Socio fallito: escluso di diritto, ma gli spetta la liquidazione della quota

La fattispecie oggetto di esame da parte dell’odierno giudice della legittimità riguarda l’esclusione di diritto del socio dichiarato fallito. Nello specifico, si tratta di stabilire se la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determini o meno la sua esclusione di diritto dalla società, nonché la conseguente liquidazione della propria quota.

E, i giudici della Prima Sezione Civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 5449 depositata il 18 marzo 2015, ribadiscono il principio per il quale l’esclusione del socio fallito opera di diritto, sì che gli effetti risalgono al momento del deposito della sentenza di fallimento. Invero - precisano gli Ermellini - la tutela bilanciata della società e della massa creditoria del fallimento del socio si realizza, da un lato, evitando alla società l’eventualità pregiudizievole di avere il fallimento nella compagine ed inoltre precludendo al fallimento di vendere la quota a terzi in via esecutiva si realizza, d’altra parte, nel rendere oggetto della massa attiva fallimentare il credito di liquidazione della quota. L’esclusione di diritto del socio fallito, in definitiva, è previsione posta a tutela della stessa società partecipata dal fallito nel contempo detta previsione è correlata col riconoscimento del credito relativo alla liquidazione della quota secondo il valore al momento dell’esclusione del diritto del socio, coincidente con la dichiarazione di fallimento Cass. Civ., sez. I, n. 950/1993 . Il fatto. Nella fattispecie in cui è intervenuta la sentenza in commento della Corte Suprema, il socio, dichiarato fallito, escluso di diritto da una s.n.c., ha proposto opposizione avverso la deliberazione della sua esclusione dalla società, chiedendo altresì la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni in proprio favore. In seguito i soci della predetta s.n.c. deliberano anche la trasformazione della società stessa in s.p.a., cui ancora si oppone il succitato socio estromesso. Tali domande vengono rigettate dal Tribunale di Torre Annunziata, che, invero, riconosce al socio fallito la liquidazione della propria quota. Tale decisione del giudice di primo grado viene confermata anche dal giudice d’appello. Avverso quest’ultima decisione, il socio fallito propone ricorso per cassazione cui resiste con controricorso la s.p.a Nell’unico motivo di censura il succitato socio soccombente chiede se l’esclusione di diritto da una società di persone, collegata dall’art. 2288, comma 1, c.c. alla dichiarazione di fallimento di un socio, debba essere ritenuta efficace non dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento, ma soltanto dal momento in cui la società in bonis compia atti a rilevanza esterna, ovvero da quello in cui il suo patrimonio sia oggetto di azioni o pretese da parte del fallimento del socio e se, di conseguenza, la chiusura del fallimento per l’estinzione del passivo dichiarata prima dell’efficacia dell’esclusione sancita dall’art. 2288, primo comma, c.c. ne comporti l’applicabilità. E gli Ermellini respingono in toto il ricorso, dichiarandolo infondato ed osservando come, in particolare, la giurisprudenza invocata dal ricorrente sia del tutto estranea al thema decidendum , concernendo la questione relativa agli effetti del fallimento delle società di persone ai fini dell’applicazione degli artt. 10 e 147 l. fall Va ribadito – aggiungono i Giudici di legittimità – il principio per il quale l’esclusione del socio fallito opera di diritto, sì che correttamente la Corte di merito ne ha fatto risalire gli effetti al momento del deposito della sentenza di fallimento. Di conseguenza la Suprema Corte rigetta il ricorso principale ed anche quello incidentale e compensa le spese del giudizio. L’esclusione di diritto del socio. L’esclusione costituisce il mezzo attraverso il quale si attua la estromissione dalla società del socio, la cui partecipazione, per cause attinenti alla sua persona o al suo apporto o dipendenti dal suo comportamento, non può essere ulteriormente consentita, essendosi sostanzialmente modificate le basi della originaria partecipazione. La legge prevede, come cause di esclusione che operano automaticamente, e cioè senza necessità di una deliberazione dei soci o di una sentenza, la liquidazione della quota del socio su richiesta dei creditori particolari di lui e la dichiarazione di fallimento del socio, ex art. 2288 c.c., quest’ultima ipotesi ricorrente nel caso de quo. In realtà, in questi casi neppure è possibile parlare di esclusione in senso tecnico qui l’estromissione del socio non dipende dalla volontà degli altri soci, ma dalla richiesta dei creditori particolari o dalla dichiarazione di fallimento, per effetto delle quali, anche a prescindere dalla esclusione, la quota del socio deve essere liquidata. La società pertanto non può che limitarsi a prendere atto di quanto già avvenuto al di fuori della sua volontà. Naturalmente queste cause di cosiddetta esclusione operano soltanto in quanto sussista un diritto dei creditori particolari del socio a chiedere la liquidazione della quota. Soltanto su questa base la dichiarazione di fallimento del socio può essere riguardata come causa di esclusione. La liquidazione della quota del socio uscente. L’uscita del socio dalla società, qualunque ne sia la causa determinante, impone la definizione dei rapporti tra socio e società, la quale si attua mediante la liquidazione della quota del socio uscente. Principio fondamentale è che il socio uscente o i suoi eredi non hanno diritto ad una quota proporzionale dei beni, ma soltanto ad una somma di denaro che ne rappresenti il valore sulla base della situazione patrimoniale del giorno in cui il rapporto si scioglie, nel caso che qui ci occupa, al momento del deposito della sentenza di fallimento. Il pagamento della quota deve avvenire nel termine di sei mesi da tale data e, se al momento dello scioglimento del rapporto vi sono operazioni in corso, deve tenersi conto dei risultati positivi o negativi di queste operazioni e corrispondentemente devesi correggere la determinazione del valore già fatta. Sul punto, il decisum in commento, richiamando un lontano precedente di legittimità Cass. civ., sez. I, n. 2772/1969 , precisa che, per la redazione della situazione patrimoniale da assumere a base della quota di un socio uscente, non è possibile – a differenza di quanto si pratica, ex art. 2437 c.c., in caso di recesso da una società per azioni – fare riferimento all’ultimo bilancio o comunque ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, ma deve aversi riguardo alla sua effettiva consistenza al momento della uscita del socio. Pertanto, posto che l’avviamento come elemento del patrimonio sociale si traduce nella probabilità, fondata su elementi presenti o passati ma proiettata eminentemente al futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, nella determinazione del valore di detto bene debbono tenersi in conto non solo i risultati economici della gestione passata ma anche le prudenti previsioni della futura redditività dell’azienda. Effetti della revoca della dichiarazione di fallimento. Con riferimento all’esclusione del diritto del socio che sia stato dichiarato fallito, va, peraltro, presa in considerazione un’interessante pronuncia, con la quale la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione se, e a quali condizioni, la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento possa determinare la riacquisizione della qualità di socio con efficacia retroattiva ossia ex tunc. In particolare nella sentenza datata 24 marzo 2011, n. 6437 – richiamata esplicitamente nel decisum che qui ci occupa – la Suprema Corte ha osservato che, benché l’operatività di diritto dello scioglimento del rapporto sociale si possa riferire temporalmente al momento stesso della dichiarazione di fallimento, tuttavia i suoi effetti definitivi non si verificano fino a quando la quota del fallito non venga liquidata ad istanza di qualunque interessato, ovvero fino a quando nella società di due soci non sia stata compiuta la liquidazione della società. Fino a quando uno di questi due eventi non si realizzi, l’esclusione del socio non può dirsi compiuta ove, quindi, la sentenza dichiarativa di fallimento venga revocata, la revoca investe la situazione concessa all’esclusione di diritto ponendola nel nulla come se non fosse mai venuta a giuridica esistenza. Tuttavia, come rilevano i supremi giudici, la predetta pronuncia si riferisce ad ipotesi diversa dalla chiusura del fallimento e quindi non applicabile al caso de quo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 gennaio – 18 marzo 2015, n. 5449 Presidente Forte – Relatore Didone Ragioni in fatto e in diritto della decisione 1.- D.L.G. convenne in giudizio davanti ai Tribunale di Torre Annunziata-Sezione Distaccata di Sorrento, la S.p.A. Grande Albergo Excelsior Vittoria, in persona del legale rappresentante nonché F.L. , F.F. , Fi.Fa. e G. , ed espose che, con atto notarile del 2.12.1981, i soci F.U. , F.L. , F.G. , F.R. , Fa. , A. , Gl. , nonché D.L.A. , D.L.R. , D.L.G. , D.L.D. e D.L.F. , nella qualità di eredi di Fi.Gi. , deliberarono la trasformazione della società di fatto Grande Albergo Vittoria in Grande Albergo Excelsior di Ugo Fiorentino e C. s.n.c. che con sentenza in data 19.6.1996 il Tribunale di Napoli dichiarò il fallimento della Astrid di De Luca Giancarlo & amp C, nonché il fallimento in proprio di D.L.G. , procedura chiusa con decreto del 2.12.1998 che con scrittura privata del 23.1.1998, i soci Fi.Fa. , F.F. , F.L. , F.G. , F.P. , F.R. , D.L.A. , D.L.R. , D.L.D. e D.L.F. , tra l'altro, presero atto dell'avvenuta esclusione di diritto dalla società del socio D.L. esclusero per concorde volontà che in data 3.8.1999 Fi.Fa. , F.F. , F.L. , F.G. , qualificatisi unici soci della Grande Albergo Excelsior di Ugo Fiorentino e C. s.n.c. deliberarono la trasformazione della società in S.p.A., con la denominazione Grande Albergo Excelsior Vittoria S.p.A. tutto ciò premesso, l'attore chiese che il Tribunale dichiarasse l'invalidità delle delibere di esclusione e di trasformazione della società, con conseguente reviviscenza della S.n.c. Grande Albergo Excelsior Vittoria in subordine, chiese che fosse accertato e dichiarato il suo diritto ex art. 2289 c.c. alla liquidazione della quota di sua pertinenza del patrimonio della S.n.c. Grande Albergo Excelsior Vittoria, e che la S.p.A. Grande Albergo Excelsior Vittoria fosse condannata al pagamento della somma corrispondente, maggiorata degli interessi e della rivalutazione, e al risarcimento del danno per violazione dell'art. 2289 c.c La S.p.A. Grande Albergo Excelsior Vittoria si costituì e chiese il rigetto della domanda di declaratoria dell'invalidità della delibere, e che si determinasse il valore della quota di D.L.G. nella misura dell'1,50% del capitale sociale, stimato al 1996, data del fallimento del socio. Con sentenza non definitiva del 2.9.2002, il Tribunale di Torre Annunziata - sezione distaccata di Sorrento rigettò le domande di invalidità delle delibere di esclusione di diritto di D.L.G. e di trasformazione della società e, con la sentenza definitiva, dichiarò la carenza di legittimazione passiva di F.L. , G. , Fa. e F. , e condannò la Grande Albergo Vittoria S.p.A. al pagamento in favore di D.L.G. della somma di Euro 343.089,60, oltre interessi legali dal 1.1.1997 al soddisfo, provvedendo sulle spese. Con la sentenza impugnata depositata il 9.4.2010 la Corte di appello di Napoli ha rigettato l'appello proposto dal D.L. il quale, per quanto ancora interessa, aveva chiesto accertarsi e dichiararsi che nei confronti del sig. D.L.G. non si è verificata alcuna esclusione, né di diritto, né volontaria, come socio della società Grande Albergo Excelsior di Ugo Fiorentino e C. s.n.c. di conseguenza, dichiararsi nulla la delibera del 3.8.1999 di trasformazione della Grande Albergo Excelsior di Ugo Fiorentino e C. s.n.c. in S.p.A., con denominazione Grande Albergo Excelsior Vittoria S.p.A. nonché l'appello incidentale proposto dalla società la quale, per quanto ancora rileva, aveva così concluso dato atto che la Grande Albergo Excelsior Vittoria S.p.A. ha già corrisposto a D.L.G. la somma di Euro 463.375,83, condannarsi quest'ultimo a restituire alla Grande Albergo Excelsior Vittoria S.p.A. Euro 463.375,83, oltre interessi, rivalutazione dalla data di pagamento al soddisfo in subordine, dato atto che il valore della quota spettante a D.L.G. è di Euro 257.654,00, e dato atto che la Grande Albergo Excelsior Vittoria S.p.A. ha già corrisposto a D.L.G. la somma di Euro 463.375,83, condannarsi quest'ultimo alla restituzione di Euro 205.711,83, o della somma che risulterà in corso di causa, oltre interessi, rivalutazione dal pagamento al soddisfo” . Contro la sentenza di appello D.L.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo. Ha resistito con controricorso la società intimata la quale ha proposto ricorso incidentale affidato a un motivo e ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi. Le parti hanno depositato memorie. 2.1.- Con l'unico motivo di ricorso il D.L. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2288 c.c., 118 n. 2 e 120 l. fall Sebbene non più necessario non essendo applicabile ratione temporis l'art. 366 bis c.p.c. il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto trascritto per ragioni di sintesi se l'esclusione di diritto da una società di persone, collegata dall'art. 2288, 1 comma, c.c. alla dichiarazione di fallimento di un socio, debba essere ritenuta efficace non dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento momento di pericolosità astratta , ma soltanto dal momento in cui la società in bonis compia atti a rilevanza esterna, ovvero da quello in cui il suo patrimonio sia oggetto di azioni o pretese da parte del fallimento del socio pericolosità concreta e se, di conseguenza, la chiusura del fallimento per l'estinzione del passivo dichiarata prima dell'efficacia dell'esclusione sancita dall'art. 2288, 1 comma, c.c. ne comporti l'applicabilità”. 3.1.- Con l'unico motivo di ricorso incidentale non condizionato la società controricorrente denuncia violazione di norme di diritto nonché vizio di motivazione e formula il seguente quesito trascritto per ragioni di sintesi se, qualora la quantificazione del corrispettivo del valore della quota da liquidare in danaro al socio uscente sia determinata secondo i principi dettati dall'art. 2289 c.c. e si determini il valore patrimoniale della società e il valore reddituale della società, riferito agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni in corso, nel rispetto del metodo misto patrimoniale - reddituale di stima si debba procedere alla semisomma dei due addendi”. 3.2.- Col primo motivo del ricorso incidentale condizionato la società resistente denuncia violazione di norme di diritto nonché vizio di motivazione e formula il seguente quesito trascritto per ragioni di sintesi se la delibera di trasformazione di una società di persone in società di capitali regolarmente iscritta nel registro delle imprese alla quale non abbia preso parte un socio escluso nel periodo successivo alla esclusione ma precedente alla sentenza definitiva di riammissione del socio in società sia valida, anche in virtù dell'applicazione dell'art. 2500-bis codice civile”. 3.3.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato la società resistente denuncia violazione di norme di diritto nonché vizio di motivazione e formula il seguente quesito trascritto per ragioni di sintesi se il fallimento di un socio di una società in nome collettivo, in proprio o in estensione del fallimento di altra società nella quale quel socio rivesta la qualità di socio illimitatamente responsabile costituisca giusta causa di esclusione volontaria ex art. 2286 codice civile”. 4.- Osserva preliminarmente la Corte che l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica ai soci, formulata dalla resistente, è infondata, posto che è passata in giudicato la dichiarazione del difetto di legittimazione passiva dei singoli soci. 4.1.- Ciò premesso, va rilevato che l'unico motivo del ricorso principale è infondato. Infatti, la giurisprudenza invocata dal ricorrente n. 17953/2008 è del tutto estranea al thema decidendi, concernendo la questione relativa agli effetti del fallimento delle società di persone ai fini dell'applicazione degli art. 10 e 147 l. fall. che non determina lo scioglimento del vincolo sociale, poiché l'esclusione di diritto del socio che sia dichiarato fallito, prevista dall'art. 2288 cod. civ., applicabile alle società di fatto in virtù del disposto dell'art. 2297 cod. civ., tende a preservare la società in bonis dagli effetti dell'insolvenza personale del socio e non opera, quindi, nell'ipotesi in cui il fallimento del socio sia effetto di quello della società, in forza della responsabilità illimitata del primo per le obbligazioni della seconda”. In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento della società impedisse la dichiarazione di fallimento del socio ai sensi dell'art. 147 legge fall. . Né può giovare al ricorrente la pronuncia richiamata nella memoria ex art. 378 c.p.c., posto che la stessa si riferisce ad ipotesi diversa dalla chiusura del fallimento Sez. 3, n. 6734/2011, secondo la quale la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determina la sua esclusione di diritto dalla società, ai sensi dell'art. 2288 cod. civ. applicabile, come nella specie, ex art. 2293 cod. civ. alla società in nome collettivo - e tuttavia la revoca di tale dichiarazione di fallimento produce la reviviscenza della predetta qualità con effetti ex tunc, quando lo scioglimento del vincolo sociale particolare, pur riferibile al momento dell'originaria dichiarazione di fallimento, non sia seguito dal completo esaurimento, ex art. 72 legge fallim., del rapporto societario pendente mediante la liquidazione della quota societaria stessa ovvero, per la società costituita da due soci, come nella specie, mediante la liquidazione della società, ex art. 2272 n. 4 cod. civ. ne consegue che, non verificandosi alcuno dei predetti eventi, il socio risponde anche dei debiti della società sorti durante il periodo in cui egli è restato assoggettato al fallimento poi revocato . Va ribadito, pertanto, il principio per il quale l'esclusione del socio fallito opera di diritto, sì che correttamente la corte di merito ne ha fatto risalire gli effetti al momento del deposito della sentenza di fallimento. Invero, la tutela bilanciata della società e della massa creditoria del fallimento del socio si realizza, da un lato, evitando alla società l'eventualità pregiudizievole di avere il fallimento nella compagine ed inoltre precludendo al fallimento di vendere la quota a terzi in via esecutiva si realizza, d'altra parte, nel rendere oggetto della massa attiva fallimentare il credito di liquidazione della quota. L'esclusione di diritto del socio fallito, in definitiva, è previsione posta a tutela della stessa società partecipata dal fallito nel contempo detta previsione è correlata col riconoscimento del credito relativo alla liquidazione della quota secondo il valore al momento dell'esclusione di diritto del socio, coincidente con la dichiarazione di fallimento” Sez. 1, Sentenza n. 950 del 1993 . 5.- Il ricorso principale, dunque, deve essere rigettato, con conseguente assorbimento dei due motivi del ricorso incidentale condizionato, mentre l'unico motivo di ricorso incidentale non condizionato è infondato. Invero, la corte di merito ha correttamente applicato il principio per il quale in una società di persone, per la redazione della situazione patrimoniale da assumere - a sensi dell'art. 2289 cod. civ. - a base della liquidazione della quota di un socio uscente, non e possibile - a differenza di quanto si pratica ex art. 2437 cod. civ. in caso di recesso da una società per azioni - fare riferimento all'ultimo bilancio o comunque ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, ma deve aversi riguardo alla sua effettiva consistenza al momento della uscita del socio. Pertanto, posto che l'avviamento come elemento del patrimonio sociale si traduce nella probabilità, fondata su elementi presenti o passati ma proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, nella determinazione del valore di detto bene debbono tenersi in conto non solo i risultati economici della gestione passata ma anche le prudenti previsioni della futura redditività dell'azienda Sez. 1, Sentenza n. 2772 del 23/07/1969 conf. Sez. 1, Sentenza n. 19132 del 03/09/2009 . Nel resto le censure sono inammissibili perché dirette a contestare un accertamento di merito congruamente motivato. Il rigetto di entrambi i ricorsi comporta la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità.