somme iscritte diventavano esigibili il concessionario diveniva responsabile, nei confronti dell’ente impositore, della riscossione di tali somme in taluni casi vigeva il criterio del non riscosso per riscosso”. In base a tale principio, il concessionario, doveva, a determinate scadenze, versare ciò che era iscritto a ruolo, anche se non l’aveva ancora riscosso esso recuperava poi dallo Stato le quote inesigibili, ossia le somme anticipate, ma che non era stato possibile riscuotere, neppure in via coattiva. Residui di gestione del concessionario in caso di revoca o decadenza, ex art. 44 d.P.R. 43/1998 applicabile ratione temporis . Il commissario governativo o il nuovo concessionario provvede alla riscossione dei residui risultanti dagli elenchi e versa l’importo riscosso in ciascun mese, entro il decimo giorno del mese successivo, alla Cassa Depositi e Prestiti. Tali somme eccettuate quelle relative a tributi per i quali il concessionario decaduto o revocato abbia provveduto al versamento in forza del predetto obbligo del riscosso come non riscosso, sono ripartite secondo l’art. 58, d.P.R. n. 43/1998 tra gli enti interessati secondo le rispettive spettanze. Quest’ultima norma, nel testo vigente ratione temporis , disciplinava il riparto del denaro costituito in cauzione e delle somme ricavate dall’esecuzione sui beni costituenti la cauzione stessa. Esso era disposto con provvedimento del servizio centrale e diveniva esecutivo a tutti gli effetti qualora, entro trenta giorni dalla notifica agli interessati, non fosse stata fatta opposizione davanti al pretore, il quale provvedeva quale giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 45, comma 4, d.P.R. n. 602/1973. In difetto di accordo tra le parti in merito alla proposta opposizione erano applicabili le disposizioni dell’art. 512 c.p.c Se il ricavato della vendita dei beni costituenti la cauzione e degli altri beni del concessionario non era sufficiente ala pagamento dei crediti degli enti interessati, il debito residuo era proporzionalmente accollato a ciascuno dei creditori. La prevalenza della procedura concorsuale è predicabile solo dopo” che sia stata acclarata dalla Corte dei conti la spettanza di somme. Invero, prima di arrivare all’esecuzione sulla cauzione del concessionario è pregiudiziale l’accertamento della spettanza o meno di somme al concessionario decaduto. E, come viene ribadito dal decisum in rassegna, è la Corte dei Conti e non la Suprema Corte di cassazione deputata alla verifica dei rapporti di dare ed avere tra esattore delle imposte ed ente impositore e del risultato contabile finale di detti rapporti.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 11 ottobre – 16 novembre2016, n. 23302 Presidente Canzio – Relatore Didone Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1.- La s.p.a. GESAT - trasformatasi in s.r.l. dopo la liquidazione - ha gestito in concessione la riscossione dei tributi e delle altre entrate patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici mediante ruolo nella provincia di Catanzaro fino al settembre 1991, anno nel quale è stata dichiarata decaduta con D.M. 12 settembre 1991. Per la prosecuzione del servizio di riscossione, dal 13 settembre 1991, è stato nominato Commissario Governativo la s.p.a. G.E.T. che ha operato in tale veste nello stesso ambito B della provincia di Catanzaro sino al 31 gennaio 1995 e, successivamente, quale Concessionario fino al 30 giugno 1997, data del recesso. La s.p.a. GET, sui residui di gestione residui sia della GESAT per carichi propri, sia per carichi che aveva ricevuto dai cessati esattori , ha conseguito riscossioni regolarmente versate alla Cassa Depositi e Prestiti per un importo di lire 20.749.134.237. La s.r.l. GESAT in liquidazione è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Lamezia Terme con sentenza del 9 marzo 2001 e il curatore del fallimento ha proposto dinanzi al Tribunale di Catanzaro domanda intesa all'accertamento della spettanza alla massa fallimentare delle somme oggetto di depositi presso la Cassa Depositi e Prestiti intestati alla società fallita quale concessionaria per la riscossione dei tributi per la provincia di Catanzaro, trattandosi di somme relative a tributi e quant'altro di spettanza degli enti per i quali la società curava il servizio di riscossione. Il tribunale - dichiarato il difetto di legittimazione passiva sostanziale della Cassa Depositi e Prestiti - ha accolto la domanda nei confronti del Ministero dell'Economia e delle finanze, cui era stato esteso il contraddittorio. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, accogliendo il gravame proposto dal Ministero e dall'Agenzia delle Entrate, ha declinato la giurisdizione in favore della Corte dei conti sul rilievo che la domanda presuppone l'accertamento dei rapporti debito/credito tra il concessionario decaduto e gli enti impositori, accertamento richiedente la preliminare verifica circa l'avvenuta o meno anticipazione sui ruoli scaduti e non riscossi nonché con lo stesso commissario governativo per eventuali sue anticipazioni e con gli enti impositori e l'amministrazione finanziaria per le domande di rimborso e le inesigibilità ed eventuali altre pendenze. Contro la sentenza di appello il curatore dei fallimento ha proposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo con il quale deduce che l'oggetto della domanda era l'accertamento della prevalenza della concorsualità sulle regole che disciplinano il riparto tra gli enti impositori e che l'eventuale giudizio sui conti presupporrebbe comunque l'acquisizione delle somme alla massa fallimentare. Resistono con controricorso il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Agenzia per le entrate e la Cassa depositi e prestiti. 1.1.- L'Avvocatura dello Stato si è costituita anche per la Cassa depositi e prestiti ed eccepisce che il difetto di legittimazione passiva di questa è stato affermato dal tribunale con pronuncia non impugnata, in parte qua. Nel termine di cui all'art. 378 cod. proc. civ. parte ricorrente ha depositato memoria. 2.- Giova premettere che il sistema di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici - per la parte che qui interessa - è così delineato dal D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 decreto abrogato dall'art. 68, primo comma del d.l.vo 13/04/99 n. 112 , applicabile ratione temporis a la consegna dei ruoli costituisce il concessionario debitore dell'intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli stessi, che debbono essere da lui versate alle scadenze stabilite ancorchè non riscosse art. 32, comma 3 b il concessionario ha diritto al rimborso delle somme versate per le quali è tenuto all'obbligo del non riscosso come riscosso, ovvero al discarico delle somme per le quali non è tenuto a tale obbligo, quando dimostri di non averle potute riscuotere art. 74, comma 1 c l'ufficio finanziario o l'ente cui la richiesta di rimborso o di sgravio sia stata presentata dal concessionario e che non vi abbia aderito, trasmette le proprie osservazioni all'Intendente di finanza che, in caso di rigetto della domanda di rimborso, trasmette il proprio provvedimento motivato all'ufficio finanziario o all'ente impositore, che lo notifica al concessionario art. 83, commi 2 e 3 d contro il provvedimento di rigetto dell'Intendente è ammesso ricorso al Ministro delle Finanze nel termine di trenta giorni dalla notificazione art. 85, comma 1 e contro la decisione di rigetto del Ministro è ammesso il ricorso alla Corte dei conti entro novanta giorni dalla notificazione della decisione art. 85, comma 3 . Da tale disciplina risulta che se rimborso o sgravio non siano stati domandati e/o ottenuti, il concessionario è senz'altro tenuto al pagamento delle somme iscritte nei ruoli, quali che siano state le ragioni della mancata riscossione, in tal caso dei tutto irrilevanti per gli enti creditori, che sono comunque destinati a percepire dal concessionario le somme portate dai ruoli Sez. Un., n. 10667/2009 . 2.1.- L'articolo 44 del d.P.R. n. 43 dei 1988 nel testo in vigore all'epoca dei fatti di causa riassunti sub § 1 disciplinava i Residui di gestione del concessionario in caso di revoca o decadenza , nei seguenti termini 1. Per la riscossione dei residui di gestione, nel caso di decadenza o revoca dei concessionario, l'intendente di finanza e gli enti interessati procedono alla compilazione degli elenchi dei residui da affidare per la riscossione al commissario governativo o al nuovo concessionario. 2. Le spese per la formazione degli elenchi sono a carico dei concessionario decaduto o revocato. 3. Il commissario governativo o il nuovo concessionario provvede alla riscossione dei residui risultanti dagli elenchi e versa l'importo riscosso in ciascun mese, entro il decimo giorno del mese successivo, alla Cassa depositi e prestiti. 4. Le somme versate alla Cassa depositi e prestiti eccettuate quelle relative a tributi per i quali il concessionario decaduto o revocato abbia provveduto al versamento in forza dell'obbligo del non riscosso come riscosso, sono ripartite a norma dell'articolo 58 tra gli enti interessati secondo le rispettive spettanze. 5. Le somme di cui al comma 4, relative ai versamenti eseguiti in forza dell'obbligo del non riscosso come riscosso dal concessionario decaduto o revocato ovvero dal commissario governativo obbligo successivamente abrogato n.d.r. , sono rimborsate a quest'ultimo senza interessi dalla Cassa depositi e prestiti sulla base di apposita autorizzazione dell'intendente di finanza e previa corrispondente riduzione della relativa quota inesigibile di cui sia stata presentata domanda di rimborso. 2.2.- L'articolo 58 cit. d.P.R., nel testo vigente ratione temporis, disciplinava il riparto del denaro costituito in cauzione e delle somme ricavate dall'esecuzione sui beni costituenti la cauzione stessa. Esso era disposto con provvedimento del servizio centrale e diveniva esecutivo a tutti gli effetti qualora, entro trenta giorni dalla notifica agli interessati, non fosse stata fatta opposizione davanti al pretore, il quale provvedeva quale giudice dell'esecuzione ai sensi dell'articolo 45, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. In difetto di accordo tra le parti in merito alla proposta opposizione erano applicabili le disposizioni dell'articolo 512 codice di procedura civile. Se il ricavato della vendita dei beni costituenti la cauzione e degli altri beni del concessionario non era sufficiente al pagamento dei crediti degli enti interessati, il debito residuo era proporzionalmente accollato a ciascuno dei creditori. Parte ricorrente muove dal richiamo alla predetta disposizione operato dall'art. 44 per invocare la natura esecutiva dei relativo procedimento, il quale sarebbe, dunque, improcedibile in virtù dell'art. 51 I. fall. Ma all'argomento esecuzione sulla cauzione del concessionario è agevole obiettare quanto osservato dalla Corte di appello secondo cui è pregiudiziale l'accertamento - cui tende il presente giudizio - della spettanza o meno di somme all'ex concessionario. Soltanto dopo tale accertamento sorge la necessità di esecuzione per ripartire le somme depositate tra gli enti. La prevalenza della procedura concorsuale è predicabile solo dopo che sia stata acclarata dalla Corte dei conti la spettanza di somme. Il ricorrente muove dal presupposto che sia stato accertato che somme siano state anticipate non riscosso per riscosso , ma ciò è quanto occorre accertare davanti al giudice che ha giurisdizione sul diniego dell'Intendente di Finanza dell'Amministrazione . Il fallimento subentra nella stessa posizione dei concessionario decaduto e si applica, dunque, l'art. 44 d.p.r. 43/1988. All'argomento di parte ricorrente, secondo cui la stessa Amministrazione avrebbe dato disposizioni agli enti impositori di presentare le insinuazioni al passivo fallimentare, va obiettato che l'Amministrazione si è comportata correttamente, perché i crediti degli enti impositori devono essere in ogni caso accertati in sede fallimentare art. 52 I. fall. . Ciò, peraltro, non rileva nella controversia sulla spettanza delle somme depositate presso la CDP. E' infondato dunque il richiamo agli artt. 51 e 52 I. fall. Non si nega, dunque, il principio per il quale anche nella procedura esecutiva promossa da un istituto di credito fondiario ai sensi dell'art. 42 del R.D. 16 luglio 1946 n. 646, trova applicazione il principio secondo cui l'ordinanza di distribuzione definisce la fase espropriativa vera e propria ma non anche il processo esecutivo, da ritenersi in corso fintanto che non sia eseguito il pagamento, a favore del creditore assegnatario, della somma ricavata dalla vendita. Pertanto, se tra la data del provvedimento di assegnazione e quella dei pagamento intervenga il fallimento del debitore, in forza dei divieto di azioni individuali posto dall'art. 51 legge fall., la somma deve ritenersi di pertinenza della curatela Sez. 1, n. 23572 del 2004, Rv. 579505 . Il raccordo, dunque, deve essere a accertamento ex art. 44 d.p.r. n. 43/1988 b titolo esecutivo di ripartizione tra enti impositori c insinuazione al passivo perché l'esecuzione è impedita da art. 51 I. fall. . 3.- Conclusivamente, la Corte di merito ha dichiarato la giurisdizione della Corte dei Conti, così correttamente applicando la giurisprudenza delle Sezioni unite secondo la quale l'esattore delle imposte può qualificarsi come contabile, essendo un agente incaricato, in virtù di una concessione contratto, di riscuotere danaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici e dei quale egli ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione ed il versamento. Ne consegue che, allorquando egli, cessato il rapporto concessorio ed assunta la concessione da parte di altro esattore, si venga a trovare nella posizione di creditore verso l'ente impositore, in conseguenza della emergenza di un saldo attivo a suo favore dalla differenza tra l'importo effettivo e quello contabile dei tributi ancora da riscuotere al momento della cessazione del rapporto, il giudizio per il pagamento di quanto dovutogli dall'ente va promosso innanzi all'autorità che normalmente giudica della responsabilità contabile, cioè alla Corte dei Conti, deputata - in base alle norme degli artt. 13 e 44 del T.U. n. 1214 del 1934 ed alle successive di cui al d.P.R. n. 603 del 1973 ed al d.P.R. n. 858 del 1963, le quali non risultano abrogate dalla legge n. 657 del 1986 e dal successivo d.P.R. n. 43 del 1988 - alla verifica dei rapporti di dare ed avere tra esattore delle imposte ed ente impositore e del risultato contabile finale di detti rapporti. E ciò anche allorché la controversia, essendo già avvenuta la riscossione per la sorte creditoria quanto al capitale, riguardi la pretesa dell'esattore relativa agli interessi, poiché questi costituiscono un accessorio dei credito principale, da esso promanando e ricollegandosi ad esso in via immediata e diretta, onde ne seguono la qualificazione, inserendosi, pertanto, in presenza di contestazione dell'amministrazione sulla loro esigibilità e sul loro ammontare, nel rapporto di dare ed avere tra l'esattore e l'amministrazione finanziaria e dovendo essere necessariamente contabilizzati Sez. U, n. 237 dei /1999, Rv. 525154 . Il predetto principio è applicabile anche nell'ipotesi di fallimento della concessionaria dichiarato dopo la decadenza della concessione e l'art. 51 I. fall. opera soltanto in relazione alle somme accertate dalla Corte dei conti come spettanti alla massa fallimentare. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. In difetto di precedenti in termini le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dei cit. art. 13, comma 1 bis.