Piccolo imprenditore: non è automatica la qualifica di artigiano né l’esclusione dal fallimento

L'art. 1, comma 2, r.d. n. 267/1942, nel testo modificato dal d.lgs. n. 169/2007, aderendo al principio di prossimità della prova”, pone a carico del debitore l'onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti, ed escludendo quindi la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'art. 2083 c.c., il cui richiamo da parte dell'art. 2221 c.c. che consacra l'immanenza dello statuto dell'imprenditore commerciale al sistema dell'insolvenza, salve le esenzioni ivi previste , non spiega alcuna rilevanza il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell' imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull'altrui lavoro.

Con la pronuncia n. 5685 del 20 marzo 2015, la Corte di Cassazione chiarisce, ai fini della normativa fallimentare, la nozione di piccolo imprenditore, precisando che il richiamo all’art. 2083 c.c. non è più sufficiente per l’esclusione del piccolo imprenditore dalle procedure concorsuali, dovendo, per contro, far riferimento ai criteri dimensionali previsti dall’art. 1 della legge fallimentare. Il caso. La vicenda decisa dalla S.C. con la pronuncia in esame ha inizio dall’insinuazione al fallimento di un piccolo imprenditore per delle fatture non pagate dal fallito in bonis richiesta effettuata con riconoscimento del credito privilegiato in quanto impresa artigiana. Tale domanda viene accolta ma sia nella prima fase, sia nella fase di opposizione, il Tribunale esclude la natura privilegiata del credito, avendo l’impresa artigiana superato, negli anni 2007 e 2009, anche se per poco, uno dei requisiti di cui all’art. 1, legge fallimentare. Tale decreto viene così impugnato innanzi alla Cassazione, sul rilievo che sarebbe mancato un esame della situazione complessiva, non potendosi desumere solo dal superamento del volume di affare la natura non piccola dell’imprenditore. La Cassazione, sul punto, accoglie il ricorso rimettendo al Tribunale per una nuova valutazione. Fallimento del piccolo imprenditore prima della riforma del 2007 In tema di accertamento dei requisiti soggettivi per la sottoposizione al fallimento, ai sensi dell’art. 1 l. fall. prima della riforma, i criteri di distinzione - secondo la giurisprudenza - fra piccolo, medio e grande imprenditore poggiano sulla nozione di cui all’art. 2083 c.c. del pari, non era necessario verificare se l’impresa abbia, o meno, i requisiti per essere iscritta nell’albo delle imprese artigiane previsto dalla l. n. 443/1985, essendo anche l’artigiano un normale imprenditore commerciale se organizza la sua attività in forma di intermediazione speculativa. Da tale impostazione, quindi, ne conseguiva che per i criteri di identificazione della fallibilità bisognava tener conto dell’attività svolta, dell’organizzazione dei mezzi impiegati, dell’entità dell’impresa e delle ripercussioni che il dissesto produce nell’economia generale. .e dopo la riforma la situazione attuale. Attualmente, per contro, l’art. 1 l.fall., nella formulazione ulteriormente modificata dal d.lgs. n. 169/2007, esclude ogni riferimento alla nozione di piccolo imprenditore di cui all’art. 2083 c.c., prescrivendo che sono soggetti al fallimento ed al concordato preventivo gli imprenditori commerciali, esclusi gli enti pubblici, ed escludendo dalle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo solamente quegli imprenditori che abbiano il possesso congiunto di tre requisiti, e precisamente che non superino i due limiti dimensionali di cui al d.lgs. n. 5/2006 e che abbiano un ammontare di debiti anche non scaduti e non superiore ad euro 500mila. Piccolo imprenditore e capitale investito. In tale contesto normativo, la nozione di capitale investito, rilevante per il riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore al solo fine dell'individuazione del parametro dimensionale ostativo all'assoggettabilità al fallimento, coincide con l'attivo che fa parte dello stato patrimoniale da indicare in bilancio, ai sensi dell'art. 2424 c.c In detto attivo, non rientra il capitale sociale che invece ai sensi del medesimo articolo rientra tra le poste passive. Artigiano, imprenditore e piccolo imprenditore come e perché. L'artigiano che ai sensi dell'art. 2083 c.c. è, per definizione, piccolo imprenditore va pertanto considerato un normale imprenditore commerciale come tale sottoposto alle procedure concorsuali ai sensi dell'art. 1 l. fall. allorché abbia organizzato la sua attività in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i caratteri del profitto, avendo in tal modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale, avente una autonoma capacità produttiva, sicché l'opera di esso titolare non sia più né essenziale né principale. Piccolo imprenditore codice civile norme speciali. Secondo la Cassazione, quindi, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nelle leggi speciali ad esempio, la legge n. 443/1985 in tema di artigianato , deve essere realizzato affermando che i criteri richiesti dall'art. 2083 c.c. ed in generale dal codice civile, valgono per l'identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati. Viceversa, i criteri posti dalla legge speciale sono necessari per beneficiare delle provvidenze previste dalla legislazione regionale di sostegno. Ne deriva che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, legittimamente effettuata in base all'art. 5 della citata legge n. 443, pur avendo natura costitutiva, non spiega di per sé alcuna influenza, neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa, ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis , n. 5, c.c., essendo necessario, in tal senso, ricavare la relativa nozione dai criteri di cui all'art. 2083 c.c

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 10 – 20 marzo 2015, n. 5685 Presidente Rovelli – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo La ditta B.C. presentava insinuazione al passivo del fallimento della ditta Edil 2000 Costruzioni S.n.c. di S.A. ed I. , in base ad un decreto ingiuntivo ottenuto per diverse fatture emesse a fronte di lavori effettuati negli anni 2000/2007 a favore della Società fallita. Nell'istanza dell'insinuazione la ditta, odierna ricorrente, chiedeva il riconoscimento del privilegio sul proprio credito complessivo, pari ad Euro 362.802,79, essendo essa ditta artigiana e pertanto privilegiata ai sensi dell'art. 2751 bis n 5 C.C Veniva prodotta documentazione relativa al credito fatture ed il decreto ingiuntivo esecutivo e definitivo ed alla natura artigiana dell'impresa iscrizione all'Albo speciale tenuto presso la CCAA di Verona, dichiarazioni di redditi dai quali emergeva, tra l'altro, l'assenza di qualunque personale dipendente . Il Tribunale ammetteva il credito nell'importo richiesto, ma ne escludeva la natura privilegiata. Veniva dalla ditta ricorrente proposta opposizione allo stato passivo, insistendo per il riconoscimento del privilegio, rimarcando la preponderanza dell'apporto di lavoro personale del titolare sig. B. rispetto ai modesti apporti di capitale impiegati nell'azienda. La Curatela fallimentare non si costituiva nel procedimento di opposizione, rimanendo contumace. Il Tribunale di Verona, con decreto in data 17.4.2012, confermava il non riconoscimento del privilegio artigiano. Il decreto motivava il mancato riconoscimento del richiesto privilegio sulla base del fatto che il ricorrente avesse superato, negli anni di imposta 2007 e 2009 il limite previsto dall'art. 1, comma 2, lett. b della Legge Fallimentare avendo avuto un giro d'affari superiore sia pure di poco ai duecentomila Euro. Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione la Termo idraulica B. sulla base di due motivi, illustrati con memoria, cui resiste la curatela fallimentare. La causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite in accoglimento dell'istanza del ricorrente. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la ditta ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2751 bis n 5 c.c.,così come novellato dal d.l. 9.2.2012 n 5, convertito con legge 35/2012. In particolare, la ricorrente contesta il provvedimento impugnato laddove, al fine di accertare la natura di impresa artigiana, ha fatto applicazione dei criteri di cui all'art 1 della legge fallimentare ed all'art 2083 c.c Secondo la ricorrente, invece, la natura artigiana dell'impresa andrebbe valutata esclusivamente in base alla legislazione speciale in materia contenuta nella legge quadro n. 443/85. Con il secondo motivo contesta l'assunto della sentenza secondo cui il solo fatto che l'impresa avesse superato i limiti di fatturato di cui all'art. 1 l.f la rendeva fallibile onde per tale fatto non poteva considerarsi artigiana. Il primo motivo appare infondato e per certi versi inammissibile. Va innanzi tutto esaminata la questione della retroattività della nuova versione dell'art 2751 bis n. 5 c.c. a seguito della modifica normativa operata dall'art. 36 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, entrata in vigore il 10.2.12, dovendosi rilevare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la nuova norma conseguente alla modifica citata, laddove accorda il privilegio ai crediti dell'impresa artigiana definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti , non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l'adozione. Pertanto, riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore della novella, resta fermo che riscrizione all'albo delle imprese artigiane ex art. 5 della legge n. 443 del 1985 non spiega alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di impresa artigiana dai criteri generali dell'art. 2083 cod. civ. Cass 11154/12 Cass 11024/13 Cass 18966/13 Cass 1166/14 . Nel caso di specie va rilevato che lo stato passivo della Edil 2000 Costruzioni s.n.c. è stato depositato in cancelleria il 28 ottobre 2011, mentre il suo fallimento è stato dichiarato con sentenza del Tribunale di Verona del 28 settembre 2010, prima dunque della citata modifica normativa con la conseguenza che deve trovare applicazione l’art 2751 bis primo comma n. 5 c.c. antecedente alla modifica più volte citata. In tal senso si rivela erroneo l'assunto della società ricorrente secondo cui il tribunale di Verona avrebbe dovuto applicare la novella del 2012 in quanto entrata in vigore quattro mesi prima della emanazione del decreto impugnato. Va infatti rilevato che le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile che attengono alla qualità di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa, che nel caso di specie non sussiste, il principio generale di cui all'art. 11 delle preleggi, secondo cui le leggi non sono retroattive. Ne consegue che la modifica legislativa, che abbia introdotto un nuovo privilegio o abbia introdotto modifiche ad uno già esistente, si applica solo se il credito sia sorto nello stesso giorno o in un giorno successivo rispetto al momento in cui la legge entra in vigore e pertanto la gradazione dei crediti si individua avendo riguardo al momento in cui il credito sorge e non quando viene fatto valere. In tal senso, è appena il caso di soggiungere, che, non trattandosi nel caso di specie di norme processuali, le stesse non sono suscettibili di applicazione come ius superveniens ai giudizi in corso. Ciò posto, dovendosi dunque applicare la norma dell’art. 2751-bis, primo comma, n. 5, cod. civ., secondo il vecchio testo antecedente alla modifica dall'art. 36 del d.l. n. 5 del 2012, conv. in legge n. 35 del 2012, occorre rilevare che la unanime giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ripetuto che in tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nella legge speciale legge n. 443 del 1985 deve essere realizzato tenuto conto che, alla luce delle rispettive normative, un'impresa può avere i requisiti previsti dalla legge n. 443 del 1985, e non essere purtuttavia conforme al modello delineato dall'art. 2083 cod. civ. ritenendo che i criteri richiesti dall'art. 2083 cod. civ., ed in genere dal codice civile, valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari per fruire delle provvidenza previste dalla legislazione regionale di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, legittimamente effettuata ai sensi dell'art. 5 della ricordata legge n. 443 del 1985, pur avendo natura costitutiva, nei limiti sopra indicati, non spiega alcuna influenza, ex se neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis, n. 5 cod. civ., dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 cod. civ. ex plurimis Cass 7366/98 Cass 19508/05 Cass 11154/12. Tale interpretazione ha avuto anche l'avallo della Corte Costituzionale che ha rilevato che le norme impugnate vadano interpretate nel senso di riconoscere che l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane, anche nell'ambito delle Regioni a statuto speciale o Province autonome, costituisce il presupposto per fruire delle agevolazioni previste dalla legge-quadro o da altre disposizioni, ma non vale a far sorgere una presunzione assoluta circa la qualifica artigiana dell'impresa stessa ai fini del riconoscimento del privilegio generale sui mobili previsto dal codice civile al contrario, è consentito al giudice di sindacare la reale consistenza dell'impresa creditrice, omissis C. Cost 24 luglio 1996 n. 307 . Venendo all'esame del secondo motivo di ricorso, lo stesso appare fondato. Va infatti rammentato che questa Corte di cassazione ha chiarito che l'art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che stabilisce,ai fini della dichiarazione di fallimento, la necessità del superamento di alcuni parametri dimensionali, esclude la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'art. 2083 cod. civ., che ormai ai fini della fallibilità non spiega alcuna rilevanza. Il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell' imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull'altrui lavoro. Cass 13086/10 Cass 23052/10 . Dunque il collegamento effettuato nel decreto tra la condizione di piccolo imprenditore ed i criterio di cui all'art. 1 l.f appare del tutto improprio non sussistendo più alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilità. Da ciò, a maggior ragione, si deve escludere ogni rapporto tra le disposizioni dell'art. 1 l.f. in tema di requisiti di fallibilità con la tutt'affatto diversa questione della sussistenza della natura di impresa artigiana, desumibile, in base alla normativa ratione temporis applicabile di cui si è dianzi detto, in ragione dei criteri stabiliti per l'individuazione del piccolo imprenditore. Ciò posto, si osserva che il decreto ha escluso la natura artigiana della impresa sulla base del suo volume di affari di oltre 200 mila Euro per l’anno 2007 e per quello successivo. A tal proposito l'art 2083 c.c. definisce piccolo imprenditore l'artigiano che esercita un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. L'artigiano peraltro va considerato un normale imprenditore commerciale, come tale sottoposto alle procedure concorsuali, allorché abbia organizzato la sua attività in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto, avendo in tal modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un'autonoma capacità produttiva, sicché l'opera di esso titolare non sia più né essenziale né principale cfr. Cass. 22 dicembre 2000, n. 16157 Cass 12487/05 . In tale ambito ai fini di accertare la ricorrenza della qualità di piccolo imprenditore occorre valutare alcuni criteri tra cui l'attività svolta, il capitale impiegato, l'entità dell'impresa, il numero dei lavoratori, l'entità e qualità della produzione, i finanziamenti ottenuti e tutti quegli elementi atti a verificare se l'attività venga svolta con la prevalenza del lavoro dell'imprenditore e della propria famiglia. La sentenza impugnata non si è attenuta ai criteri dianzi indicati. La stessa, infatti, si è limitata ad affermare che la natura artigiana della impresa doveva escludersi sulla base del suo volume di affari per l’anno 2007 e per quello successivo di oltre 200 mila Euro. Premesso che, ai sensi dell'art 20 del DPR 633/72, in materia di IVA, che è l’unica norma che da una definizione del volume d'affari, viene definito tale l'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, registrate o soggette a registrazione con riferimento ad un anno solare è agevole osservare che tale criterio di per sé solo non appare sufficiente per riscontrare od escludere la natura artigiana di un impresa. Quest'ultima va individuata, ai sensi dell’art 2083 c.c., applicabile come detto ratione temporis, nella prevalenza del lavoro del titolare dell'impresa e della sua famiglia rispetto al capitale ed all'altrui lavoro. Tale accertamento necessita necessariamente il riferimento ad altri parametri che nel loro complesso possono portare ad una adeguata valutazione. In primo luogo sarebbe necessario accertare l'incidenza del lavoro del titolare dell'impresa ed eventualmente dei suoi familiari nello svolgimento dell'attività imprenditoriale in relazione ai dipendenti utilizzati. In tal senso occorrerebbe conoscere quanti questi ultimi siano. È infatti evidente che un imprenditore che abbia alle sue dipendenze un grande numero di lavoratori non potrebbe comunque essere considerato artigiano poiché un consistente apporto esterno di forza lavoro comporterebbe l'esistenza di una organizzazione dell'impresa di dimensioni tali che farebbe escludere la prevalenza della attività lavorativa del solo titolare. In secondo luogo, sarebbe necessario accertare il capitale investito nell'impresa sia in termini di strutture e macchinari che di materie prime poiché anche in tal caso un capitale di rilevante entità porterebbe ad escludere una prevalenza del lavoro umano del solo titolare dell'impresa. Nessuno dei sovraindicati elementi si rinviene nel provvedimento impugnato. In assenza di tali dati di riferimento, il solo elemento dell'ammontare del volume d'affari si presenta di per sé equivoco e,come tale, inidoneo ad accertare di per sé solo la natura artigiana o meno dell'impresa. In primo luogo nell'ambito del volume d'affari occorrerebbe valutare il costo delle materie prime e del materiale utilizzato per produrre i beni. Come correttamente osservato dal ricorrente, ad esempio, è evidente che un artigiano orafo,che per creare i propri gioielli utilizzi metalli e pietre preziose, avrà un volume d'affari di un certo rilievo dovuto al valore intrinseco degli oggetti creati e successivamente venduti, derivante dalle materie prime utilizzate anche se abbia svolto la propria attività di persona e senza dipendenti. Il costo delle materiale utilizzato e successivamente ceduto ai clienti sarebbe indispensabile inoltre per valutare il guadagno effettivo dell'imprenditore che ovviamente a fronte di costi elevati di acquisto risulterebbe solo una parte limitata del volume d'affari non assurgendo così al livello di un vero e proprio profitto d'impresa. Nel caso di specie non si rinviene nel provvedimento impugnato neppure una analisi di questo tipo. In conclusione dunque la motivazione fornita dal Tribunale non appare conforme ai criteri stabiliti dall'art. 2083 c.c., onde il motivo va accolto. Il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione al motivo accolto con rinvio al Tribunale di Verona, in diversa composizione che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione,cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese al Tribunale di Verona in diversa composizione.