Da quale momento decorre il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità?

In tema di decorrenza del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci ai sensi dell’art. 2394 c.c., l’azione di responsabilità relativa può essere proposta dai creditori sociali e per essi dal curatore del fallimento dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto, anche senza verifica diretta della contabilità della società, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio approvato dall’assemblea dei soci. Se la citata insufficienza patrimoniale può anche essere anteriore alla data di apertura della procedura concorsuale, l’onere di provare che essa si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull’amministratore o sul sindaco che eccepisca la prescrizione

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25178, depositata il 14 dicembre 2015. Il caso. La vicenda riguarda un’azione di responsabilità promossa ex art. 146 L.F. dal curatore di un fallimento nei confronti dei membri del collegio sindacale di una società poi fallita per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori. Questi avevano effettuato un’operazione di riduzione del capitale con restituzione il medesimo giorno della somma ricavata ai soci nonostante le passività sociali. L’azione proposta dal curatore nei confronti dei sindaci era inquadrabile come azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. e i convenuti eccepivano, tra l’altro, il decorso dei termini di prescrizione. Il Tribunale e la Corte d’appello respingono le eccezione dei sindaci e li condannano al risarcimento danni. I soccombenti ricorrono così in Cassazione. I punti fondamentali della sentenza sono due. La responsabilità dei sindaci. In ordine alla posizione dei sindaci, l’art. 2407 c.c. presuppone un duplice meccanismo. La responsabilità può infatti derivare sia da atti dannosi compiuti da loro stessi, sia da atti compiuti dagli amministratori sui quali il collegio sindacale non ha vigilato con professionalità e diligenza. Con riferimento al primo caso si parla di responsabilità esclusiva dei sindaci, nel secondo caso si parla invece di responsabilità concorrente con quella degli amministratori. La fattispecie della sentenza in commento è riconducibile a quest’ultima ipotesi. In simili casi si sostiene comunque che la responsabilità dei sindaci non è semplicemente indiretta”, bensì per fatto proprio” consistente cioè nella violazione del dovere di vigilare diligentemente sull’operato degli amministratori. Come accaduto nei precedenti gradi di giudizio, i sindaci eccepiscono che il fallimento attore non aveva citato in giudizio anche gli autori materiali dell’operazione contestata, cioè gli amministratori. Sul punto gli Ermellini confermano la decisione di secondo grado. Infatti è vero che l’art. 2407, comma 2 c.c. dispone la responsabilità solidale dei sindaci per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori, ma ciò non significa che la fattispecie dia luogo a un litisconsorzio necessario. La solidarietà opera tanto tra i sindaci, quanto tra sindaci e amministratori, ma non è necessario al riguardo che l’azione sia proposta contro tutti i membri del collegio sindacale potendo essere instaurata anche nei confronti di un solo sindaco, vedi Cassazione 1281/1977 e Tribunale di Milano, 3.6.1988 , né che debba essere per forza disposta l’integrazione del contraddittorio con gli amministratori. La regola della solidarietà opererebbe peraltro anche in caso di ripartizione dei compiti. Eccezione di prescrizione. Il secondo aspetto è relativo all’eccezione di prescrizione sollevata dai sindaci. Secondo l’art. 2949 l’azione dei creditori sociali nei confronti degli amministratori e altresì nei riguardi dei sindaci si prescrive in 5 anni. Secondo l’art. 2394 c.c. il termine decorre dall’esteriorizzazione del momento in cui il patrimonio sociale diventa insufficiente a garantire le pretese dei creditori stessi. La decorrenza coincide quindi con il momento in cui tale situazione di deficit diviene oggettivamente conoscibile da parte dei creditori. Secondo la sentenza della Corte d’Appello il dies a quo coincideva con l’approvazione del bilancio relativo al 1991, anno in cui era stata assunta la delibera di riduzione del capitale sociale con immediata restituzione ai soci degli importi ricavati. Tale momento era dunque fissato alla fine di maggio 1992 cioè quando è stato appunto approvato il bilancio 1991 . La Cassazione sconfessa tale ragionamento precisando che il dies a quo non deve essere necessariamente ancorato alla data ufficiale di approvazione del bilancio così Cassazione 20637/2004 . Anzi può essere individuato in un momento anteriore ove risultino elementi oggettivi conoscibili dal ceto creditorio e dai quali emerga concretamente il deficit patrimoniale della società così Cassazione 8426/2013 . Secondo gli Ermellini tale momento doveva allora essere piuttosto individuato nella delibera di riduzione assunta a dicembre 1991. Poiché però la citazione era stata notificata solo nel maggio 1997 risultavano decorsi irrimediabilmente i 5 anni di prescrizione previsti dalla normativa sopra citata. La Cassazione quindi accoglie il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 novembre – 14 dicembre 2015, n. 25178 Presidente Ceccherini – Relatore Ferro Il processo P.L., R. N. e C.L. impugnano la sentenza App. Ancona 29.3.2008 che, nell'accogliere l'appello della curatela del Fallimento società C.a.s.d.a. s.a.s. di F.G. & amp C. avverso la sentenza Trib. Ancona 26.8.2002, dichiarava la responsabilità degli stessi appellati, in solido tra loro, al pagamento nei confronti dell'appellante procedura di euro 155.453,53, nonché alle spese di lite di entrambi i gradi compensate della metà, nonché tenuta Fondiaria Assicurazioni s.p.a. a rilevare indenne i condannati e per quanto obbligati al risarcimento del danno in esecuzione della stessa pronuncia, detratto lo scoperto contrattuale del 10% e a titolo di spese di lite verso la curatela, nonché alla rifusione verso P.L. delle spese dei due gradi. Ritenne la corte d'appello, per quanto qui di interesse, che tra le contestazioni mosse ai ricorrenti, già sindaci della s.r.l. C.A.S.D.A. poi trasformata in s.a.s. ed in tale veste dichiarata fallita dal Trib. Ancona e nell'ambito dell'azione di responsabilità esercitata ex articolo 146 l.f. dalla curatela, fosse selezionabile, perché rilevante ai fini della ricostruzione del pregiudizio conseguente alla violazione dei rispettivi doveri, in particolare l'omessa vigilanza sull'operato degli amministratori relativamente alla riduzione del capitale sociale, disposta con delibera assembleare del 17.12.1991 per `esuberanza' da 400 milioni Lit a 99 milioni Lit, con restituzione il medesimo giorno della differenza ai soci, nonostante le passività sociali ed in violazione del limite all'esecuzione, possibile nei tre mesi e purché nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione. N Superando la assorbente ragione reiettiva della domanda di cui alla sentenza del Trib. Ancona che aveva dichiarato inammissibile l'azione, per violazione dell'obbligo di chiamare in causa, in siffatta vicenda, anche gli amministratori , la pronuncia qui impugnata convenne con la censura dell'appellante per cui la responsabilità dei sindaci ha carattere solidale tanto verso gli amministratori che verso i sindaci, senza perciò che sia predicabile il litisconsorzio necessario fra tutti, con chiamata cumulativa in giudizio ai sensi dell'articolo 2055 cod.civ. anche degli amministratori, il cui illecito ben può essere accertato in via incidentale. Venne altresì escluso il fondamento dell'eccezione di prescrizione dell'azione, dichiarata soggetta a tale limite a seguito del quinquennio ma decorrente esso non dalla commissione dei fatti integrativi bensì dal momento di manifestazione dell'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, la cui eventuale anteriorità rispetto alla pronuncia di fallimento va dimostrata dal convenuto. Né sarebbe sufficiente in sé la delibera di riduzione del capitale sociale a fare decorrere detto termine, occorrendo una esteriorizzazione della menzionata insufficienza e quindi una valutazione percepibile dai creditori, come possibile dal bilancio e a decorrere dal deposito di tale atto, nella specie riferito al 1991, approvato il 31.5.1992 e solo dopo depositato, mentre la citazione risulta notificata nei 5 anni, in quanto avvenuta in date 3-5.5.1997. Parimenti irrilevante, per la corte d'appello, era lo stato di dimissionario dei sindaci, vigendo anche per essi la prorogano applicabile agli amministratori, fino alla loro sostituzione, tra l'altro non essendo stato dimostrato l'avvicendamento nella carica dei supplenti. La corte d'appello dorica così escluse il danno connesso all'omesso pagamento dei contributi SCAU, con il titolo di debito da sanzioni amministrative trattandosi di inadempimento collegato ad oggettiva situazione di crisi finanziaria della società , nonché quello relativo al mancato incasso del credito verso S J.CAR s.n.c. progressivamente azzerato nelle poste contabili, ma spiegabile con l'inesigibilità sopravvenuta, non contraddetta dalla curatela , mentre accertò il pregiudizio da mancato intervento sulla delibera di riduzione del capitale sociale per esuberanza, attuata mediante rimborso ai soci per 126 milioni Lit ed estinzione di un credito della società verso di essi per 175 milioni Lit. La conseguente diminuzione del capitale sociale, pur implicando la venuta meno dell'organo sindacale, cionondimeno non avrebbe impedito - secondo la sentenza - di impugnare la delibera, posto che essa acquisiva efficacia solo decorsi tre mesi dalla sua iscrizione nel registro delle imprese senza opposizione dei creditori sociali anteriori e comunque i sindaci, benché non provatamente convocati all'assemblea del 17.12.1991, ben avrebbero potuto rilevarla in occasione delle obbligatorie riunioni trimestrali, finalizzate alla verifica della consistenza di cassa , dato che essa era sostanzialmente immotivata e contraddittoria con l'evidenziazione di perdite alla chiusura dell'esercizio 1991. Il ricorso è affidato a tre motivi, ad esso resiste con controricorso la curatela fallimentare, mentre l'assicurazione si è costituita resistendo con mero deposito di procura. I ricorrenti hanno depositato memoria. I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione di legge ai sensi dell'articolo 2407 cod.civ., avendo la corte erroneamente trascurato che la responsabilità dei sindaci presuppone l'accertamento previo di quella degli amministratori, rilevando allora il tema del litisconsorzio degli uni con gli altri. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione di legge ai sensi dell'articolo 2935 cod.civ., poichè il momento in cui si è rivelato lo stato d'insufficienza patrimoniale è stato erratamente differito all'approvazione del bilancio dell'anno nel corso del quale la riduzione di capitale era avvenuta, mentre tale circostanza di per sé, frutto di delibera del 17.12.1991, già segnava la decorrenza iniziale della prescrizione, da quell'epoca potendo il diritto azione di responsabilità essere fatto valere dai creditori sociali. Con il terso motivo la ricorrente deduce la violazione di legge ai sensi degli arti. 2401 e 2377 cod.civ., avendo la corte erroneamente trascurato che all'epoca della delibera di riduzione del capitale sociale i sindaci in realtà non erano in alcun regime di prorogatio, avendo rinunziato alla carica e per essi essendo subentrati i supplenti in via automatica, conseguendone il difetto di legittimazione passiva all'azione dei convenuti, cessati da ogni incarico comunque con la chiusura dell'esercizio 1990. 1. Rileva il Collegio che il primo motivo è infondato, alla luce del principio, che qui si ribadisce, per cui la responsabilità dei sindaci di una società di capitali , prevista dall'articolo 2407, co.2, cod. civ. radon temporis vigente, per omessa vigilanza sull'operato degli amministratori, ha carattere solidale tanto nei rapporti con gli amministratori, quanto nei rapporti fra i sindaci stessi Cass. 5444/1991 e ciò indica, in coerenza con le discrezionali plurime facoltà di azione conferite al danneggiato dal più generale articolo 2055 cod.civ., che l'iniziativa rivolta a far valere detta responsabilità non va proposta necessariamente contro tutti i componenti del collegio sindacale, ma può essere proposta contro uno solo od alcuni di essi, senza che insorga l'esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri, in considerazione dell'autonomia e scindibilità dei rapporti con ciascuno dei coobbligati in solido Cass. 1281/1977 . Si tratta di una regola di ripartizione della legittimazione passiva valevole anche nei confronti degli amministratori, ciò che assume significatività, come illecito sindacale, essendo l'accertamento, anche incidentale, della responsabilità dell'organo gestorio, in punto di condotta illecita per violazione dei doveri statutari o di legge , nesso causale con il pregiudizio, omissione di vigilanza dei sindaci e finale nesso eziologico con il danno stesso. Né peraltro il motivo centra in modo del tutto esatto la ratio decidendi della sentenza impugnata che, sul punto, ha manifestamente indicato quale fosse l'illecito degli amministratori produttivo di danno, non riuscendo la censura ora riproposta ad armonizzarsi, rispetto al principio appena ricordato, con l'invocata regressione logica alla statuizione del giudice di primo grado, molto più sbrigativamente escludente la responsabilità dei sindaci per omessa chiamata originaria nel processo di litisconsorti necessari, individuati negli amministratone trasformandosi allora la mancata prova dell'illecito di costoro nel mero frutto della loro non partecipazione al processo più che in un accertamento mancato. 2. Il secondo motivo è fondato, conseguendone l'assorbimento del terzo. La sentenza ha individuato il dies a quo per il computo della prescrizione - pacificamente quinquennale ai sensi degli artt. 2407, 2935, 2394 cod.civ. - nella esteriorizzazione dell'insufficienza patrimoniale della società, ma percepibile solo a far data dal bilancio del 1991, l'anno in cui era stata assunta la delibera di riduzione del capitale sociale e la immediata restituzione ai soci del supero, così divenendo la relativa approvazione ed il conseguente deposito gli strumenti funzionali alla conoscibilità per i terzi i creditori sociali di quel disvalore da illecito gestorio e delle funzioni di controllo. Tali adempimenti, svoltisi a cavallo e dopo il 31 maggio 1992, avrebbero così permesso di rilevare la tempestività della notifica dell'atto di citazione curatoriale, perfezionato nelle date del 3-5 maggio del 1997 dopo che il fallimento era stato dichiarato nel 1994 . L'assunto tuttavia contravviene al principio per cui, in tema di decorrenza del termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione di responsabilità verso amministratori e sindaci ai sensi dell'articolo 2394 cod. civ., l'azione di responsabilità relativa può essere proposta dai creditori sociali e per essa dal curatore del fallimento dal momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto, anche senza verifica diretta della contabilità della società, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio approvato dall'assemblea dei soci Cass. 20637/2004 . E se la citata insufficienza patrimoniale può anche essere anteriore alla data dell'apertura della procedura concorsuale, l'onere di provare che essa si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull'amministratore o sul sindaco che eccepisca la prescrizione Cass. 941/2005 . Occorre così - come deciso in una vicenda di liquidazione coatta amministrativa - che la soggezione allo stesso termine di prescrizione quinquennale entro cui avrebbero potuto esperirla i creditori, individui una decorrenza anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza ove preesistano elementi oggettivi - la cui allegazione e prova incombe sulla parte che eccepisca la prescrizione - che siano conoscibili dal ceto creditorio e dai quali emerga il deficit patrimoniale Cass. 8426/2013 . Le descritte prescrizioni, pertanto, escludendo la stretta indispensabilità della rappresentazione in bilancio delle conseguenze dell'avvenuta riduzione del capitale sociale in corso d'anno, permettono di inquadrare piuttosto e già la delibera straordinaria di riduzione del capitale sociale esuberante, assunta il 17.12.1991 e per come immediatamente seguita dalla restituzione ai soci del supero, come il complessivo evento idoneo a rendere noto ai terzi, perché percepibile in ragione delle modalità di sua esteriorizzazione contabile e a livello di registro delle imprese, lo stato di insufficienza patrimoniale al soddisfacimento dei crediti sociali essendo pacifico che proprio quell'atto segnò una rottura dell'equilibrio patrimoniale della società . Ritiene invero il Collegio che così come ai fini dell'impugnativa condizionante l'esecuzione della delibera di riduzione ai sensi dell'articolo 2445 cod.civ. i creditori sociali anteriori hanno facoltà di opporsi entro novanta giorni dall'iscrizione, perseguendo una tutela reale e specifica volta ad immunizzare l'efficacia giuridica della delibera stessa, eguale dies a quo non possa non operare nell'inquadramento della più generale azione risarcitoria di cui all'articolo 2394 cod.civ. volta ad affermare la responsabilità depauperativa dei soggetti autori di quella scelta amministrativa ovvero, come nella specie, di coloro che, contravvenendo ad uno statuto di controllo, non hanno agito ex articolo 2407 co.2. cod.civ. per evitare che quella decisione fosse assunta o eseguita o portata a conseguenze di pregiudizio permanente, operando anche nel secondo caso le identiche modalità oggettive dell'atto quali condizioni di esterna percepibilità. Sembrando allora paradossale che occorra attendere in assoluto l'approvazione del bilancio che potrebbe anche in tesi mancare e dunque solo con essa una valutazione societaria che dia rilievo alla vicenda della riduzione del capitale sociale rispetto alla concomitante debolezza della situazione economica e finanziaria, da cui desumere la non giustificabilità della delibera, nel frattempo già presa e resa conoscibile ai terzi - e tanto più nella fattispecie, ove ne venne data attuazione anche prima dei 90 giorni di cui all'articolo 2445 cod.civ. -, ne deriva che è per vero idoneo già quell'atto deliberativo, ed il conseguente omesso controllo dei sindaci ex articolo 2407 co.2. cod.civ., a far apprezzare in modo riprovevole, esercitando il diritto di azione ai sensi dell'articolo 2395 cod.civ., una condotta non reattiva rispetto all'operazione degli amministratori. Nella vicenda, il confronto di date, pertanto ed in accoglimento del motivo, impone di rilevare l'erroneità della regola applicata e, giudicando il merito della domanda sul punto, la sua infondatezza, per intervenuta prescrizione dell'azione esercitata dal curatore nel 1997, dopo che la citata delibera era stata assunta ed attuata nel 1991 . Ne consegue la dichiarazione di fondatezza del ricorso, quanto al secondo motivo, la reiezione del primo, l'assorbimento del terzo e, unitamente alla cassazione della sentenza impugnata, non essendo necessari altri accertamenti, la decisione nel merito della domanda del curatore, che va dichiarata prescritta e dunque rigettata. La condanna alle spese a favore della parte ricorrente costituita, secondo le regole della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo, è così pronunciata quanto alla presente fase e alle fasi di merito. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso quanto al secondo motivo, rigetta il primo, dichiara assorbito il terzo cassa e, decidendo nel merito, dichiara non fondata la domanda di responsabilità per come proposta condanna il Fallimento controricorrente al pagamento nei confronti dei ricorrenti, quanto al giudizio di primo grado, di euro 8.000 complessivi di cui 300 per esborsi, 1.200 per diritti e 6.500 per onorari , quanto al giudizio di secondo grado di curo 6.000 complessivi di cui 500 per esborsi, 1.000 per diritti e 4.500 per onorari condanna il medesimo controricorrente al pagamento delle spese del procedimento della fase di legittimità, in favore dei ricorrenti, liquidate in euro 9.200 quanto ai compensi, di cui euro 200 per esborsi, oltre agli accessori di legge per tutte e tre le liquidazioni.