La qualifica dell'impresa artigiana e il privilegio del credito

La definizione di impresa artigiana deve essere realizzata ritenendo che i principi codicistici art 2083 c.c. valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano necessari per fruire delle provvidenze previste dalla legislazione di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana non spiega alcuna influenza, ex se - neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa - ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis, numero 5 c.c. privilegio del credito , dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 c.c.

Il caso. Nel corso di una procedura esecutiva mobiliare, sorgeva controversia in merito ai criteri applicabili al riparto delle somme tra creditori concorrenti. In particolare, un creditore formulava opposizione avverso il piano di riparto contestando il privilegio riconosciuto in favore di altro creditore. La Corte d'appello accoglieva l'opposizione, disconosceva il privilegio e condannava parte appellata al pagamento delle spese processuali. Parte soccombente proponeva ricorso straordinario per cassazione. Effetti dell'ordinanza di distribuzione. La Cassazione ha chiarito che il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti. Tanto è garantito dalla presenza di un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo. Infatti, ove una delle parti interessate intendesse far valere i propri diritti ed opporsi alla distribuzione potrà farlo e, ove occorra, ottenere la restituzione di quanto erroneamente distribuito. Qualificazione di impresa artigiana. In tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nella legge speciale deve essere realizzato ritenendo che i principi codicistici art. 2083 c.c. valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari per fruire delle provvidenza previste dalla legislazione di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana non spiega alcuna influenza, ex se - neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa - ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis , numero 5 c.c., dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 c.c Il privilegio dei crediti in favore delle imprese artigiane è disciplinato dalla normativa codicistica art. 2751 bis c.c. novellata nel 2012. Per il periodo precedente alla novella, l'impresa otteneva la qualifica di artigianalità in ragione della normativa civilistica indipendentemente dalla legislazione speciale. Pertanto, il credito aveva natura privilegiata in ragione della situazione fattuale ed indipendentemente dalla iscrizione nel registro delle imprese artigiane. L'onere di provare la natura artigiana dell'impresa, ha chiarito la Cassazione, grava sul creditore che chiede l'attribuzione del privilegio. Nel caso di specie, pur considerando l'inapplicabilità della legge speciale, il creditore che aveva richiesto l'assegnazione del privilegio avrebbe dovuto provare la natura artigiana dell'impresa. Non avendo provveduto a tanto, risultava corretta la decisione della corte d'appello che aveva escluso il privilegio. Con queste argomentazioni, la Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 gennaio – 9 aprile 2015, numero 7116 Presidente Salmè – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1.- Con sentenza depositata il 7 maggio 2010, la Corte d'Appello di Trieste accoglieva l'appello proposto da S.V. nei confronti della società F.lli. Zanchetta s.numero c. di Zanchetta Alessandro e Mauro contro la sentenza del Tribunale di Udine, sezione di Cividale del Friuli, emessa in una controversia distributiva insorta nella procedura esecutiva mobiliare ai danni di B.A. rimasto contumace . La Corte, in riforma della sentenza di primo grado, accertava e dichiarava che il credito vantato dalla società appellata nei confronti del B. non gode del privilegio di cui all'art. 2751 bis numero 5 cod. proc. civ. e condannava quest'ultima al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore dell'appellante S. . 2.- Avverso la sentenza la società F.lli Zanchetta di Zanchetta Alessandro e Mauro s.numero c. propone ricorso straordinario affidato a tre motivi, illustrati da memoria. S.V. si difende con controricorso e memoria. L'intimato B. non si difende. Motivi della decisione 1.- Preliminarmente, vanno rigettate le eccezioni di carenza di interesse all'impugnazione e di giudicato esterno sollevate dalla parte resistente con la memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ Entrambe si fondato sulla sopravvenuta ordinanza del giudice dell'esecuzione con la quale si è dato corso alla distribuzione del ricavato con attribuzione a S.V. della somma contestata di Euro 9.589,67, in quanto unico creditore privilegiato. È vero infatti che l'ordinanza con la quale il giudice procede alla distribuzione del ricavato ha un effetto preclusivo, per certi versi, assimilabile a quello del giudicato cfr. Cass. numero 5580/03, nel senso che il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, stante la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è tuttavia caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti, incompatibile con qualsiasi sua revocabilità, sussistendo un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo, desumibile dagli artt. 485, 512 e 615 cod. proc. civ.” cfr., nello stesso senso, Cass. numero 16369/09 e numero 17371/11 . Tuttavia, questo effetto in tanto si produce in quanto il debitore esecutato o un'altra parte del processo esecutivo - come nel caso di specie uno dei creditori concorrenti - non si sia avvalso dei rimedi endoesecutivi che consentono di ri mettere in discussione l'accertamento, pur sempre sommario, che è proprio del giudice dell'esecuzione. Ove un siffatto rimedio sia stato esperito - si tratti di un'opposizione esecutiva ovvero di un'opposizione distributiva - in mancanza di provvedimento di sospensione, la distribuzione del ricavato non è certo impedita. Tuttavia, l'accoglimento dell'opposizione ne comporta il venir meno degli effetti, con l'insorgenza, se del caso, di obbligazioni restitutorie. Ne consegue che il creditore, procedente o intervenuto, che abbia contestato il progetto di distribuzione introducendo una controversia distributiva ai sensi dell'art. 512 cod. proc. civ. nei confronti di un altro creditore concorrente ha interesse all'impugnazione della sentenza di merito che abbia rigettato la sua opposizione anche se frattanto si sia proceduto al riparto del ricavato in base al progetto di distribuzione opposto. Vanno perciò esaminati i tre motivi di ricorso. 2.- Col primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. anche in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5 e 7 della legge numero 443 del 1985, perché la Corte d'Appello ha negato la natura di impresa artigiana alla società odierna ricorrente, ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all'art. 2751 bis numero 5 cod. civ. nel testo anteriore alla sostituzione attuata con l'art. 36 del d.l. numero 5 del 2012, convertito con modificazioni nella legge numero 35 del 2012 , accollando alla società l'onere della prova della propria natura di impresa artigiana. La ricorrente sostiene che questa statuizione sarebbe in violazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione alle disposizioni della legge speciale indicate in rubrica, che disciplinano le modalità e l'efficacia dell'iscrizione all'albo delle imprese artigiane. Secondo la ricorrente, avendo prodotto in giudizio la certificazione attestante questa iscrizione, in forza dei detti articoli della legge numero 443 del 1985, si sarebbe dovuta ritenere l'efficacia costitutiva dell'iscrizione, con portata generale e non limitata alla concessione delle agevolazioni in favore di tale categoria di imprese. Il corollario sarebbe dovuto essere che la Corte d'Appello non avrebbe potuto gravare la società dell'onere della prova, spettando invece al creditore concorrente S.V. l'onere di allegare, e provare, elementi atti a dimostrare, al contrario, la natura non artigiana dell'impresa con la conseguenza che l'eventuale incertezza probatoria sul punto non avrebbe potuto risolversi a danno della società. 2.1.- Il motivo è infondato. Per superarne le ragioni è sufficiente ribadire l'indirizzo giurisprudenziale richiamato nel controricorso, espresso da questa Corte, nel senso che in tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nella legge speciale legge numero 443 del 1985 deve essere realizzato tenuto conto che, alla luce delle rispettive normative, un'impresa può avere i requisiti previsti dalla legge numero 443 del 1985, e non essere purtuttavia conforme al modello delineato dall'art. 2083 cod. civ. ritenendo che i criteri richiesti dall'art. 2083 cod. civ., ed in genere dal codice civile, valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari per fruire delle provvidenze previste dalla legislazione regionale di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana,, legittimamente effettuata ai sensi dell'art. 5 della ricordata legge numero 443 del 1985, pur avendo natura costitutiva, nei limiti sopra indicati, non spiega alcuna influenza, ex se - neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa - ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis, numero 5 cod. civ., dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 cod. civ.” Cass. numero 19508/05 . Con la precisazione che in tema di privilegio generale sui mobili, la norma dell'art. 2751-bis, primo comma, numero 5, cod. civ., come sostituito dall'art. 36 del d.l. numero 5 del 2012, conv. in legge numero 35 del 2012, laddove accorda il privilegio ai crediti dell'impresa artigiana definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l'adozione. Pertanto, riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore della novella, resta fermo che l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane ex art. 5 della legge numero 443 del 1985 non spiega alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di impresa artigiana dai criteri generali dell'art. 2083 cod. civ.” Cass. numero 11154/12 e numero 18966/13 . Dato quanto sopra, va altresì affermato, in applicazione dell'art. 2697 cod. civ., che in materia di distribuzione del ricavato dell'espropriazione mobiliare, sul creditore che chiede il riconoscimento di un privilegio generale sui mobili grava l'onere di dimostrare l'esistenza dei presupposti di fatto del privilegio cfr. Cass. numero 13758/05 e numero 24651/11 . Pertanto, è corretta la decisione della Corte d'Appello di gravare la società, che rivendica il riconoscimento del privilegio, dell'onere di provarne il fatto costitutivo, quale è la natura artigiana dell'impresa, mediante elementi di fatto ulteriori rispetto all'iscrizione all'albo delle imprese artigiane ai sensi della legge numero 443 del 1985. Il primo motivo di ricorso va rigettato. 3.- Col secondo motivo si lamenta carenza o contraddittorietà della motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dai presupposti dimensionali per la qualificazione come impresa artigiana della società ricorrente. Quest'ultima critica l'apprezzamento in fatto della Corte territoriale, che ha ritenuto non sufficientemente provata la natura artigiana dell'impresa. La ricorrente riporta il contenuto del libro matricola relativo alla consistenza dimensionale dell'impresa e critica la sentenza impugnata per avere ritenuto rilevante la mancanza di data sul frontespizio per non avere considerato questo libro sufficiente a dimostrare la consistenza dimensionale dell'impresa per non avere attribuito alcuna rilevanza all'atteggiamento di non contestazione dello S. per avere dato una lettura illogica alle dichiarazioni dei redditi quanto al numero degli apprendisti ivi indicato. 3.1.- Col terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 167 cod. proc. civ. nel testo applicabile al presente giudizio anche in relazione all'art. 116, comma secondo, cod. proc. civ. ed all'art. 342 cod. proc. civ. perché, avendo il giudice di primo grado ritenuto sufficienti le produzioni dell'impresa al fine di giudicarne la natura artigiana, e non avendo l'appellante specificamente contestato le risultanze relative al requisito dimensionale della società, la Corte d'Appello avrebbe errato nel non ritenere provate per non contestazione le circostanze relative al detto requisito dimensionale. 4.- I motivi, che vanno esaminati congiuntamente, perché connessi, non meritano di essere accolti. In primo luogo, va escluso che, come sostenuto col terzo, si sia avuta la violazione dell'art. 167 cod. proc. civ. laddove prevede che il convenuto debba proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti a fondamento della domanda” e/o violazione dell'art. 342 cod. proc. civ. laddove prevede che l'appellante debba formulare specifici motivi d'appello avverso la sentenza di primo grado. Come osservato nel controricorso, ma come risulta anche dal testo dell'atto di appello riportato nel ricorso, la parte appellante contestò che la società appellata avesse le caratteristiche d'impresa di cui all'art. 2083 cod. civ., in particolare contestò che avesse provato di esercitare un'attività organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. La specificità del motivo d'appello non può certo essere riesaminata in questa sede, per di più in mancanza di censure svolte dalla ricorrente in punto di correttezza del procedimento interpretativo seguito dal giudice di secondo grado cfr. Cass. numero 2217/07, nonché da ultimo Cass. numero 11828/14, citata anche dal resistente, nel senso che spetta al giudice d'appello interpretare i motivi di gravame, potendo la Corte di legittimità soltanto controllare la correttezza di tale attività interpretativa . In merito, poi, all'idoneità del motivo d'appello a contestare i fatti posti dal primo giudice a fondamento della decisione favorevole all'impresa, va evidenziato come la contestazione non appare affatto generica, tanto da potersi ritenere quale clausola di stile arg. a contrario da Cass. numero 10860/11 , poiché indica specificamente il fatto costitutivo che intende contestare - vale a dire il fatto, previsto dall'art. 2083 cod. civ., in riferimento all'art. 2751 bis numero 5 cod. civ., della prevalenza del lavoro del titolare dell'impresa e dei suoi famigliari o dei soci dell'impresa esercitata in forma societaria . Va infatti affermato che affinché venga rispettato l'onere imposto al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della sua domanda, ai sensi dell'art. 167, comma primo, cod. proc. civ., è sufficiente che siano contestati i fatti costitutivi, in sé considerati, e non che sia specificamente contestata l'efficacia probatoria di ciascuno degli elementi di prova dedotti dall'attore per dimostrarne la sussistenza. Né può sostenersi che il giudice d'appello abbia violato il principio di non contestazione solo perché – contestati dall'appellante i fatti costitutivi della pretesa dell'attore, senza muovere specifiche censure sulla portata probatoria delle risultanze istruttorie - siano state valutate insufficienti in secondo grado quelle stesse prove che, in primo grado, erano state ritenute sufficienti all'accoglimento della domanda. 4.1.- In merito a quest'ultima valutazione, si osserva che la gran parte delle censure di cui al secondo motivo di ricorso attiene all'attività di apprezzamento dei fatti e delle prove che è riservata al giudice di merito. Quanto agli errori asseritamente commessi nella lettura delle risultanze documentali -non solo quello afferente il numero degli autocarri in possesso della società per il quale è la stessa ricorrente a dichiarare di avere proposto ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395 numero 4 cod. proc. civ. , ma anche quello afferente il numero degli apprendisti indicato nella dichiarazione dei redditi - si tratta di errori rilevanti ai sensi, appunto, dell'art. 395 numero 4 cod. proc. civ., perciò non denunciabili sotto il profilo del vizio di motivazione. Infatti, il giudice d'appello ha assunto acriticamente come esistenti i detti dati di fatto come se fossero indicati nei documenti, mentre la parte assume che, in merito a questi dati, i documenti sarebbero stati letti male, cioè sostanzialmente travisati. Il travisamento del fatto è denunciabile soltanto con istanza di revocazione, e non come vizio di motivazione cfr., tra le altre, Cass. numero 1427/05 e numero 19921/12 . D'altronde - non risultando intervenuta una decisione positiva sull'impugnazione per revocazione, relativamente al primo dei detti dati di fatto - fermi restando gli altri elementi documentali su cui la Corte territoriale ha basato il proprio giudizio, la motivazione non presenta i profili di contraddittorietà ed insufficienza sostenuti dalla ricorrente. Il vizio di contraddittorietà non sussiste perché esso presuppone mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte, e quindi un'assoluta incompatibilità razionale degli elementi cfr., tra le altre, Cass. numero 5066/07 , che, nel caso di specie, non è stata nemmeno esplicitata nell'illustrare il motivo. Quanto al vizio di insufficienza, il giudizio della Corte territoriale circa la mancanza di prova della natura artigiana dell'impresa gestita dalla società odierna ricorrente risulta fondato sull'esame, oltre che del certificato di iscrizione all'albo delle imprese artigiane, dei modelli delle dichiarazioni fiscali del 2000, 2001, 2002 e del libro matricola, considerati non solo atomisticamente come sembrano presupporre le censure della ricorrente aventi ad oggetto, in parte, l'esame del libro matricola ed, in parte, l'esame delle dichiarazioni dei redditi , ma anche nelle reciproche interazioni. Siffatta valutazione dei dati documentali non può certo essere ripetuta in sede di legittimità. Il secondo motivo di ricorso è, sotto questo profilo, inammissibile poiché si risolve in censure di fatto non consentite in sede di legittimità, in quanto, sotto l'apparente denunzia di vizi di motivazione, richiede una valutazione dei documenti diversa da quella data dal giudice di merito e conforme a quella soggettiva della deducente cfr. Cass. numero 5537/97 . In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente, nell'importo complessivo di Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.