La concorrenza sleale presuppone la comunanza della clientela

La concorrenza sleale presuppone la c.d. comunanza di clientela da intendersi come l’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono all’acquisto di tutti quei prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10336/2016, depositata il 19 maggio. La comunanza della clientela deve essere verificata anche in prospettiva potenziale dovendosi, al riguardo, esaminare se l’attività di cui si tratta consenta di configurare l’offerta dei medesimi prodotti, affini o succedanei. La fattispecie. Nel caso in esame l’attore aveva convenuto in giudizio altra società per la manipolazione del materiale pubblicitario e la contraffazione del marchio in violazione della Legge n. 929/1942 e degli artt. 2569 e segg. c.c Se il Tribunale di prima istanza accoglieva la domanda attorea la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione emessa dal Giudice di prime cure, riteneva del tutto infondata la concorrenza sleale e la contraffazione del marchio. La controversia è poi giunta in cassazione. Il requisito della comunanza della clientela. Il presupposto per l’esistenza di una condotta di concorrenza sleale è la comunanza della clientela intesa non come identità dei prodotti di due imprese ma dall’insieme dei consumatori che sentono l’esigenza di rivolgersi a un determinato mercato per la ricerca di prodotti idonei a soddisfare le loro esigenze. Secondo la più qualificata giurisprudenza la comunanza della clientela va verificata anche tenuto conto della commercializzazione di prodotti affini o succedanei rispetto a quelli attualmente offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. I limiti geografici del mercato. Nella fattispecie concreta il Giudice di gravame ha errato nel valutare la non conflittualità territoriale in quanto il soggetto leso ha dimostrato di aver incaricato dei rappresentanti che operavano nella medesima area geografica ove anche l’azienda che ha posto in essere gli atti di concorrenza sleale svolgeva la propria attività e, pertanto, la decisione deve esser riformata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 aprile – 19 maggio 2016, n. 10336 Presidente Nappi – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con citazione del 10.6.03, la Petra Antiqua srl, svolgente attività di produzione e distribuzione, in Italia ed all’estero, di marmi anticati con i marchio registrato Petra Antiqua , conveniva in giudizio davanti Tribunale di Mondovì la ditta individuale Mosart Antiqua di B.M. . Riferiva di avere subito da parte della convenuta, corrente in omissis , con cui aveva avviato un’attività di collaborazione per la distribuzione dei propri prodotti nell’area piemontese dal 1995 e a cui aveva fornito dal 1998 numerosi esemplari dei propri cataloghi e listini prezzi, una condotta di concorrenza sleale, percepita soltanto dalla primavera 2002, in occasione di una riorganizzazione della distribuzione dei propri prodotti nel mercato piemontese consistita nella contraffazione del marchio suddetto e nella manipolazione del materiale promozionale, nell’alterazione dei prezzi dei prodotti, sensibilmente aumentati con negativo riflesso sul rapporto qualità/prezzo e relativa diminuzione delle vendite, in conseguenza della quale aveva promosso, con ricorso del 25 settembre 2002 al Tribunale di Mondovì, un procedimento cautelare ante causam, per l’inibizione degli atti di concorrenza sleale denunciati ed il sequestro giudiziario del materiale promozionale utilizzato, ottenendone la concessione dal tribunale, i? composizione collegiale, con ordinanza del 13 maggio 2003. L’attrice chiedeva quindi l’accertamento della contraffazione del marchio, in violazione della l. 929/1942 e degli artt. 2569 ss. c.c., nonché dell’attività di concorrenza sleale, sotto i concorrenti profili dell’effetto confusorio, dell’appropriazione di pregi e della difformità dai principi di correttezza professionale art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c. , oltre a quello di un’eventuale violazione del diritto di autore in riferimento ai cataloghi consegnati sostanzialmente copiati dalla suddetta impresa individuale . Instava per il riconoscimento di un danno patrimoniale, per costi promozionali e per mancate vendite nel mercato piemontese, oltre che di un danno morale per la lesione del proprio diritto ad un’immagine credibile, chiedendo l’accertamento e l’inibizione della continuazione dei comportamenti illeciti denunciati, con eliminazione di ogni loro effetto e la condanna della convenuta al pagamento a titolo risarcitorio di somma non minore di 250.000,00, o diversa di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi, anche anatocistici, con pubblicazione della sentenza, a norma dell’art. 2600. secondo comma c.c., su almeno un quotidiano nazionale. Costituitosi il contraddittorio, l’impresa individuale convenuta, premesse le diverse natura e dimensioni commerciale, impiegante oltre settanta dipendenti ed operante in Italia ed all’estero quelle di Petra Antiqua s.r.l. artigianale, con un solo dipendente ed operante nella sola provincia di Cuneo, quella di essa convenuta delle parti ed esclusa, alla luce dei rapporti intercorsi tra le stesse, la condotta illecita, eccepiva l’infondatezza delle domande avversarie di cui chiedeva la reiezione. Il tribunale di Mondovì, con sentenza n. 33 del 14 febbraio 2008, inibiva a Mosart Antiqua di B.M. la continuazione di tutti i comportamenti di concorrenza sleale accertati e la condannava al pagamento, in favore di Petra Antiqua s.r.i. ed a titolo risarcitorio, della complessiva somma di Euro 156.920,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda, nonché alla rifusione delle spese processuali, comprese quelle delle due C.t.u., con pubblicazione di un estratto della sentenza, a cura dell’attrice e spese della convenuta, per una volta sul quotidiano omissis . Con atto di citazione,notificato il 14 luglio 2008, B.M. , quale titolare della ditta individuale Mosart Antiqua, proponeva appello avverso la predetta sentenza sulla base di due motivi di gravame, chiedendone la riforma, con il rigetto delle domande avversarie e, in subordine, la propria condanna ai danni effettivamente accertati. Costituitosi il contraddittorio, Petra Antiqua s.r.l. eccepiva l’infondatezza dell’appello avversario, di cui chiedeva il rigetto e, a propria volta, proponeva ricorso incidentale. La Corte d’appello di Torino, con sentenza 909 del 2010, in riforma della sentenza del Tribunale di Mondovì n. 33 del 14 febbraio 2008 rigettava le domande proposte da Petra Antiqua srl., nei confronti di B.M. , quale titolare della ditta individuale Mosart Antiqua condannava la predetta società al pagamento, a titolo restitutorio ed in favore della ditta individuale, della somma di Euro 199.513,60, oltre interessi legali dal 30 luglio 2008 sulla somma di Euro 197.502,00 e dal 4 agosto 2008 sulla somma di 2.011,60 provvedeva sulle spese. Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione la Petra Antiqua srl srl sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso la ditta Mosart Antiqua. Motivi della decisione Con il primo motivo la Petra Antiqua srl deduce l’illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché l’ error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 un. 1, 2 e 3 e degli artt. 2569 c.c. e ss. A suo dire il giudice del gravame, dopo una premessa a carattere generale corretta, sarebbe incorso nell’errore di diritto e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. in quanto il ragionamento sviluppato sarebbe in contrasto con il principio generale di diritto di cui all’ad 2598 c.c. in relazione alla individuazione dell’ambito territoriale ove le due imprese svolgevano la loro attività. Con il secondo motivo la società Petra sostiene la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c., in relazione alla verifica della comunanza della clientela anche in termini potenziali. Con il terzo motivo lamenta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c., in relazione all’individuazione dell’ambito territoriale di riferimento dell’attività di Petra. Ritiene la ricorrente che la Corte di Appello abbia confuso il mercato italiano e piemontese, e che sulla base di tale confusione abbia espresso una motivazione incomprensibile e contraddittoria. Con il quarto motivo Petra sostiene la illegittimità della sentenza e del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. e conseguente travalicamento delle domande e delle deduzioni delle parti. Con il quinto motivo deduce la illegittimità della sentenza e del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per omessa pronuncia su domande ritualmente proposte. I primi tre motivi di ricorso, tra loro connessi, in quanto concernono, sotto diversi profili,la medesima questione, possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano fondati. Invero, uno dei presupposti per l’accertamento della esistenza della concorrenza sleale, la cui assenza impedisce ogni concorrenza, è costituito dall’esistenza della comunanza di clientela che è data non già dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti delle due imprese, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato, e, pertanto, si rivolgono all’acquisto di tutti quei prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare Cass. 1617/00 . La comunanza della clientela secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi, al riguardo, esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e, quindi, su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini o succedanei rispetto a quelli attualmente offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale Cass. n. 1617 del 14/02/2000 Cass. n. 5377 dell’11.4.2001, Cass. n. 3040 del 15.2.05, n. 14793 Cass. 17144/09 Cass. 22332/14 . Per quanto concerne, in particolare, l’ambito geografico, ciò che viene in gioco è l’accertamento del mercato di riferimento, ovvero, nel c.d. mercato rilevante, che è quello nel quale operano ovvero, secondo la naturale espansività delle attività economiche, possono operare gli imprenditori in controversia Cass. 3040/05 . Nel caso di specie la Corte d’appello ha correttamente fatto riferimento ai suesposti principi ma non appare corretta l’applicazione conseguente. Invero, la sentenza ha osservato che nel periodo interessato dalla denuncia anticoncorrenziale di Petra Antiqua s.r.l. e dalla sua conseguente domanda risarcitoria 1998 2002 , nessuna prova era stata offerta dalla medesima, di ciò onerata, della sua effettiva presenza sul mercato piemontese. A tale proposito ha rilevato che dalla stessa contabilità della predetta società, criticamente analizzata dal C.t.u. nel periodo in questione, erano risultate vendite in Piemonte esclusivamente a Mosart Antiqua, sua cliente, nei cui confronti risultava non dimostrato alcun vincolo collaborativo obbligante la seconda alla vendita per conto né, tanto meno, in nome della prima mentre dalle dichiarazioni dei testi escussi era risultato che solo a partire dalla primavera del 2002 la Petra aveva dato incarico ad alcuni agenti di commercio di coprire anche la zona del XXXXXXXX. Tale motivazione appare in primo luogo contraddittoria e non logicamente coerente in relazione alle conclusioni tratte. I a Corte d’appello ha infatti all’inizio del suo argomentare dato atto che la Petra Antiqua srl operava sul mercato italiano ed estero ed ha poi rilevato che la Mosart con sede in XXXXXXXX era cliente della Petra da cui acquistava i materiali. Da tali circostanze sarebbe stato possibile argomentare più coerentemente che,operando la Petra Antiqua sul territorio nazionale, in esso era incluso anche il Piemonte e che,comunque,la presenza sul territorio di detta regione era comprovato dal fatto che la Petra effettuava vendite proprio alla Mosart. Ciò in relazione alla effettiva presenza della Petra sul mercato piemontese nel periodo 2008-2012. Se si esamina poi la questione sotto il profilo della possibilità di espansione sul mercato piemontese,si rileva che nessuna argomentazione è stata effettuata in proposito dalla sentenza impugnata che non ha valutato se la presenza sul territorio nazionale della Petra comportasse la sua potenzialità di effettuare vendite anche in Piemonte, specie in relazione al fatto che queste venivano già effettuate alla Mosart, e non ha svolto alcuna considerazione sulla circostanza, pure accertata,che dalla primavera del 2012 la Petra aveva nominato degli agenti per operare sul territorio piemontese. Circostanza quest’ultima che dimostra in ogni caso la potenzialità espansiva della ricorrente nel predetto mercato. I motivi vanno in conclusione accolti, con assorbimento del quarto. Risulta fondato anche il quinto motivo. La società Petra aveva infatti prospettato la concorrenza sleale sotto diverse ipotesi di cui all’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 che notoriamente costituiscono violazioni tra loro autonome e su di esse non si rinviene alcun esame. Altrettanto deve dirsi per quanto concerne la domanda di contraffazione del marchio e quella di violazione del diritto d’autore relativamente ai cataloghi. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. Accoglie i primi tre motivi del ricorso nonché il quinto, assorbito il quarto,cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.