Sindaco dimissionario: il compenso è parametrato all’attività prestata

Gli Ermellini affrontano il tema della determinazione del compenso del sindaco di una società di capitali che abbia presentato le dimissioni dall’incarico prima della scadenza del termine triennale previsto dall’art. 2400 c.c

Questo il tema affrontato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3190/16, depositata il 18 febbraio. La vicenda. L’ ex sindaco di una banca agiva in giudizio per l’ottenimento dell’integrale compenso a lui spettante per l’attività esercitata a favore della società nell’anno 2005 e 2006, quando rassegnava le proprie dimissioni. La banca si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza del preteso riconoscimento dell’intero compenso per l’esercizio sociale del 2006 a causa della presentazione delle dimissioni nei primi giorni del mese di gennaio. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda attorea, ma la decisione veniva rovesciata dalla sentenza d’appello che riteneva indispensabile un collegamento tra il compenso spettante al sindaco e l’effettiva durata dell’incarico, normativamente fissata in tre esercizi. Il valore probatorio delle risultanze di bilancio. Il primo motivo del ricorso con cui l’ ex sindaco ricorre in Cassazione, fa leva sulla circostanza per cui il bilancio relativo all’esercizio sociale 2005, approvato dall’assemblea nel maggio 2006, indicava come compenso l’intero importo da lui preteso. La S.C. evidenzia come la censura risulti infondata alla luce del principio affermato dalla medesima Corte con la sentenza n. 6547/13 secondo cui il bilancio di una società di capitali regolarmente approvato assume valore probatorio ex art. 2709 c.c. in ordine ai debiti della società, ferma restando la libera valutazione del giudice di merito alla stregua di ogni altro atto di causa. Conseguentemente, il fatto che la nota integrativa indichi l’intero importo del compenso spettante al sindaco diviene irrilevante a fronte della non integrale esecuzione delle prestazioni per le quali tale corrispettivo era previsto. La durata triennale dell’incarico. Con ulteriore doglianza, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2400 c.c. in quanto l’emolumento a lui spettante avrebbe dovuto essere commisurato all’intera durata dell’esercizio sociale, senza alcuna influenza delle dimissioni. La censura non trova accoglimento da parte dei Giudici di legittimità che, richiamando il primo comma della norma citata, sottolineano come la scadenza dell’incarico sindacale non coincida con la fine dell’anno solare relativo al terzo esercizio sociale, bensì con il momento dell’approvazione del bilancio relativo a quell’esercizio. La motivazione della Corte d’appello risulta dunque immune da vizi nella parte in cui riconosce una decurtazione del compenso a seguito delle dimissioni presentate dal sindaco prima della scadenza naturale dell’incarico. Di conseguenza, escludendo il diritto del sindaco alla remunerazione prevista per l’intero esercizio 2006, la misura del compenso dovuto per l’attività effettivamente prestata è stata legittimamente parametrata all’attività effettivamente prestata in quel periodo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Fonte www.ilsocietario.it

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 novembre 2015 18 febbraio 2016, n. 3190 Presidente Rordorf Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. S.R. ha agito nella sua qualità di ex sindaco della Banca Popolare di Intra s.p.a. per ottenere il pagamento del saldo del compenso spettantegli per l'attività svolta in favore della società nell'anno 2005 e nei primi giorni del 2006 per un ammontare complessivo di 39.102,77 Euro oltre accessori di legge. 2. Si è costituita la Banca Popolare di Intra che ha eccepito il non regolare adempimento delle obbligazioni gravanti sullo S. nell'esecuzione del suo incarico. Questi infatti non aveva esercitato il doveroso controllo sulla corretta gestione e amministrazione della banca e a tale comportamento doveva riconnettersi l'irrogazione di una sanzione da parte della Banca d'Italia. Inoltre S.R. aveva presentato le proprie dimissioni alla data del 13 gennaio 2006 e non poteva pretendere pertanto l'intero compenso di 45.000 Euro concordato per l'esercizio decorrente dall'aprile 2005 al marzo 2006. Ha chiesto pertanto il rigetto della domanda e in via riconvenzionale la condanna alla ripetizione della somma corrisposta dalla Banca a titolo di sanzione. 3. La domanda dello S. è stata accolta dal Tribunale di Verbania che ha condannato la Banca Popolare di Intra s.p.a. al pagamento della somma di 48.402,46 Euro oltre interessi dal 29 agosto al saldo. Ha ritenuto il Tribunale che il compenso doveva considerarsi previsto per l'esercizio sociale invece che per l'anno solare. Quanto alla riconvenzionale il Tribunale, nel rigettare la domanda, ha rilevato che non vi era la prova del pagamento della sanzione alla Banca d'Italia. 4. Ha proposto appello Banca di Intra s.p.a. insistendo sulle difese già svolte in primo grado circa la non spettanza del compenso ulteriore richiesto da S.R. . 5. La Corte d'appello di Torino, con sentenza n. 1150/12, ha accolto l'impugnazione della Banca Popolare di Intra s.p.a. ritenendo necessariamente collegato il diritto al compenso alla durata dell'incarico dei sindaci, prevista per tre esercizi con scadenza alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio del terzo esercizio. Ha pertanto respinto le domande proposte in primo grado da S.R. che ha condannato alla restituzione della somma percepita in forza della sentenza di primo grado e al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio. 6. Ricorre per cassazione S.R. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. 7. Si difende con controricorso Veneto Banca s.n.c.p. già Banca Popolare di Intra s.p.a. . Ritenuto che 8. Le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente relative alla commistione nello stesso motivo di ricorso di censure per violazione di legge e difetto di motivazione devono considerarsi superate alla luce della sentenza Cass. civ. S.U. n. 9100 del 6 maggio 2015 secondo cui in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d'inammissibilità dell'impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati. 9. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, 2389, 2697, 2709 c.c. insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo motivo di ricorso fa leva sostanzialmente sulla circostanza per cui, nel bilancio relativo all'esercizio sociale 2005, approvato dall'assemblea nel maggio 2006, l'emolumento del sindaco era stato indicato per l'intero importo da lui preteso. La censura è infondata, alla stregua del principio affermato da Cass. civ. sez. III, n. 6547 del 14 marzo 2013, secondo cui il bilancio di una società di capitali regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell'impresa soggetta a registrazione, fa prova, ai sensi dell'art. 2709 cod. civ., in ordine ai debiti della società medesima, ma l'apprezzamento è affidato alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa . Nella specie, a fronte del rilievo dello S. , per cui la nota integrativa al bilancio al 31 dicembre 2005 attesta che il compenso è pari, compresi i gettoni di presenza, a 80.000 Euro, con la conseguenza che l'approvazione del bilancio costituisce riconoscimento irrevocabile dell'intero compenso, la Corte d'appello ha ben spiegato che non può essere attribuito alla nota integrativa il significato voluto dall'appellato. Infatti l'indicazione, in quella sede, del compenso complessivamente dovuto al rag. S. in Euro 80.000 appare irrilevante a fronte del fatto che le prestazioni alle quali tale corrispettivo si doveva collegare non sono state integralmente eseguite. In sostanza il giudice del gravame ha motivato ragionevolmente il motivo per cui, nel caso in esame, gli elementi acquisiti agli atti di causa portano a togliere rilievo alla predetta appostazione contabile. 10. Con il secondo motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell'art. 2400 c.c. contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente insiste nella tesi per cui l'emolumento spettante dovrebbe esser commisurato all'intera durata dell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2005 e non sarebbe perciò influenzato dalle dimissioni rassegnate nel gennaio 2006. L'assunto del ricorrente è infondato, dovendosi ritenere che l'incarico sindacale scade non alla fine dell'anno solare relativo ad un determinato esercizio, bensì al momento dell'approvazione del bilancio riguardante quel medesimo esercizio. Va rilevato che il primo comma dell'art. 2400 c.c., nell'indicare che i sindaci restano in carica per un triennio, originariamente non specificava se tale periodo andasse calcolato rigorosamente secondo calendario, o se invece l'espressione adoperata dal legislatore dovesse essere intesa come sinonimo di tre esercizi sociali, dovendosi i sindaci considerare in carica sino a che non si fosse tenuta l'assemblea chiamata ad approvare il bilancio relativo all'ultimo di tali esercizi. Favorevole alla seconda soluzione si era mostrata la prevalente giurisprudenza nonché la dottrina. La nuova formulazione del primo comma dell'articolo in esame risolve ora in modo espresso la questione, confermando l’orientamento maggioritario. Da qui la corretta conclusione, cui è pervenuta la Corte d'appello, in ordine alla decurtazione del compenso a seguito delle dimissioni del sindaco del gennaio 2006. Infatti il previsto triennio di durata in carica aveva preso a decorrere per tre anni dall'aprile 2004, momento dell'approvazione del bilancio 2003. In questa prospettiva deve ritenersi irrilevante il riferimento del ricorrente all'art. 38 dello statuto della banca che prevedeva la chiusura dell'esercizio sociale al 31 dicembre di ogni anno. 11. Con il terzo motivo di ricorso, da ritenersi ammissibile alla luce della giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. civ. S.U. n. 17931 del 24 luglio 2013 , si deduce violazione degli artt. 112, 113, 342 c.p.c. contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente imputa all'impugnata sentenza un vizio di extrapetizione in quanto la banca appellante avrebbe messo in discussione col suo gravame solo la durata temporale dell'incarico da remunerare e non anche il criterio di determinazione del compenso. L'assunto difensivo non è pertinente, perché, una volta escluso il diritto del sindaco alla remunerazione prevista per un intero esercizio, occorreva determinare la misura del compenso dovuto per una parte soltanto dell'anno. Non vi sono ragioni, sul piano logico-giuridico, per desumere da ciò una determinazione rigorosamente proporzionale al numero di mesi e giorni dell'anno in cui l'incarico è stato effettivamente prestato. È invece da ritenere legittimo che la misura del compenso per una frazione di anno sia stata commisurata alle attività effettivamente espletate nel periodo in questione, senza che ciò implichi il travalicamento dei limiti fissati dalla domanda o dal motivo di gravame. 12. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 345 c.p.c Il ricorrente lamenta che sia stata pronunciata condanna alla restituzione della maggior somma percepita dall'attore per effetto dell'esecuzione della sentenza di 1 grado benché la relativa domanda fosse stata proposta da parte appellata tardivamente e cioè nel corso del giudizio di appello. La censura è infondata. Nel giudizio in appello, la richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non configura una domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata. Ne consegue che la domanda oltre a non implicare la violazione del divieto di domande nuove, sancito dall'art. 345 cod. proc. civ., può essere proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni cfr. Cass. civ. sez. II n. 17227 del 9 ottobre 2012 . Peraltro la censura risulta priva d'interesse, ai sensi dell'art. 336 secondo comma c.p.c., in quanto il rigetto dei precedenti motivi di ricorso necessariamente conduce alla cristallizzazione del guaritimi spettante all'attore secondo la pronuncia della Corte d'appello cfr. Cass. civ. sezione I, numero del 6 dicembre 2006 secondo cui l'art. 336 cod. proc. civ., nel testo novellato dall'art. 48 della legge 26 novembre 1990, n. 353, disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengono meno immediatamente sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. Ne consegue ulteriormente che, nel giudizio di appello, non configura una domanda nuova la richiesta di restituzione delle somme versate in forza della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado . 13. Va pertanto respinto il ricorso con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 5.200 Euro di cui 200 per spese.