Da provare il danno “differenziale” da comportamento commerciale della concorrente

In tema di lavoro subordinato privato e quindi di responsabilità per fatto illecito, il danno ulteriore” da concorrenza sleale, ai fini della sua risarcibilità, richiede la prova ad hoc così, non è possibile affermare, in via meramente probabilistica o presuntiva, alcun nesso in re ipsa tra lo storno dei dipendenti e la contrazione del fatturato.

E’, quindi, legittima, e va pertanto confermata, la sentenza di merito con cui, stanti le deposizioni dei testi sulla non avvenuta totale cessazione dei rapporti commerciali tra la clientela e la singola impresa ed accertata l’omessa produzione da parte di quest’ultima di documentazione attestante il fatturato di ciascuna singola filiale nel corso degli anni, venga negata l’esistenza di ulteriori effetti economici negativi e, quindi, non venga concesso il relativo risarcimento. Il principio si argomenta dalla sentenza n. 15134, decisa il 25 febbraio e depositata il 20 luglio 2015. Il caso. Una s.r.l., già s.n.c., veniva condannata, in primo e secondo grado, al risarcimento dei danni cagionati da concorrenza sleale per storno di dipendenti successivamente, una s.p.a. citava, invano, in giudizio, con sentenza di rigetto confermata in secondo grado a seguito di testi, tale s.r.l. ed i relativi soci illimitatamente responsabili per la liquidazione dell’importo per cessazione ovvero massima riduzione dei rapporti commerciali di filiale e relativa rilevante diminuzione del fatturato, analogamente a quanto verificatosi presso altra filiale, a fronte di un invocato incremento di fatturato delle altre filiali. L’impresa privata tra libertà e prova il nocumento lesivo, la sanzione e la condotta irrilevante. In primis , vanno richiamati gli artt. 2, 3, 4 e 41 Cost. 2598, 2599, 2697, 2727 e 2729 c.c. 91 e 112 c.p.c All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di illecito, danno, diritto ed onere, prova, responsabilità e risarcimento. Sul piano formale, vanno ricordati i limiti alla potestas iudicandi del magistrato in sede di legittimità il quale non può, quindi, riesaminare la vicenda processuale bensì può esclusivamente controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale dell’apprezzamento effettuato dal giudice di merito Cass. n. 6288/2011, n. 7394/2010, n. 16762/2006 . Prima facie , si potrebbe pensare ad una sorta di rapporto di causalità ex se tra storno, concorrenza sleale e danni risarcibili. In realtà, sotto il profilo sostanziale, tre le principali osservazioni da effettuare. La prima sulla funzione e sullo scopo del divieto di concorrenza sleale e, cioè, la tutela della correttezza e della lealtà nell’attività commerciale ovvero la sanzionabilità dell’illecito vantaggio di un’impresa a scapito di un’altra. La seconda, derivata, sui presupposti per la configurabilità della concorrenza sleale e, cioè, la qualità di imprenditore in capo al soggetto autore dell’atto di concorrenza vietato ed al soggetto che di quell’atto subisca le conseguenze nonché un rapporto di concorrenza economica fra i medesimi imprenditori. Segnatamente, il rapporto di concorrenza economica deve riguardare beni o servizi che si trovino nel medesimo ambito di mercato ossia quei beni e servizi destinati a soddisfare identici bisogni dei consumatori o bisogni similari o complementari Cass. n. 4739/2012 . In tal senso, la perdita di chance, quale interferenza illecita sulla serie causale che avrebbe condotto al conseguimento di un profitto di mercato, è fonte di lesione Cass. n. 7927/2012 . In altri termini, il danno risarcibile è la perdita patrimoniale, quale danno emergente e lucro cessante, quest’ultimo ricorrente in caso di recessi di clienti o rotture di trattative provocati dall’atto di concorrenza sleale la semplice prova della diminuzione del fatturato non è, però, necessaria né sufficiente per accertare un mancato guadagno. La terza sull’eziologia dell’evento, e cioè sul rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto in termini di certezza o di mera probabilità, ai fini della ripartizione dell’onere della prova tra danneggiato-ricorrente e danneggiante-convenuto. Sul punto, va ricordato che le presunzioni sono le conseguenze tratte, dalla legge o dal giudice, da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto la relazione tra tali fatti non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto derivi dal primo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile e non unica secondo un criterio di normalità Cass. nn. 18021/2009, 16993/2007, 6465/2002 e 8089/1996 con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti verificabili secondo regole di esperienza. E’ da sottolineare che la presunzione deve fondarsi su elementi gravi, univoci e concordanti, conferire un risultato plausibile ed essere priva di contraddizioni logiche nonché di omissioni di valutazione di elementi decisivi ritualmente dedotti, a pena di censurabilità in sede di legittimità Cass. n. 26022/2011, n. 1715/2007 e n. 701/1995 . De iure condito , la concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza mai deriva dal mero passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente è necessario, infatti, che lo storno di dipendenti sia attuato con animus nocendi , secondo una valutazione di insieme delle strategie e della efficacia lesiva della condotta assunta dagli autori/coautori dell'azione stornante, e quindi appositamente provato. Inammissibile la praesumptio de praesumpto. In ambito di rapporti commerciali tra privati, l’impresa, onde invocare il risarcimento per condotta sleale altrui, è tenuta a dimostrare la propria capacità di soddisfare gli ordini di ciascun singolo cliente ed il mutamento del comportamento commerciale di quest’ultimo rivoltosi, a seguito dello storno - fonte di concorrenza sleale, alla concorrente e, cioè, l’effettiva riduzione degli ordini Corte di appello di Milano n. 2687/2010 . Ergo, il ricorso va respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 25 febbraio – 20 luglio 2015, n. 15134 Presidente Rordorf - Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. - La Tosoni Fluidodinamica S.p.a. convenne in giudizio la Arco S.r.l., già Arco S.n.c., nonché C.M. e R.A. , già soci illimitatamente responsabili della predetta società, per sentir liquidare l'importo dagli stessi dovuto in virtù della sentenza emessa dal Tribunale di Lecco il 20 gennaio 1998 e confermata dalla Corte d'Appello di Milano con sentenza del 10 settembre 1999. Premesso che con le predette sentenze la società convenuta era stata condannata al risarcimento dei danni cagionati dalla concorrenza sleale per storno di dipendenti posta in essere nell'anno 1994, l'attrice espose che per effetto dell'illecito numerosi clienti della propria filiale di avevano cessato o ridotto al minimo i loro rapporti commerciali, con la conseguenza che il fatturato della filiale aveva subito una rilevante diminuzione, mentre nel medesimo periodo quello delle altre filiali aveva fatto registrare un incremento. 1.1. - Con sentenza del 17 dicembre 2007, il Tribunale di Lecco rigettò la domanda. 2. - L'impugnazione proposta dalla Tosoni è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Milano, che con sentenza del 4 ottobre 2010 ha accolto il gravame incidentale proposto dai convenuti, condannando l'appellante al pagamento degli esborsi sostenuti per il giudizio di primo grado. Premesso che tra le filiali della società attrice soltanto quella di Brescia aveva fatto registrare un incremento di fatturato, mentre, come accertato dal c.t.u. nominato in primo grado, quella di aveva subito una contrazione degli ordini addirittura superiore a quella riportata dalla filiale di , la Corte ha escluso che tale decremento fosse riconducibile con certezza allo storno di dipendenti attuato dalla Arco, non essendo stata prodotta la documentazione attestante il fatturato di ogni singola filiale nel corso degli anni, e non potendosi procedere al relativo accertamento mediante la ripartizione proporzionale del fatturato complessivo tra le filiali in base alla provincia di appartenenza dei clienti, in quanto la riduzione emergente da tale operazione avrebbe costituito il risultato di una doppia presunzione, non ammissibile. Ha escluso inoltre che il nesso di causalità tra lo storno dei dipendenti e la riduzione del fatturato potesse essere desunto dalle deposizioni rese dai testi escussi nel corso dell'istruttoria, rilevando che gli stessi avevano negato l'avvenuta interruzione dei rapporti commerciali con i clienti, avendo confermato soltanto che questi ultimi avevano ridotto gli acquisti, ma avendo anche riferito che numerosi clienti si rifornivano da entrambe le società. Ha precisato infine che, ai fini della dimostrazione del danno subito, l'appellante avrebbe dovuto fornire la prova, per ciascun singolo cliente, che lo stesso si era rivolto alla concorrente e che, ove avesse trasmesso gli ordini alla filiale di , questa ultima sarebbe stata in grado di evaderli. 3. - Avverso la predetta sentenza la Tosoni propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La Arco, il C. e la R. resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Motivi della decisione 1. - Preliminarmente, va disattesa l'eccezione d'improcedibilità dell'impugnazione sollevata dalla difesa dei controricorrenti, secondo cui il deposito del ricorso in Cancelleria, effettuato il 4 maggio 2011, ha avuto luogo dopo la scadenza del termine di cui all'art. 369 cod. proc. civ., decorrente dalla data dell'ultima notificazione, eseguita a mezzo del servizio postale l'11 aprile 2011. Contrariamente a quanto sostenuto dai controricorrenti, il deposito è stato infatti effettuato anch'esso per posta, ai sensi dell'art. 134 disp. att. cod. proc. civ., e quindi, come previsto dal sesto comma di tale disposizione, deve considerarsi avvenuto alla data della spedizione del relativo plico, eseguita il 22 aprile 2011, con la conseguente tempestività dell'adempimento. 2. - Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia l'omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché l'errata valutazione delle prove, osservando che, nell'escludere il nesso causale tra lo storno dei dipendenti attuato dalla convenuta e la riduzione di fatturato subita dalla sua filiale di , la sentenza impugnata ha attribuito rilevanza decisiva all'analoga contrazione fatta registrare dalla filiale di , in contrasto con la precedente affermazione dell'impossibilità di ricostruire l'andamento del fatturato delle singole filiali. 2.1. - Il motivo è infondato. L'esclusione del nesso eziologico è stata infatti giustificata dalla Corte distrettuale sulla base di un duplice ordine di considerazioni, riflettenti da un lato l'impossibilità di collegare la riduzione del fatturato complessivamente subita dalla Tosoni alla contrazione degli ordini fatta registrare dalla sola filiale di , in considerazione dell'analogo decremento verificatosi presso la filiale di , dall'altro la mancanza di una prova certa della riconducibilità di tale contrazione alla migrazione della clientela verso la società convenuta, avuto riguardo alla circostanza che numerose imprese avevano continuato a rifornirsi presso l’attrice. Un'attenta lettura della sentenza impugnata consente di affermare che è stata proprio quest'ultima la ragione decisiva del rigetto della domanda, avendo la Corte rilevato che dalle deposizioni rese dai testi escussi era emerso che nessun cliente aveva interamente cessato il rapporto con la Tosoni, e che parte delle imprese da quest'ultima indicate non erano mai state clienti dell'Arco. Il rilievo attribuito alla situazione delle singole filiali non si pone d'altronde in contrasto con la condivisione dell'apprezzamento espresso dal Giudice di primo grado, secondo cui la documentazione prodotta non consentiva di ricostruire con precisione l'andamento del fatturato di ciascuna filiale attraverso tale osservazione, la Corte ha infatti inteso soltanto farsi carico dell'insistenza dell'appellante nella propria tesi difensiva, secondo cui l'adozione di criteri presuntivi per la ripartizione del fatturato complessivo tra le filiali avrebbe consentito di escludere la contrazione degli ordini riscontrata presso la filiale di , per ribadirne l'infondatezza, in virtù della considerazione che tale procedimento logico, consentendo di risalire alla riduzione degli ordini subita dalla filiale di sulla base di un dato presuntivo, si sarebbe tradotto nell'inammissibile ricorso ad una praesumptio de praesumpto . 3. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché l'omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e l'errata valutazione delle prove, sostenendo che, nell'escludere la possibilità di desumere con certezza dalle deposizioni dei testi la sussistenza del nesso causale tra lo storno dei dipendenti e la riduzione del fatturato, la Corte di merito non ha considerato che la relativa prova poteva essere fornita anche a mezzo di presunzioni, ai fini delle quali è sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia configurabile in termini non già di certezza, ma di mera probabilità. Una volta accertato in via presuntiva il nesso di causalità, avrebbe poi gravato sulla controparte l'onere di fornire la prova che gli acquisti compiuti dai suoi clienti presso la Arco non erano stati causati dallo storno dei dipendenti, ma dall'incapacità di essa ricorrente di soddisfare le loro richieste. Nell'escludere la sussistenza del nesso causale, la sentenza impugnata ha comunque omesso di valutare le deposizioni dei testi, dalle quali emergeva che su centotrenta ditte clienti della filiale di circa ottanta avevano seguito i dipendenti stornati, essendosi rivolte alla Arco per l'acquisto di prodotti identici a quelli precedentemente forniti dalla predetta filiale. 3.1. - Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile. Ai fini dell'esclusione del nesso di causalità, la sentenza impugnata non ha affatto trascurato le deposizioni dei testimoni, avendo invece richiamato le dichiarazioni rese dagli stessi, secondo cui nessun cliente aveva interamente cessato i rapporti con la ricorrente, mentre altri si erano riforniti presso entrambe le parti, ed altri ancora non erano mai stati clienti della controricorrente. Nel contestare la conclusione cui è ragionevolmente pervenuta la Corte di merito, secondo cui la riduzione del fatturato della sede di non era riconducibile con certezza all'attrazione della clientela da parte dei dipendenti licenziatisi dalla Tosoni ed assunti dall'Arco, la ricorrente si limita ad insistere nel proprio assunto, senza essere in grado d'indicare le illogicità o le incongruenze del percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una nuova valutazione della prova, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare la vicenda processuale, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale dell'apprezzamento compiuto dal giudice di merito cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav,, 18 marzo 2011, n. 6288 26 marzo 2010, n. 7394 Cass, Sez. III, 21 luglio 2006, n. 16762 . Quanto al mancato ricorso alle presunzioni, la ricorrente si limita a ribadire la portata inferenziale dell'accertato storno dei dipendenti e della conseguente contrazione del fatturato, quali circostanze dalle quali poter risalire, anche mediante un ragionamento meramente probabilistico, al danno da essa subito, astenendosi tuttavia dal censurare la sentenza impugnata, nella parte in cui ha implicitamente escluso l'efficacia presuntiva dei predetti elementi, alla luce delle risultanze della prova testimoniale e della perdurante incertezza in ordine all'effettiva riduzione degli ordini se è vero, infatti, che ai fini della validità giuridica di una presunzione non è necessario che il fatto ignoto appaia come l'unica conseguenza possibile dei fatti noti, essendo sufficiente che sia da questi deducibile sulla base dell' id quod plerumque accidit , è anche vero, però, che gli elementi sui quali si fonda la presunzione devono rivestire i caratteri della gravità, univocità e concordanza, il cui apprezzamento, rimesso in via esclusiva al giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso, non ravvisabile nella specie, in cui le argomentazioni giustificative del suo convincimento risultino logicamente incoerenti o connotate dall'omessa valutazione di elementi decisivi che abbiano formato oggetto di rituale deduzione cfr. Cass., Sez. III, 5 dicembre 2011, n. 26022 21 gennaio 1995, n. 701 Cass., Sez. V, 26 gennaio 2007, n. 1715 . 4. - È invece fondato l'unico motivo del ricorso incidentale, con cui i controricorrenti lamentano la violazione degli artt. 91 e 112 cod. proc. civ. e degli artt. 5, commi primo, secondo e quarto, e 6, comma primo, del d.m. 8 aprile 2004, n. 127, osservando che, nel pronunciare in ordine all'appello incidentale da essi proposto avverso la statuizione sulle spese processuali contenuta nella sentenza di primo grado, la sentenza impugnata si è limitata ad accogliere la censura riflettente il mancato riconoscimento degli esborsi, mentre ha omesso di esaminare quelle concernenti la liquidazione dei diritti e degli onorari, effettuata in violazione dei minimi tariffari, ed il riconoscimento delle maggiorazioni previste in relazione all'importanza delle questioni trattate ed all'assistenza di più persone. 4.1. - A corredo delle proprie censure, i controricorrenti hanno riportato testualmente il motivo dell'appello incidentale, con cui, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, non si limitavano a lamentare la mancata liquidazione dell'importo dovuto a titolo di rifusione degli esborsi sopportati per il giudizio di primo grado, ma contestavano la riduzione dei diritti e degli onorari operata dal Tribunale, in quanto immotivata e comunque contrastante con le vigenti tariffe professionali. Quest'ultima censura, ribadita anche all'udienza di precisazione delle conclusioni, non è stata esaminata dalla sentenza impugnata, la quale, nell'accogliere l'appello incidentale, ha provveduto esclusivamente alla liquidazione degli esborsi, ivi compresi quelli relativi alla c.t.u. espletata in primo grado, omettendo invece qualsiasi cenno ai diritti ed agli onorari. 5. - La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall'accoglimento del ricorso incidentale, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, seconda parte, cod. proc. civ., con la liquidazione degl'importi dovuti dalla parte soccombente al predetto titolo. Considerato che la domanda è stata interamente rigettata, il valore della controversia da prendere in considerazione a tal fine è, come correttamente sostenuto dalla controricorrente, quello richiesto dall'attrice nell'atto di citazione, pari a Lire 9,140.000.000, non potendo trovare applicazione, nella specie, il criterio di determinazione previsto dall'art. 6, primo comma, del d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, il quale si riferisce esclusivamente all'accoglimento o al rigetto parziale della domanda, e dovendosi quindi avere riguardo al criterio dettato in via generale dall'art. 14, primo comma, cod. proc. civ. cfr. Cass., Sez. Un., 11 settembre 2007. n. 19014 Cass., Sez. I, 14 maggio 2007, n. 10997 11 marzo 2006, n. 5381 . Non è invece applicabile l'aumento previsto dall'art. 5, primo e secondo comma, della tariffa professionale, in quanto, al di là del considerevole importo richiesto dall'attrice a titolo di risarcimento e della pluralità degli adempimenti istruttori resisi necessari ai fini della decisione, la controversia in esame non ha implicato la valuta-zione di questioni giuridiche e di fatto di particolare importanza o complessità. Va parimenti esclusa l'applicabilità dell'aumento previsto dall'art. 5, quarto comma, in quanto la pluralità dei convenuti, aventi la medesima posizione processuale, non ha comportato la spendita di un maggiore impegno professionale da parte del difensore, avuto riguardo all'unicità della questione trattata ed all'esclusione della necessità di adempimenti differenziati in riferimento a ciascun cliente. Nella liquidazione degli onorari, va infine applicata la tariffa introdotta dal d.m. 8 aprile 2004, n. 127, vigente alla data della conclusione del giudizio di primo grado, mentre per i diritti di procuratore trova applicazione la tariffa vigente alla data del compimento di ciascuna prestazione cfr. Cass., Sez. II, 13 dicembre 2002, n. 17862 15 giugno 2001, n. 8160 Cass., Sez. Ili, 26 marzo 1999, n. 2891 . Sulla base delle predette considerazioni, e presa in esame la nota specifica testualmente riportata nel ricorso per cassazione, l'importo dovuto per onorari deve essere liquidato in Euro 25.000,00, limitando a sette il numero di udienze di effettiva trattazione e tenendo conto dell'avvenuto espletamento di due soli mezzi di prova testimonianza e c.t.u. , ancorché articolati in più udienze. I diritti di procuratore vanno invece quantificati in complessivi Euro 9.000,00, avuto riguardo all'indebita moltiplicazione delle voci riportate nella specifica, buona parte delle quali accessi in Cancelleria e depositi devono ritenersi comprese nell'importo previsto per gli atti cui si riferiscono o riguardano l'esame di semplici ordinanze di rinvio. 6. - Le spese del giudizio di appello fatta eccezione per l'aumento di cui all'art. 5, quarto comma, del d.m. n. 127 del 2004, non dovuto per le ragioni già esposte in riferimento all'analoga disposizione del d.m. n. 585 del 1994 , vanno liquidate in conformità della sentenza impugnata, avuto riguardo al rigetto del ricorso principale, che, comportando la soccombenza del ricorrente anche in sede di legittimità, ne giustifica anche la condanna al pagamento delle relative spese, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di primo grado in complessivi Euro 63.094,09, ivi compresi Euro 23.000,00 per onorario, Euro 9.000,00 per diritti di procuratore ed Euro 31.094,09 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge condanna la Tosoni Fluidodinamica S.p.a. al pagamento delle spese del giudizio di appello, che si liquidano in complessivi Euro 34.166,59, ivi compresi Euro 28.400,00 per onorario, Euro 5.310,00 per diritti di procuratore, ed Euro 456, 59 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge condanna la Tosoni Fluidodinamica S.p.a. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, ivi compresi Euro 15.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.