La cancellazione dal registro delle imprese quali effetti produce?

Il decisum in commento ritorna sulla questione degli effetti e della natura della cancellazione della società dal registro delle imprese. Nello specifico si tratta di stabilire se la cancellazione, così come disciplinata dal nuovo art. 2495, c.c., introdotto dal d.lgs. n. 6/2003, produca, o no, l’estinzione della società di capitali, con il conseguente fenomeno successorio nei confronti dei soci, venendo meno la sua capacità e soggettività.

E, i giudici della Terza sezione Civile di piazza Cavour, con la sentenza n. 10694 depositata il 24 maggio 2016, conformandosi a un non lontano grand arrêt delle Sezioni Unite v., Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070 , ribadiscono che costituisce principio consolidato quello secondo cui l’estinzione della società di capitali per effetto della volontaria cancellazione dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno di tipo successorio nei confronti dei soci, in virtù del quale a l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce si soci, che rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali b i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa. In astratto, pertanto il socio successore della società ha legittimazione ad impugnare una decisione emessa nei confronti della società estinta. Si tratta di verificare la presenza di un comportamento pregresso della società inequivocabilmente inteso a rinunciare alla controversia, venendo meno in tal caso l’oggetto della trasmissione successoria. Il fatto. Il Tribunale di Roma nel 2009 accoglieva la domanda di risoluzione di un contratto preliminare di vendita di azienda, proposta dalla Gamma s.r.l. e da Caio nei confronti della Beta s.r.l., condannando quest’ultima alla restituzione della somma di quasi Euro centocinquantacinquemila, pari alla caparra confirmatoria versata. Sempronio, nella qualità di socio liquidatore, nonché mandatario dei soci della Beta s.r.l., proponeva quindi appello, fondando la propria legittimazione sull’estinzione della società avvenuta nel 2007, in pendenza del giudizio di primo grado. La Corte territoriale capitolina, tuttavia, ne dichiarava l’inammissibilità per difetto di legittimazione dell’appellante, ritenendo che stante l’effetto estintivo immediato della cancellazione della società, non residuava una capacità del socio e/o liquidatore ad impugnare la sentenza resa nei confronti della società cancellata. Avverso quest’ultima decisione Sempronio proponeva quindi ricorso per cassazione cui resistevano con unico controricorso Caio e la Gamma s.r.l. In particolare, il ricorrente con due motivi strettamente collegati, deduceva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2484 e 2495 c.c., e degli artt. 110 e 111 c.p.c., nonché, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c., in riferimento alla insussistenza di una rinuncia da parte dei soci a qualsiasi pretesa riguardo al giudizio in corso con la società. E, gli Ermellini, accolgono il ricorso e precisano come si possa fondatamente dedurre che la società, con la decisione di porsi in liquidazione e cancellarsi dal registro delle imprese, non abbia scelto di rinunciare all’azione precedente e che legittimato sia il socio nella disponibilità della quale siano state lasciate delle somme in sede di liquidazione per l’ipotesi di soccombenza. Pertanto, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e rimanda alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che esaminerà l’impugnazione nel merito, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità. La disciplina ante riforma della cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese. Prima della riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative, la materia della cancellazione delle società dal registro delle imprese era disciplinata dall’art. 2456 c.c., per le s.p.a., ma era altresì ritenuta applicabile estensivamente anche alle altre società di capitali. In particolare, secondo la giurisprudenza, ex multis , Cass. 1468/2004 , la cancellazione della società, nel vigore della vecchia formulazione del citato art. 2456 c.c., aveva una funzione meramente dichiarativa di pubblicità, non sortendo l’effetto di estinguere l’ente, qualora tutti i rapporti giuridici allo stesso facenti capo non si fossero completamente esauriti. Conseguenza diretta di tale interpretazione era il persistere in capo alla società della legittimazione processuale, essendo ancora presente la capacità giuridica della stessa nonostante la cancellazione e addirittura dopo lo scioglimento e la liquidazione del patrimonio. E ciò per fornire piena garanzia ai creditori sociali che potevano agire direttamente non solo nei confronti del singolo socio, nei limiti della somma a lui assegnata in base al bilancio finale di liquidazione, nonché nei confronti dei liquidatori, che per colpa avessero provocato il mancato pagamento, ma anche nei confronti della stessa società cancellata, in persona dei liquidatori in carica al momento della cancellazione, al fine di ottenere una dichiarazione di nullità della ripartizione tra i soci dei beni sociali. In tal modo, il creditore avrebbe potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale già distribuito con esclusione dei crediti personali dei soci. Gli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese nella nuova formulazione dell’art. 2495 c.c. Ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c., nel testo introdotto dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ed entrato in vigore a partire dal primo gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. Tale disposizione, non disciplinando le condizioni per la cancellazione, ma gli effetti della stessa, ovverosia la situazione giuridica della società cancellata, trova applicazione anche in riferimento alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore v. Cass. n. 18618/2006 . Dunque, con la cancellazione si produce l’estinzione della società, confermata, appunto, nella succitata novella del 2003, a seguito di principio espresso dal giudice delle leggi per il valore della certezza del diritto v. Corte Cost. n. 319/2001 . Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse, in base al bilancio finale di liquidazione e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda giudiziale, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società, ex art. 2495, comma 2, c.c., in coerenza con la disciplina fallimentare per la quale può essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore commerciale cessato entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. L’estinzione della società di capitali per effetto della volontaria cancellazione dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno di tipo successorio. Con riferimento ai rapporti passivi si esclude che possa esservi una estinzione dei debiti per effetto dell’estinzione della società, poiché in tal modo si finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, il che sarebbe ancor più inaccettabile in un contesto nel quale al creditore non è consentito impugnare il bilancio finale di liquidazione. Si ritiene, pertanto, nel decisum in rassegna, che i debiti si trasferiscano in capo ai soci e che, pertanto, la chiamata in responsabilità operata dall’art. 2495, comma 2, c.c., implichi un meccanismo di tipo successorio. E, con riferimento al piano processuale si rileva, da un lato, che una società non più esistente perché cancellata dal registro delle imprese, non possa validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta dall’altro, sul presupposto, di una successione dei soci sia nei rapporti passivi che in quelli attivi facenti capo alla società cancellata, la giurisprudenza di legittimità ut supra , Cass. 6070/2013 ritiene applicabile, qualora l’estinzione della società avvenga in pendenza di un giudizio del quale la società sia parte, l’art. 110 c.p.c., determinandosi, pertanto, un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. In conclusione, pertanto, il socio successore della società, come nel caso de quo , è legittimato ad impugnare una decisione emessa nei confronti della società estinta.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 11 febbraio - 24 maggio 2016, n. 10694 Presidente Spirito – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. I1 Tribunale di Roma nel 2009 accolse la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita di azienda, proposta dalla Friendship 3 s.r.l. e da S.G. nei confronti della B& amp B s.r.l., e condannò quest’ultima alla restituzione della somma di quasi Euro 155 mila, pari alla caparra confirmatoria versata. L’appello fu proposto da B.F. , nella qualità di socio, liquidatore, nonché mandatario dei soci della B& amp B s.r.l., fondando la propria legittimazione sulla estinzione della società avvenuta nel 2007, in pendenza del giudizio di primo grado. La Corte di appello di Roma dichiarò l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione dell’appellante, ritenendo che stante l’effetto estintivo immediato della cancellazione della società, non residuava una capacità del socio e/o del liquidatore ad impugnare la sentenza resa nei confronti della società cancellata sentenza del 10 luglio 2012 . 2. Avverso la suddetta sentenza, B.F. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resistono con unico controricorso, esplicato da memoria, la Friendship 3 srl e S.G. . Motivi della decisione 1. La Corte di merito - richiamando la riforma del 2003 della disciplina societaria, e partitamente i novellati artt. 2484 e 2495 c.c., nonché la successiva giurisprudenza di legittimità in particolare Cass. n. 16758 del 2010, - ha ritenuto che, essendo stata la società cancellata dal registro delle imprese ed estinta con effetto immediato, non residuava la legittimazione del socio e/o del liquidatore e che la scelta di sciogliere la società, con un giudizio ancora in corso, doveva essere intesa come manifestazione dell’intento dei soci di rinunciare a qualsiasi pretesa al riguardo. Ha aggiunto che la disponibilità di una somma in capo al liquidatore, deliberata in sede di approvazione del bilancio finale di liquidazione, non poteva indurre a diversa conclusione, significando semplicemente la disponibilità del denaro necessario per l’ipotesi di esito sfavorevole della controversia. 2. Il ricorrente, con due motivi strettamente collegati, deduce, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2484 e 2495 c.c., nonché degli artt. 110 e 111 c.p.c. primo motivo , nonché, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. secondo motivo , in riferimento alla insussistenza di una rinuncia da parte dei soci a qualsiasi pretesa riguardo al giudizio in corso con la società. 2. La censura è fondata. 2.1. La estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese è avvenuta nel corso del giudizio di primo grado. Non è contestato che il B. fosse socio al 99,95% della società. Dalla documentazione richiamata dal ricorrente, risulta che nel piano di riparto della liquidazione venne lasciata a mano del liquidatore B. una somma sino alla definizione della controversia con gli acquirenti dell’azienda, con la precisazione che quanto residuato all’esito è distribuito ai soci in ragione delle quote societarie. 2.2. Ai fini dell’accoglimento delle censure rileva la giurisprudenza di legittimità successiva alla emanazione della decisione impugnata. Dopo la decisione delle Sez. Un. n. 6070 del 2013, ed a prescindere dal profilo della ultrattività del mandato affrontato da Sez. Un. 15295 del 2014, nella specie non rilevante , costituisce principio consolidato quello secondo cui l’estinzione della società di capitali per effetto della volontaria cancellazione dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno di tipo successorio nei confronti dei soci, in virtù del quale a l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, che rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali b i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, in regime di con titolarità o comunione indivisa. In astratto, pertanto il socio successore della società ha legittimazione ad impugnare una decisione emessa nei confronti della società estinta. Si tratta di verificare la presenza di un comportamento pregresso della società inequivocabilmente inteso a rinunciare alla controversia, venendo meno in tal caso l’oggetto della trasmissione successoria. Nella specie, in pendenza del giudizio in cui la società era convenuta per la risoluzione di un contratto preliminare di vendita di azienda, in sede di liquidazione furono lasciate al liquidatore lo stesso attuale ricorrente le somme per far fronte all’esito della controversia e si dispose che quanto eventualmente residuato in esito a quella controversia fosse ripartito tra i soci in ragione della quota che per il B. corrisponde al 99,95% . Può fondatamente dedursi che con la decisione di porsi in liquidazione e cancellarsi dal registro della imprese la società non abbia scelto di rinunziare all’azione pendente e che legittimato sia il socio nella disponibilità del quale sono state lasciate delle somme in sede di liquidazione per l’ipotesi di soccombenza socio che, per il 99,95%, avrebbe avuto diritto a trattenerle in caso di esito vittorioso della lite. Né, in mancanza di qualunque delimitazione in tal senso, può limitarsi tale previsione in sede di riparto, come sostengono i controricorrenti, all’esito del giudizio di primo grado all’epoca in corso. 3. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la Corte di appello di Roma, in diversa composizione, esaminerà l’impugnazione nel merito, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.