Istanza ultratardiva di ammissione al passivo fallimentare: non ogni ritardo può essere giustificato

Con la pronuncia in commento, il Supremo Collegio è stato chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità di un’istanza ultratardiva di ammissione al passivo fallimentare, fornendo alcune utili precisazioni sul tema.

Se ne è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23975/15, depositata il 24 novembre. Il caso. Il Tribunale respingeva l’opposizione proposta da un istituto bancario avverso la declaratoria di inammissibilità della propria domanda ultratardiva ai sensi dell’art. 101, ultimo comma, l. fall. di ammissione al passivo del fallimento di una s.r.l Avverso tale decisione, la banca propone ricorso per cassazione, lamentando che il termine di dodici o diciotto mesi previsto dal primo comma dell’art. 101 l. fall. Domande tardive di crediti per la presentazione delle istanze di insinuazione tardive decorra dall’avvenuta tempestiva comunicazione di cui all’art. 92 Avviso ai creditori ed agli altri interessati Non ogni ritardo può essere giustificato dall’ignoranza dell’apertura del fallimento. Errato, secondo gli Ermellini, affermare che il termine di dodici o diciotto mesi previsto dall’ultimo comma dell’art. 101 l. fall. – che richiama il primo comma della medesima disposizione - decorra dalla data di ricevimento dell’avviso di cui all’art. 92 l. fall., dal momento che il comma in questione fissa esplicitamente tale decorrenza dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Che, poi, possa ritenersi dipendente da causa non imputabile al creditore, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 cit., il ritardo dovuto all’ignoranza dell’apertura del fallimento per l’omissione del relativo avviso da parte del curatore, è insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità ma tanto non può giustificare qualsiasi ritardo dell’insinuazione, anche laddove l’avviso non sia stato omesso ma solamente ritardato. L’ultimo comma dell’art. 101 l. fall., infatti, chiariscono da Piazza Cavour, consente solamente la presentazione dell’istanza ultratardiva da parte del creditore qualora quest’ultimo prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile , senza prevedere la decorrenza di un nuovo termine annuale dal cessare della causa di giustificazione del ritardo del creditore. La giustificazione deve coinvolgere tutto il ritardo. Non solo i Giudici del Palazzaccio hanno inoltre chiarito che, se è onere del creditore istante giustificare il ritardo, non può bastare una giustificazione che non involga tutto il ritardo nel caso in cui quest’ultimo sia giustificato dall’ignoranza dell’apertura del fallimento dovuta alla mancanza dell’avviso di cui all’art. 92 l. fall., come nel caso di specie, una volta che tale ignoranza sia venuta meno, grazie al ricevimento dell’avviso tardivo, l’ulteriore ritardo dovrà giustificazione in altre ragioni, tra le quali può certamente rientrare l’esigenza di disporre del tempo necessario per valutare se proporre l’istanza. Non è nemmeno possibile, tuttavia, per la Corte di legittimità, indicare astrattamente quale sia il tempo necessario per la valutazione la presentazione, trattandosi di un apprezzamento che effettuabile solo in concreto, in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza la cui applicazione è rimessa la giudice. L’ inevitabile elasticità di tale criterio non costituisce seria controindicazione , precisano dal Supremo Collegio, dal momento che l’applicazione di norme elastiche o standard valutativi rientra nell’ordinario svolgimento della funzione giurisdizionale. Nessuna violazione del principio di uguaglianza. La tesi esposta, secondo Piazza Cavour, non comporta nessuna violazione del principio costituzionale di uguaglianza il termine, infatti, decorre per tutti i creditori dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, e le vicende dell’avviso della pendenza della procedura fallimentare rilevano soltanto ai fini e nei limiti della giustificazione del superamento di tale termine. Il ricorso, pertanto, secondo la Corte deve essere respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 ottobre – 24 novembre 2015, n. 23975 Presidente Ceccherini – Relatore De Chiara Svolgimento del processo Il Tribunale di Treviso ha respinto l'opposizione proposta dal Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a. avverso la declaratoria d'inammissibilità della propria domanda ultratardiva ai sensi dell'art. 101, ult. comma, ult. parte, legge fallim. di ammissione al passivo del fallimento Eurocostruzioni s.r.l Ha ritenuto, infatti, che, pur avendo la banca ricevuto l'avviso dell'apertura della procedura fallimentare, ai sensi dell'art. 92 legge fallim., soltanto il 3 gennaio 2012, allorché era già scaduto il termine annuale di cui all'art. 101, primo comma, della stessa legge, aveva tuttavia poi atteso più di 9 mesi e mezzo per la presentazione dell'istanza di ammissione al passivo, effettuata soltanto il 22 ottobre 2012, e non aveva dato alcuna giustificazione di questo ulteriore ritardo, tenuto conto che il legislatore ha valutato che novanta giorni siano un tempo ragionevole per presentare la domanda tempestiva arg. ex art. 16, nn. 4 e 5, legge fallim. . La banca ha proposto ricorso per cassazione articolando un solo motivo di censura illustrato anche con memoria. 11 curatore fallimentare intimato non ha svolto difese. Motivi della decisione 1. - Con l'unico motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 92, 101 e 112 legge fallim. La ricorrente sostiene che il termine limite di dodici o diciotto mesi previsto dal primo comma dell'art. 101, cit., per la presentazione delle istanze d'insinuazione tardive, ha come presupposto l'avvenuta tempestiva comunicazione di cui all'art. 92, decorrendo necessariamente dal ricevimento di una siffatta comunicazione”. La limitazione, affermata dal Tribunale, a soli novanta giorni del termine per presentare la domanda una volta ricevuto l'avviso violerebbe, altresì, l'art. 112 legge fallim., che prevede, per la presentazione delle istanze ultratardive giustificate, il solo limite del completamento del riparto dell'attivo, e in ogni caso sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., attesa la disparità di trattamento in tale modo introdotta tra creditori non tempestivi”. 2. - Il motivo non merita accoglimento. Anzitutto è errato affermare che il termine di dodici o sino a diciotto mesi di cui al primo comma - richiamato dall'ultimo - dell'art. 101 legge fallim. decorra dalla data di ricevimento dell'avviso di cui all'art. 92, perché invece il comma in questione esplicitamente fissa tale decorrenza dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Che, poi, possa ritenersi dipendente da causa non imputabile al creditore, ai sensi dell'ultimo comma, ultima parte, dell'art. 101, il ritardo dovuto all'ignoranza dell'apertura del fallimento per l'omissione del relativo avviso da parte del curatore, è affermazione condivisibile e condivisa da vari precedenti di questa Corte cfr. Cass. 4310/2012, richiamata dalla ricorrente, e Cass. 9322/2013, riferite all'assetto attuale della disciplina del fallimento, successivo alla riforma del 2006, nonché Cass. 4735/1979 e Cass. 11969/1999, pronunciate nel vigore del precedente testo della legge fallimentare, in base al quale l'incolpevolezza del ritardo dell'insinuazione rilevava ai soli fini delle spese, ai sensi degli artt. 101, comma quarto, e 112 . Ma da tale affermazione non può ricavarsi, a mo' di corollario, la giustificazione di qualsiasi ritardo dell'insinuazione anche allorché l'avviso non già sia stato omesso, ma sia solo tardato a sua volta, o quantomeno la giustificazione del ritardo non superiore a un anno dal ricevimento dell'avviso, come sostiene la ricorrente. Tale giustificazione non è una conseguenza logica necessaria della giustificazione del ritardo da totale omissione dell'avviso, ma dovrebbe trovare fondamento in ulteriori considerazioni, che non è dato però rinvenire. L'ultimo comma, ultima parte, dell'art. 101 legge fallim. si limita a consentire la presentazione dell'istanza ultratardiva da parte del creditore allorché quest'ultimo prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile”, e non prevede la decorrenza di alcun nuovo termine annuale allorché sia cessata la causa di giustificazione del ritardo del creditore, come presuppone la ricorrente. Inoltre, se è onere del creditore istante giustificare il ritardo, non potrebbe bastare una giustificazione che non comprenda tutto il ritardo se quest'ultimo è giustificato dall'ignoranza dell'apertura del fallimento dovuta alla mancanza dell'avviso di cui all'art. 92 legge fallim., come nell'ipotesi in esame, una volta che tale ignoranza sia venuta meno, grazie al ricevimento dell'avviso tardivo, l'ulteriore ritardo dovrà logicamente trovare giustificazione in altre ragioni. Tra le quali rientra certamente quella derivante dall'esigenza di disporre del tempo necessario per valutare l'opportunità di proporre l'istanza di ammissione al passivo e poi di presentarla ma pretendere che il creditore disponga comunque di un altro anno, o diverso periodo di tempo, per provvedervi, a prescindere da un effettivo impedimento a una più sollecita presentazione della domanda, significherebbe tradire la lettera e il senso della norma che richiede la giustificazione del ritardo. Né è possibile indicare in astratto quale sia il tempo necessario per la valutazione e la presentazione, di cui si è appena detto, da parte del creditore. È questo, infatti, un apprezzamento che non può effettuarsi se non in concreto, in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza la cui applicazione è rimessa al giudice in tal senso va dunque rettificata la motivazione in diritto del decreto impugnato, che indica in astratto il termine di novanta giorni . L'inevitabile elasticità di tale criterio non costituisce seria controindicazione, rientrando l'applicazione di norme elastiche o standard valutativi nell'ordinario svolgimento della funzione giu-risdizionale. Del resto, con riguardo al tema in esame, è lo stesso legislatore a dimostrare, prevedendo appunto la derogabilità del termine in presenza di cause di non imputabilità genericamente indicate, di posporre le esigenze di certezza a quelle di aderenza alla partico-larità del caso concreto. Tantomeno la tesi qui sostenuta viola il principio costituzionale di uguaglianza, come denunciato dalla ricorrente sul presupposto, probabilmente nel ricorso invero la censura non è meglio specificata , che ad alcuni creditori - quelli tempestivamente avvisati dal curatore - sarebbe concesso un tempo più lungo per presentare la domanda tardiva, rispetto a coloro cui l'avviso sia fatto con ritardo. Così ragionando, infatti, si trascura di considerare che secondo la legge il termine decorre per tutti i creditori dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e che le vicende dell'avviso della pendenza della procedura fallimentare rilevano soltanto ai fini e nei limiti della giustificazione del superamento di tale termine tenuto conto, peraltro, che la notorietà della dichiarazione del fallimento non è affidata al solo avviso in questione, ma anche a una specifica pubblicità, quale l'annotazione nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 17, commi secondo e terzo, legge fallim 3. - Il ricorso va in conclusione respinto. In difetto di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.