L’ammontare dei debiti scaduti e non pagati va riferito alle risultanze dell’istruttoria prefallimentare

Il decisum in commento offre lo spunto per esaminare il procedimento per la dichiarazione di fallimento, ex art. 15 l. fall

Nello specifico si tratta di stabilire quale sia il momento temporale cui fare riferimento ai fini dell’accertamento dei debiti scaduti e non pagati indispensabile per pervenire, appunto, alla dichiarazione di fallimento, ex art. 15, ultimo comma, l. fall E, i giudici della Prima sezione civile di piazza Cavour, con la sentenza n. 20296 deposita il 9 ottobre 2015, richiamando un precedente della scorsa primavera v., Cass., 10952/2015 , precisano che la scadenza dei debiti che rileva è quella maturata al momento della decisione, non al momento della presentazione dell’istanza del fallimento. Il fatto. Il caso di specie origina dall'impugnazione per cassazione presentata da Gamma s.r.l. avverso la decisione della Corte d’appello di Cagliari che, aveva rigettato il reclamo della predetta s.r.l. avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza di Caia, creditrice della medesima. In particolare, la Corte territoriale rilevava come la società reclamante non avesse provato l’insussistenza dei requisiti legittimanti il fallimento, avendone peraltro riconosciuto esistente almeno uno, quello dell’attivo patrimoniale superiore a trecentomila euro. E, i giudici di seconde cure precisavano altresì che, considerati i debiti verso i soci, l’ammontare degli stessi era superiore ad Euro novecentomila. Quanto, poi, alla soglia minima di debiti scaduti, i giudici cagliaritani rilevavano come dal bilancio 2007 risultassero debiti per Euro 1.429.560 esigibili entro il 2008. Infine, circa lo stato di insolvenza, i ricavi modesti e talora inesistenti non rendevano prevedibile un risanamento dell’impresa. La Gamma s.r.l. attivava, quindi, la tutela di legittimità facendo valere cinque distinti motivi di censura, tra i quali col terzo gravame la s.r.l. de qua deduceva violazione e falsa applicazione dell’art. 15, ultimo comma, l. fall. e vizio di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito avessero considerato scaduti anche i debiti esigibili nell’anno successivo a quello della redazione dello stato patrimoniale, mentre in realtà non lo erano alla data di presentazione della domanda di fallimento. E, gli Ermellini, rigettando in toto il ricorso, precisano che l’art. 2424 c.c. esige che nello stato patrimoniale della società vengano indicati separatamente gli importi dei debiti esigibili oltre l’esercizio successivo . Ed è evidentemente ad un’applicazione di questa disposizione che la corte d’appello si riferisce, quando afferma che nel bilancio al 31 dicembre 2007 della Gamma s.r.l. risultavano debiti per Euro 1.429.560 esigibili entro l’anno successivo, vale a dire entro l’anno 2008, alla cui fine il fallimento fu dichiarato. Sicché ragionevolmente i giudici del merito avevano argomentato che il termine per il pagamento di quei debiti scadesse appunto nel 2008, non avendo peraltro il ricorrente dimostrato il contrario. Il criterio dell’ indebitamento minimo. Colui che abbia un indebitamento complessivo inferiore ad Euro trentamila, ex art. 15, ultimo comma, l. fall. non può essere dichiarato fallito. La soglia de qua si riferisce esclusivamente ai debiti scaduti, come desumibile, oltre che da un’interpretazione fondata sulla logica, anche, a contrario , dal tenore dell’art. 1, comma 2, lett. c , l. fall., laddove si specifica che l’ammontare dei debiti non superiore ad Euro cinquecentomila deve essere comprensivo anche di quelli non scaduti. La disposizione introduce una causa di non fallibilità, una circostanza ostativa alla dichiarazione di fallimento che non tocca la nozione di stato di insolvenza, che continua ad essere integrato dall’impossibilità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni a prescindere dall’entità dei debiti cui riferire l’inadempimento stesso. Si prevede pertanto che allo stato di insolvenza non possa seguire la dichiarazione di fallimento, qualora l’indebitamento complessivo sia inferiore ad un limite entro il quale il fallimento non è ritenuto utile dal legislatore, verosimilmente per la carenza di allarme sociale legato alla decozione. Inoltre, con la dottrina quasi unanime, va precisato che la predetta formula legislativa contenuta nell’art. 15, ultimo comma, l. fall., evidenzia come ciò che conta non è l’entità del credito vantato dal ricorrente, che potrebbe anche essere inferiore alla soglia fissata, ma l’insieme dei debiti inadempiuti risultanti dall’istruttoria prefallimentare. La scadenza dei debiti che rileva è quella maturata al momento della decisione. Il criterio dell’indebitamento minimo va riferito alle risultanze dell’istruttoria prefallimentare e non già alla somma degli importi dei debiti dell’imprenditore insolvente risultante dai ricorsi presentati. La necessità che l’indebitamento complessivo del fallendo sia superiore alla soglia di Euro trentamila risponde ad una politica deflattiva che si estrinseca altresì nell’istituto di cui all’art. 102 l. fall., che consente di evitare l’accertamento del passivo nelle ipotesi in cui sia prevedibile che la realizzazione di attivo sia nulla o insufficiente per il soddisfacimento dei creditori concorsuali. L’iscrizione in bilancio di un debito. Nel bilancio d’esercizio, di regola, i debiti non sono scaduti. In considerazione della scadenza, le passività nello stato patrimoniale vengono distinte in passività a breve o correnti, che sono quelle che hanno scadenza entro l’esercizio successivo o indeterminata o a semplice richiesta del creditore passività a medio e lungo termine o consolidate, che sono quelle con scadenza oltre l’esercizio successivo. Circa la scadenza la stessa norma fallimentare espressamente ammette che i debiti possano essere anche non scaduti, il che è ovvio in quanto la scadenza è rilevante per la quantificazione dello stato di insolvenza o di crisi, mentre è corretto che non rilevi per il criterio in parola volto ad escludere dal fallimento le imprese di ridotte dimensioni. Le passività esigibili oltre l’esercizio successivo , ex art. 2424 c.c. Sulla distinzione tra debiti scaduti e debiti di futura esigibilità sostenuta dall’odierna ricorrente, gli Ermellini, richiamando un lontano precedente v., Cass., 2259/1971 precisano che in realtà l’esigibilità del credito ricorre quando il creditore può chiederne il pagamento o perché è scaduto il termine a favore del debitore o perché il pagamento può essere richiesto in qualsiasi momento. Come chiarisce Autorevole dottrina, del resto, è esigibile il credito che può essere fatto valere in giudizio al fine di ottenere una sentenza di condanna. Tale dunque non è un credito nascente da un’obbligazione naturale, né un credito nascente da un negozio sottoposto a condizione sospensiva o a termine dilatorio, prima che la condizione si sia avverata o il termine sia venuto a scadenza, non producendo altrimenti effetti. D’altro canto l’art. 2424 c.c. esige che nello stato patrimoniale della società vengano indicati separatamente gli importi dei debiti esigibili oltre l’esercizio successivo . Ed è evidentemente ad un’applicazione di questa disposizione che la Corte territoriale si riferisce quando afferma che nel bilancio al 31 dicembre 2007 della Gamma s.r.l. risultavano debiti per Euro 1.429.560 esigibili entro l’anno successivo, alla cui fine il fallimento fu dichiarato. In conclusione, pertanto, la scadenza dei debiti che rileva è quella maturata al momento della decisione, non al momento della presentazione dell’istanza di fallimento.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 settembre – 9 ottobre 2015, n. 20296 Presidente Ceccherini – Relatore Nappi Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Cagliari rigettò il reclamo proposto dalla Riviera Poetto s.r.l. avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza dell'ing. M.M. . Ritennero i giudici del merito che la società reclamante non avesse provato l'insussistenza dei requisiti legittimanti il fallimento, avendone riconosciuto esistente almeno uno, quello dell'attivo patrimoniale superiore a trecentomila Euro. Aggiunsero comunque che, considerati i debiti verso i soci, l'ammontare dei debiti era superiore a novecentomila Euro. Quanto alla soglia minima di trentamila Euro di debiti scaduti, rilevarono come dal bilancio 2007 risultassero debiti per Euro. 1.429.560 esigibili entro il 2008. Infine, quanto allo stato di insolvenza, i ricavi modesti e talora inesistenti non rendevano prevedibile un risanamento dell'impresa. Ricorre per cassazione la Riviera Poetto s.r.l. e propone cinque motivi di impugnazione, mentre non hanno spiegato difese gli intimati. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 1 comma 2 e dell'art. 15 comma 4 legge fall. e vizio di motivazione in ordine all'ammontare dei suoi debiti. Lamenta innanzitutto che i giudici del merito abbiano omesso di considerare la documentazione prodotta in sede prefallimentare, dalla quale risultava che le intere passività, e non i debiti, ammontavano al dicembre 2008 a Euro 982.613,96. Censura poi che i giudici del merito abbiano annoverato tra i debiti anche quelli verso i soci, senza considerare che costoro vi avevano rinunciato. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5 legge fall., e vizi di motivazione in ordine allo stato di insolvenza, lamentando che i giudici del merito abbiano omesso qualsiasi accertamento relativo al presupposto oggettivo del fallimento. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 15 ultimo comma legge fall., e vizio di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano considerato scaduti anche i debiti esigibili nell'anno successivo a quello della redazione dello stato patrimoniale, mentre in realtà non lo erano alla data di presentazione della domanda di fallimento. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la ricorrente deduce violazione degli art. 2423 bis e 2424 c.c., in relazione agli art. 1 e 5 legge fall., e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che erroneamente le sia stata addebitata la mancata appostazione in bilancio e comunque in contabilità del debito contestato nei confronti di M.M. . Sostiene che il lodo arbitrale in favore della creditrice istante era stato pronunciato il 28 maggio 2008, sicché non poteva essere inserito nel bilancio 2008, ancora non esistente nel dicembre 2008 e poiché il lodo era stato impugnato, il debito non doveva essere inserito in contabilità. Con il quinto motivo infine la ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente escluso la possibilità di risanamento dell'azienda. 2. Come risulta dalla stessa narrativa del ricorso, la società ricorrente non contesta di essere assog-gettabile a fallimento, perché riconosce di avere un patrimonio superiore a trecentomila Euro e riconosce che la preclusione al fallimento deriva solo dal concorso di tutte le tre condizioni ostative previste dall'art. 1 legge fall Ne consegue che sono inammissibili il primo e il quarto motivo del ricorso, perché attengono all'irrilevante questione dell'esistenza delle altre due condizioni ostative al fallimento. 3. A fondamento del terzo motivo la ricorrente sostiene che bisogna distinguere tra debiti scaduti e debiti di esigibilità futura. In realtà l'esigibilità del credito ricorre quando il creditore può chiederne il pagamento o perché è scaduto il termine stabilito a favore del debitore oppure perché il pagamento può essere richiesto in qualsiasi momento” Cass., sez. I, 13 luglio 1971, n. 2259, m. 353096 . Come chiarisce la dottrina, non è esigibile, ad esempio, un credito nascente da una obbligazione naturale, né un credito nascente da un negozio sottoposto a condizione sospensiva o a termine dilatorio, prima che la condizione si sia avverata o il termine sia venuto a scadenza, non producendosi, altrimenti, effetti. È invece esigibile un credito nascente da un negozio sottoposto a condizione risolutiva ovviamente prima dell'eventuale avveramento perché immediatamente efficace”. D'altro canto l'art. 2424 c.c. esige che nello stato patrimoniale della società vengano indicati separatamente gli importi dei debiti esigibili oltre l'esercizio successivo”. Ed è evidentemente a un'applicazione di questa disposizione che la corte d'appello si riferisce, quando afferma che nel bilancio al 31 dicembre 2007 della Riviera Poetto s.r.l. risultavano debiti per Euro 1.429.560 esigibili entro l'anno successivo, vale a dire entro l'anno 2008, alla cui fine il fallimento fu dichiarato. Sicché ragionevolmente i giudici del merito hanno argomentato che il termine per il pagamento di quei debiti scadesse appunto nel 2008. Né il ricorrente ha dimostrato il contrario. Contrariamente a quanto si deduce nel ricorso, infatti, la scadenza dei debiti che rileva è quella maturata al momento della decisione, non al momento della presentazione della istanza di fallimento Cass., sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952, m. 635516 . Il terzo motivo è dunque infondato. 4. Infondato è anche il secondo motivo del ricorso, attinente allo stato di insolvenza. La ricorrente lamenta una totale mancanza di motivazione sul punto. Ma la corte d'appello una motivazione, per quanto stringata, la esibisce, escludendo qualsiasi prospettiva di risanamento. E la congruità di questa motivazione deve essere valutata in rapporto alle deduzioni esposte nel reclamo, che avevano riguardato esclusivamente l'esistenza di un utile nell'esercizio 2008, dopo le perdite dei due anni precedenti, che i giudici del merito pongono in dubbio in ragione della mancanza di una appostazione prudenziale riferita al debito nei confronti della creditrice istante M.M. , contestata dalla società debitrice. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso. In mancanza di difese degli intimati, non v'è pronuncia sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.