Gli amministratori di Banca rispondono degli illeciti in modo del tutto automatico?

Gli amministratori di una Banca, anche se sprovvisti di deleghe, rispondono degli illeciti commessi dall’organo delegato per colpa, anche in forza della particolare professionalità che devono avere per ricoprire un ruolo così delicato.

La nuova formulazione dell’art. 2392 c.c. configura il dovere di sorveglianza degli amministratori sprovvisti di deleghe, configurando la loro responsabilità sociale, in caso di illeciti commessi dall’organo delegato, come colpa, anche alla luce delle particolari qualità loro richieste dal d.lgs. n. 385/1993. Questo è il principio stabilito dalla Prima Sezione Civile della Suprema Corte nella sentenza n. 22848/2015, emessa nella Camera di Consiglio del 1° ottobre 2015, e depositata il successivo 9 novembre, relativa a sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia. Il caso. La questione riguarda alcune sanzioni emesse, da Banca d’Italia, con provvedimento del 14 maggio 2008 a carico di tre amministratori, non esecutivi, di Banca Italease S.p.a., ed esattamente della sanzione di € 53.000,00 ciascuno, per omessi controlli e inesatte segnalazioni all’organo di vigilanza, e per altre mancanze meglio descritte nei provvedimenti sanzionatori. I tre ingiunti proposero quindi opposizione dinanzi alla Corte d’appello di Roma, che respinse il ricorso con decreto del 13 febbraio 2009. Secondo la Corte, le infrazioni rilevate non potevano, visto il loro numero, la loro rilevante gravità e il coinvolgimento di interi reparti operativi, sfuggire alla percezioni di amministratori, che per l’importanza del loro ruolo devono essere attenti ed oculati, ancorché sprovvisti di compiti esecutivi. Di conseguenza, vista anche la gravità delle infrazioni e la assoluta mancanza di contestazioni sul punto, la Corte ritenne di dover rigettare l’opposizione, confermando le sanzioni. Contro tale provvedimento, ha presentato ricorso uno degli amministratori, sulla base di due motivi la Banca d’Italia ha resistito con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso dell’amministratore. I due motivi si basano sulla violazione della legge 689/81, in particolare degli articoli 3 e 12, nonché l’indebita applicazione dell’art. 2932 c.c., nella sua nuova formulazione. Secondo il ricorrente, a lui non sarebbe addebitabile alcuna colpa per non essere mai stato indagato in sede penale, e per essere stato del tutto privo di deleghe. Inoltre, vi sarebbe stata una violazione della legge n. 689/81 poiché il provvedimento della Banca d’Italia avrebbe semplicemente elencato una serie di fatti, senza fornire alcuna prova che il ricorrente ne fosse a conoscenza, dando per scontato che egli ne fosse responsabile per mancata vigilanza e per sua colpa. Al contrario, secondo l’amministratore, nessuna imputazione di responsabilità oggettiva può essergli imputata. Agli amministratori privi di deleghe è richiesto non soltanto di essere passivi destinatari delle informazioni fornite dall’organo delegato, ma anche di assumere le opportune iniziative, come la richiesta di informazioni o di segnalare comportamenti non corretti. La Cassazione ha esaminato la questione, respingendo ambedue i motivi di ricorso. Secondo la Suprema Corte, che li ha esaminati congiuntamente, il nuovo art. 2932 c.c. prevede, per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori, l’elemento costitutivo della colpa, che consiste o nell’inadeguata conoscenza del fatto altrui, o nel non essersi il soggetto utilmente attivato, con diligenza, al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nell’essere esenti da colpa. L’amministratore non esecutivo risponde in modo del tutto automatico. Di conseguenza, secondo la Corte Suprema, la colpa dell’amministratore non esecutivo, pur sprovvisto di deleghe., può consistere sia nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’illecita gestione altrui, sia nel non essersi utilmente attivato per evitare l’evento di conseguenza, egli risponde, in modo del tutto automatico, per ogni fatto dannoso che non dimostri di aver cercato di impedire, per esempio richiedendo informazioni, oppure chiedendo la convocazione del Consiglio di amministrazione, oppure inviando a questo delle comunicazioni in cui contesta il fatto sospetto”, o infine con opportune segnalazioni alle autorità. In pratica, secondo la Cassazione, il costante obbligo di controllo in capo agli amministratori non esecutivi, può essere definito come un obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di attivazione, teso a scongiurare le condotte dei delegati da cui possa derivare danno alla società e ai soci, cioè quello che è definito come il dovere di agire informato”. A maggior ragione, secondo la Suprema Corte, nel caso in specie, in cui deve essere tenuta in considerazione anche la normativa di cui al d.lgs. n. 385/1993, che esige che gli amministratori di banche e istituti assimilati abbiano determinati e superiori requisiti di professionalità art. 26 . La norma citata sancisce doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione di azienda bancaria, anche nei confronti degli amministratori sprovvisti di deleghe. Tenendo presente ciò e la normativa della legge 689/81, conclude la Corte Suprema, l'ordinamento ripone dunque un particolare affidamento nella specifica competenza degli amministratori, sia pure non esecutivi, in ragione dei loro requisiti di professionalità e perciò, di una dovuta sensibilità percettiva, nonché nella connessa reazione, che concreta il dovere di ostacolare l'accadimento dannoso in presenza di segnali d'allarme percepibili da un amministratore diligente secondo la specifica competenza, egli risponde del mancato utile attivarsi per cercare di evitare l’evento dannoso. In forza di questa considerazione, della mancata prova di quanto previsto a suo carico onde dimostrare di aver fatto quanto necessario per evitare l’evento, e della gravità delle infrazioni riscontrate, la Suprema Corte ha quindi ritenuto corretto il provvedimento della Corte d’appello, e sussistente la responsabilità in capo al ricorrente, e ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 1 ottobre – 9 novembre 2015, n. 22848 Presidente Didone – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo La Banca d'Italia con provvedimento del 14 maggio 2008, n. 301 ha irrogato a carico di tre amministratori non esecutivi della Banca Italease s.p.a. la sanzione amministrativa di Euro 53.000,00 ciascuno, in relazione agli art. 51, 53, 1 comma, lett. b ed , 67, 1 comma, lett. a e b , d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, dell'art. 9 d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, dell'art. 5 d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, delle Istruzioni di vigilanza per le banche ed altri provvedimenti attuativi, per infrazioni consistenti in carenze nell'organizzazione e nei controlli interni, anomalie nell'operatività in derivati con clientela, disfunzioni nella gestione del credito, mancato rispetto delle disposizioni in materia di forme tecniche con riferimento al bilancio 2006, inesatte segnalazioni all'organo di vigilanza, mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo complessivo consolidato, violazione della normativa in materia di contenimento del rischio ed omessa segnalazione di grandi rischi, carenze nell'esercizio delle funzioni di capogruppo . Gli ingiunti hanno proposto opposizione innanzi alla Corte d'appello di Roma, che ha respinto il ricorso con decreto del 13 febbraio 2009. Premesso che sul consigliere non esecutivo grava il compito di esercitare sui delegati i necessari ed opportuni controlli, come risulta dal nuovo testo dell'art. 2392 c.c., da porre in relazione con l'art. 2381 c.c., essa ha affermato che nella specie le infrazioni rilevate non potevano, atteso il loro numero e la rilevante gravità e coinvolgendo interi comparti operativi, sfuggire alla percezione di amministratori attenti ed oculati, ancorché sprovvisti di compiti esecutivi. Quanto alla intrinseca materialità delle irregolarità emerse nell'ispezione, essa non è stata contestata né vi è spazio per alcuna responsabilità oggettiva, potendo invece agli amministratori non esecutivi muoversi il rimprovero di non aver rilevato le irregolarità e di non aver tempestivamente provveduto a prendere le necessarie iniziative. Avverso questo provvedimento propone ricorso L.P., sulla base di due motivi. La Banca d'Italia ha replicato con controricorso. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione della legge 689/1981 di cui, nel quesito, richiama gli art. 3 e 12 , nonché l'indebita applicazione del testo abrogato dell'art. 2392 c.c., in quanto la Procura della Repubblica di Milano ha riscontrato un'associazione a delinquere finalizzata a sottrarre denaro alla banca orchestrata dall'amministratore delegato Massimo Faenza, mentre il ricorrente non è mai stato indagato in sede penale ed in capo al medesimo non è ravvisabile alcuna colpa, né potendosene affermare una responsabilità gestoria di tipo oggettivo, come invece ritenuto dalla corte territoriale, avendo la riforma del diritto societario del 2003 eliminato il generico dovere di vigilanza sulla gestione. Conclude ponendo alla Corte il quesito di diritto se un amministratore privo di deleghe possa essere sanzionato senza previo accertamento della sua responsabilità e senza che sia stato al medesimo possibile accorgersi di quanto avvenisse all'interno dell'istituto, né fare alcunché al riguardo. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge in relazione alla legge n. 689 del 1981, il travisamento delle prove e l'inversione dell'onere probatorio, in quanto il provvedimento della Banca d'Italia si è limitato ad elencare una serie di fatti ed a dedurne che egli non potesse non esserne al corrente, tesi confermata dalla corte del merito, in violazione dell'onere dell'autorità sanzionante di fornire la prova dell'assunto e con inversione dell'onere probatorio, laddove la corte territoriale ha rilevato la solo generica contestazione dei fatti, e con travisamento delle risultanze, laddove essa ha sostenuto che la Banca d'Italia avrebbe raggiunto la rigorosa prova della responsabilità di tutti gli amministratori nel verificarsi degli eventi illeciti. 2. - I due motivi sono da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, e sono infondati, per le ragioni di seguito esposte. 2.1. - Come afferma il ricorrente, nessuna imputazione di responsabilità oggettiva prevede la riforma societaria in capo agli amministratori di società siano essi esecutivi o no . Nel sistema generale delineato dalla riforma del 2003, elemento costitutivo della fattispecie integrante la responsabilità sociale degli amministratori non esecutivi - accanto alla condotta d'inerzia, al fatto pregiudizievole antidoveroso altrui e al nesso causale tra i medesimi - è infatti quello della colpa, i cui caratteri risultano dal sistema medesimo la fattispecie sostanziale omissiva precisata dal nuovo art. 2392 c.c. ha inteso così effettivamente superare ogni possibile riconduzione della responsabilità degli amministratori non esecutivi alla mera carica ricoperta, avendola ancor più esplicitamente condizionata all'elemento della colpa. La norma stabilisce che la colpa può consistere o nell'inadeguata conoscenza del fatto altrui, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l'evento, aspetti entrambi ricompresi nell'essere immuni da colpa cfr. art. 2392, 3 comma, c.c. . Pertanto, la colpa dell'amministratore non esecutivo può consistere, sotto il primo aspetto ignoranza del fatto altrui , nel non aver rilevato colposamente i segnali dell'altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica, in quanto solo la responsabilità omissiva dolosa presuppone la conoscenza effettiva del fatto illecito o reato in itinere quale elemento essenziale della fattispecie, laddove l'imputazione per colpa richiede la mera conoscibilità dell'evento mediante la conoscibilità dei predetti sintomi o segnali di allarme sotto il secondo aspetto, la colpa consiste nel non essersi utilmente attivato al fine di evitare l'evento, e, dunque, l'amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale ed in ragione della mera posizione di garanzia ricoperta, ma solo in presenza di un difetto di diligenza. Nell'illecito colposo non si richiede quindi la conoscenza dei predetti segnali dell'altrui gestione inadempiente, ma la loro concreta conoscibilità e ciò attinge agli schemi propri della colpa. La conoscibilità non si valuta, però, in via esclusiva alla stregua dei flussi informativi tracciati dall'art. 2381 c.c. e per tramiti formali o predeterminati ma l'individuabilità dell'evento, negli illeciti colposi, può scaturire anche e, persino, in contrasto con le informazioni rese dall'amministratore o dagli amministratori esecutivi da segnali inequivocabili, dunque percepibili con l'ordinaria diligenza da parte dell'amministratore non operativo onde sussiste poi l'obbligo giuridico di intervenire per impedire il verificarsi dell'evento, costituendo, in caso contrario, l'omissione una concausa del danno. Agli amministratori privi di deleghe è richiesto cioè non soltanto di essere passivi destinatari delle informazioni rese sua sponte dall'organo delegato, ma anche di assumere l'iniziativa di richiedere informazioni, in particolare allorché sussistano quei segnali di pericolo o sintomi di patologia , quali indici rivelatori o campanelli di allarme del fatto illecito posto in essere - o che sta per essere posto in essere - dagli organi delegati. In osservanza del potere-dovere di richiedere informazioni, ad essi si impone l'attivazione di non predeterminate fonti conoscitive, le quali non possono ragionevolmente ridursi all'informazione resa in seno al consiglio di amministrazione nel contempo, l'amministratore non esecutivo è tenuto ad intraprendere tutte le iniziative, rientranti nelle sue attribuzioni, volte ad impedire gli eventi medesimi, in ciò concretandosi l'obbligo di agire informati. In conclusione, il sistema della responsabilità degli amministratori privi di deleghe posto dagli art. 2381, dal 3 al 6 comma, e 2392 c.c., come innovati dalla riforma del diritto societario, conforma l'obbligo di vigilanza dei medesimi non più come avente ad oggetto il generale andamento della gestione - quale controllo continuo ed integrale sull'attività dei delegati - ma richiedendo loro, secondo la diligenza esigibile sin dal momento dell'accettazione della carica, di informarsi ed essere informati, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali, e di trame le necessarie conseguenze. Il perdurante dovere di controllo in capo ai medesimi può precisarsi come obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di conseguente attivazione, al fine di scongiurare le condotte dei delegati da cui possa derivare danno alla società quel che è definito il dovere di agire informato . 2.2. - Ne deriva, sotto il profilo dell'onere di allegazione e di prova, che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell'inerzia dei consiglieri non delegati, l'esistenza di segnali d'allarme anche impliciti nelle anomale condotte gestorie che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all'avocazione dei poteri, l'invio di richieste per iscritto all'organo delegato di desistere dall'attività dannosa, l'impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all'autorità di vigilanza, e così via assolto tale onere, è onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno. A ciò si aggiunga come, in materia di sanzioni amministrative, la colpa si presume in tal modo operando un regime analogo alla responsabilità contrattuale dell'amministratore verso la società . Nell'ambito della legge di depenalizzazione n. 689 del 1981, l'art. 3 pone la responsabilità per fatto proprio colpevole ed è stato dalle Sezioni unite chiarito Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20930, fra le altre che è ammesso il ricorso a presunzioni idonee in ordine alla prova, da parte dell'Amministrazione, dell'elemento oggettivo della condotta. Consolidato è in materia, in seno alla giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. presunzione di colpa una volta integrata e provata la fattispecie tipica dell'illecito, il trasgressore viene gravato dell'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza. Ciò è affermato dalle Sezioni Unite sia con riguardo agli illeciti amministrativi di vario tipo Cass., sez. un., 6 ottobre 1995 n. 10508, seguita, fra le altre, da Cass. 21 gennaio 2009, n. 1554 11 giugno 2007, n. 13610 25 ottobre 2006, n. 22890 13 luglio 2006, n. 15930 7 luglio 2006, n. 15598 23 agosto 2003, n. 12391 8 marzo 2000, n. 2642 , sia nello specifico ambito delle sanzioni amministrative in materia bancaria e finanziaria Cass. 9 dicembre 2013, n. 27432 28 febbraio 2008, n. 5239 12 dicembre 2003, n. 19041 25 maggio 2001, n. 7143 . Si pone attenzione alla particolare qualità e, quindi, ai doveri di conoscenza e vigilanza del soggetto che adduca l'assenza di colpa, in quanto sul medesimo gravi un dovere di diligenza più intenso ciò, ora per il particolare oggetto sociale, ora per la funzione svolta cfr. Cass. 22 novembre 2006, n. 24803 6 novembre 2006, n. 23621 9 aprile 2003, n. 5615 21 gennaio 2000, n. 664 7 settembre 2006, n. 19242 Cass., sez. I, 9 maggio 2003, n. 7065 . In particolare, hanno chiarito le predette decisioni cfr. la citata Cass. n. 20930 del 2009, e le altre gemelle , quanto all'omissione di vigilanza - tipica degli illeciti oggi contestati - l'inosservanza dei doveri di informazione e sorveglianza varrà a fondare la legittimità di una sanzione colposa laddove seguano illeciti del delegato, salva la prova di fatti impedienti ovvero salva la prova che anche l'osservanza dei doveri di controllo, in ogni suo aspetto, non sarebbe servita a conoscere ed evitare le condotte trasgressive altrui, come nell'ipotesi di doloso camuffamento dello scorretto operare da parte dei delegati, ossia di una ben organizzata mise en scene di liceità non individuabile attraverso i normali flussi informativi . 2.3. - Per quanto specificamente attiene ai consiglieri non esecutivi di società bancaria, l'art. 53, lett. b e d , del t.u.b. prevede che la Banca d'Italia emani disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, per quanto in questa sede rileva, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e l'organizzazione societaria e dei controlli interni. Le disposizioni attuative sono state quindi dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare 21 aprile 1999 n. 229, e le successive modificazioni ed integrazioni, le quali sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione di azienda bancaria, che si incentrano, per l'intero organo collegiale, proprio in quel compito di monitoraggio e valutazione della struttura operativa. In particolare, il dovere di agire in modo informato gravante sui consiglieri non esecutivi è stato chiarito da questa Corte essere particolarmente stringente in materia di organizzazione e governo societario delle banche, anche in ragione degli interessi protetti dall'art. 47 Cost., la cui rilevanza pubblicistica plasma l'interpretazione delle norme dettate dal codice civile ciò, in quanto la diligenza richiesta agli amministratori risente della natura dell'incarico ad essi affidato ed è commisurata alle loro specifiche competenze art. 2392 c.c. Cass. 5 febbraio 2013, n. 2737 . La medesima decisione ha ricordato come, sotto questo profilo, il d.lgs. n. 385 del 1993, esiga il possesso, in capo ai soggetti investiti di funzioni di amministrazione presso banche, di determinati requisiti di professionalità art. 26 , mentre le predette Istruzioni di vigilanza attribuiscono al consiglio di amministrazione una quantità di compiti specifici afferenti ai rischi ed al sistema informativo interno, con l'obbligo espresso di adottare con tempestività idonee misure correttive nel caso emergano carenze o anomalie titolo IV, capitolo 11, sezione II . Tanto più, pertanto, nell'ambito delle società bancarie, è stato enfatizzato il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi che non è rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati attraverso i rapporti dei quali la legge onera questi ultimi, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante ed adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni assunte dall'intero consiglio al quale è affidata l'approvazione degli orientamenti strategici e delle politiche di gestione del rischio dell'intermediario , hanno l'obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter utilmente ed efficacemente esercitare una funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi attraverso un costante flusso informativo e ciò non solo in vista della valutazione dei rapporti degli amministratori delegati, ma anche ai fini della diretta ingerenza nella delega attraverso l'esercizio dei poteri, di spettanza del consiglio di amministrazione, di direttiva e di avocazione così, testualmente, Cass. 5 febbraio 2013, n. 2737 nonché 7 agosto 2014, n. 17799 . Mediante le richiamate disposizioni del testo unico di cui al d.lgs. n. 385 del 1993 e della normativa secondaria, l'ordinamento ripone dunque un particolare affidamento nella specifica competenza degli amministratori, sia pure non esecutivi, in ragione dei loro requisiti di professionalità e, perciò, di una dovuta sensibilità percettiva, nonché nella connessa reazione, che concreta il dovere di ostacolare l'accadimento dannoso in presenza di segnali d'allarme percepibili da un amministratore diligente secondo la specifica competenza, egli risponde del mancato utile attivarsi. 2.4. - A questi principi si è attenuto il decreto della corte territoriale, il quale - premesso l'ossequio ad essi - ha poi accertato, in punto di fatto e con valutazione di merito non più sindacabile in questa sede, che le irregolarità riscontrate dal provvedimento sanzionatorio in capo all'organo delegato e ad altri esponenti aziendali operativi furono talmente ingenti, numerose, capillari e gravi da dover essere rilevate, secondo l'ordinaria e dovuta diligenza della carica, da amministratori attenti ed oculati , sia pure non esecutivi. Parimenti, ha constatato la mancanza di qualsiasi iniziativa di contrasto. In particolare, afferma la corte del merito che gli opponenti non hanno specificamente contestato nella loro intrinseca materialità le carenze ed irregolarità emerse in sede di ispezione documentale, limitandosi a mere critiche generiche, senza allegare alcun elemento concreto idoneo a smentire quanto in sede ispettiva accertato. E la corte del merito ha riscontrato la solo generica allegazione di un sistematico inquinamento delle informazioni ricevute da parte degli organi esecutivi. La censura relativa al travisamento delle risultanze di fatto , oltre a costituire eventualmente l'oggetto di un errore revocatorio, involge, in realtà, la richiesta di un non consentito riesame nel merito. Laddove, infine, il ricorrente offre un'interpretazione non corretta del decreto impugnato il quale non afferma affatto, ed anzi esclude, che l'amministratore non esecutivo risponda per mera responsabilità oggettiva , i motivi sono inammissibili perché non colgono la ratio decidendi della decisione. Il ricorso, in conclusione, deve essere respinto. 3. - Va disposta la consequenziale condanna del soccombente al pagamento delle spese di questa fase processuale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della Banca d'Italia, liquidandole nella complessiva misura di Euro 4.500,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.