La tutela del marchio debole non è rafforzata dall’uso trentennale

Un marchio debole non cessa di essere tale solo perché utilizzato per un lungo lasso di tempo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3803, depositata il 25 febbraio 2015. Il fatto. Una società conveniva davanti al Tribunale di Bergamo un’altra società per sentirla condannare al risarcimento dei danni da contraffazione del proprio marchio e da concorrenza sleale, per aver realizzato e immesso in commercio un pannello isolante in poliestere di colore azzurro con tonalità prossima al parametro Pantone 290U, identico a quello che da trent’anni contraddistingueva il proprio prodotto Dow. Il Tribunale rigettava la domanda, così come il successivo gravame veniva respinto dalla Corte d’appello di Brescia. Contro tale sentenza la società attrice propone ricorso per cassazione. Il Collegio sostiene che la Corte territoriale ha indicato in maniera congrua le ragioni per le quali il marchio di colore Dow doveva considerarsi debole, pertanto, la motivazione data in sentenza non può essere sottoposta al sindacato di merito in sede di legittimità. Il marchio debole e la sua tutela. Sotto il profilo giuridico il Collegio osserva che un marchio debole non cessa di esserlo solo perché usato per un lungo lasso di tempo. Questa, anzi, è la condizione normale che lascia intatti i limiti di tutela, meno incisiva rispetto a quella prevista per i marchi forti. La tutela dei marchi deboli è limitata al caso di assoluta ripetitività imitativa, dunque, anche una lieve modificazione o aggiunta ne esclude la confondibilità pur in prodotti similari. Nel caso di specie, la Corte d’appello, dopo avere escluso correttamente che la scelta di una tonalità di colore contenesse una peculiare originalità o fosse il portato di un’elaborazione di fantasia difficile da imitare, ha altresì accertato che manca anche il presupposto per il rafforzamento del marchio legato ad un diuturno e pubblicizzato uso esclusivo . Infatti, dall’analisi degli opuscoli pubblicitari prodotti in giudizio appariva esaltato il colore azzurro, ma non emergeva la particolarità della tonalità oggetto di registrazione che parte ricorrente valorizza al fine di sostenere la tesi del rafforzamento del marchio per effetto dell’uso protratto nel tempo. Inidoneità a creare confusione nel pubblico. La Corte territoriale, poi, mettendo in evidenza non solo la natura debole del marchio di colore Dow, ma anche la diversità delle rispettive tonalità, ha correttamente escluso che ci si trovi di fronte ad un caso di confusione, idoneo a creare nel pubblico l’idea di una comunanza di prodotti, frutto di imitazione e causa di potenziale agganciamento parassitario del prodotto successivo a quello già affermatasi e ormai rinomato nel mercato. Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alla rifusione delle spese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 dicembre 2014 – 25 febbraio 2015, n. 3803 Presidente Forte – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1995 la DOW Italia s.r.l., facente parte del gruppo The Dow Chemical company, conveniva dinanzi al Tribunale di Bergamo la A. B. Isolanti s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni da contraffazione del proprio marchio n. , registrato il 28 settembre 1995, e da concorrenza sleale, per aver realizzato e immesso in commercio un pannello isolante in polistirene espanso estruso, di colore azzurro con tonalità prossima al parametro Pantone 290 U, identico a quello che da trent'anni contraddistingueva il proprio prodotto Dow così da renderlo indistinguibile e confondibile, con pericolo di sviamento della clientela. Costituitasi ritualmente, la A. B. Isolanti s.p.a. contestava la fondatezza della domanda. Con sentenza 18 ottobre 2002 il Tribunale di Bergamo rigettava la domanda e condannava la Dow Italia alla rifusione delle spese di lite. Il successivo gravame era respinto dalla Corte d'appello di Brescia con sentenza 21 marzo 2006. La corte territoriale motivava - che meritava conferma la qualificazione di marchio debole, di colore, privo di particolari pregi di originalità e di elaborazione concettuale, attribuita al segno distintivo in questione dal Tribunale di Bergamo - che la caratterizzazione consisteva, infatti, solo in una tonalità di colore azzurro, senza impiego di figure o parole di fantasia cosicché era sufficiente anche una parziale diversità rappresentata dalla sfumatura di colore e dalla presenza di fori e scritte sui pannelli per negarne l'imitazione servile e la contraffazione abusiva tenuto anche conto che la destinazione del prodotto ad una clientela qualificata escludeva, di fatto, il rischio di confusione Avverso la sentenza, non notificata, la Dow Italia proponeva ricorso per cassazione, articolato in otto motivi e notificato il 2 aprile 2007. Deduceva 1 la carenza di motivazione e la falsa applicazione degli articoli 1 e 16 legge sui marchi per la qualificazione come debole del marchio Dow 2 la carenza di motivazione e la violazione degli articoli 1, 16 e 47 bis della legge sui marchi nella parte in cui non era stato riconosciuto il rafforzamento del marchio di colore a seguito del suo uso protratto nel tempo 3 la carenza di motivazione e la violazione degli articoli 1 e 16 della legge sui marchi nell'errato giudizio di accertamento, in concreto, del rischio di confusione. 4 la carenza di motivazione e la violazione degli articoli 1, 11 e 16 della legge sui marchi per aver escluso solo la possibilità di un rischio di confusione tra i prodotti concorrenti, rilevante, semmai, ai fini della concorrenza sleale e non pure di confusione tra i relativi marchi, derivante dalla possibilità di associazione tra i due segni. 5 la violazione degli articoli 1 e 16 della legge sui marchi e la carenza di motivazione nel mancato rilievo che la tutela del marchio ha riguardo anche alle componenti pubblicitarie e qualitative dell'indicazione di provenienza 6 la carenza di motivazione e la violazione di legge nell'omessa disamina della domanda di concorrenza sleale 7 la violazione dell'art. 16 della legge sui marchi nel diniego che il colore azzurro, definito a tinta piena, potesse assurgere a marchio di colore 8 la carenza di motivazione nella qualificazione arbitraria dell'acquirente medio dei pannelli come persona qualificata, esperta e competente come tale, capace di distinguere i due prodotti in ragione della qualità intrinseca. La A. B. Isolanti s.p.a. resisteva con controricorso. La Dow Italia depositava memoria ex art. 378 cod. proc. civile. All'udienza del 17 dicembre 2014 il Procuratore generale ed il difensore della ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo e secondo motivo, da esaminare congiuntamente per affinità di contenuto, la Dow Italia deduce la carenza di motivazione e la falsa applicazione degli articoli 1 e 16 della legge sui marchi. Il motivo è infondato. La corte territoriale ha indicato in modo congruo ed analitico le ragioni per le quali il marchio di colore Dow doveva considerarsi debole e la motivazione si sottrae al sindacato di merito in questa sede, sostanzialmente sollecitato dalla ricorrente. Sotto il profilo giuridico, si osserva, poi, come un marchio debole non cessi di essere tale sol perché utilizzato per un lungo lasso di tempo. Questa è anzi l'ipotesi normale, che lascia intatti i limiti di tutela, meno incisiva che in tema di marchi forti - frutto di fantasia e senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti - bastando anche una lieve modificazione o aggiunta per escluderne la confondibilità pur in prodotti similari Cass., sez. 1^, 27 febbraio 2004 n. 3984 . Nella specie, la corte territoriale, dopo aver esattamente escluso che la scelta di una tonalità di colore contenesse una peculiare originalità o fosse il portato di un'elaborazione di fantasia difficile da imitare, ha pure accertato, in punto di fatto, che dai volantini e dalle locandine pubblicitarie prodotti in giudizio appariva esaltato e sottolineato il colore azzurro, anche nel richiamo letterale del messaggio a tale tinta, senza riferimenti alla tonalità particolare, oggetto di registrazione cosicché risulta mancante lo stesso presupposto per il rafforzamento del marchio legato ad un diuturno e pubblicizzato uso esclusivo. Le ulteriori argomentazioni difensive sul punto tendono a prospettare una difforme valutazione di merito, che non può trovare ingresso in questa sede. Anche il terzo motivo è infondato. Non è esatto che la corte territoriale abbia operato un semplice rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado per escludere la contraffazione del marchio e la confondibilità dello stesso, giacché ha messo in evidenza che anche nella prima fase della produzione dei pannelli da parte della A.B. Isolanti s.p.a. le differenze esistenti, anche di tonalità, erano comunque sufficienti ad escludere l'imitazione servile costituente la violazione del marchio debole. Si tratta di un accertamento di fatto che non può essere sindacato in questa sede al di là del rilievo che il riferimento alla difforme tonalità esclude pure che si sia trattato di una disamina concreta dei prodotti, anziché del giudizio di astratta confondibilità voluto dalla legge. Del pari inesatta appare la censura di cui al quarto motivo, relativa alla comparazione tra prodotti, anziché tra marchi, che sarebbe stata operata nella specie, dal momento che si fa espresso riferimento, per contro, a quella particolare tinta catalogata nella scala Pantone contraddistinta con la sigla 290U. Al riguardo, premesso che l'art. 1, lett. 6 della legge sui marchi ora art. 20, primo comma lett.B d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 - Codice della propria industriale contempla una doppia somiglianza tra i segni e fra i prodotti o servizi - tale da produrre il rischio di confusione per il pubblico - si osserva che la possibile associazione tra due segni, pure previsto contestualmente, non è che un caso di confusione e quindi deve ispirare, pur sempre, nel pubblico l'idea di una comunanza di prodotti, frutto di imitazione e causa potenziale di agganciamento parassitario del prodotto successivo a quello già affermatosi e ormai rinomato nel mercato. Proprio ciò che la corte territoriale ha escluso, mettendo in evidenza non solo la natura debole del marchio di colore Dow Italia, ma anche la diversità delle rispettive tonalità. Anche la trasformazione del marchio debole in marchio forte, sebbene ammissibile in teoria per effetto dell'uso prolungato e delle campagne pubblicitarie oltre che del successo commerciale , è stato negato, in concreto, sulla base della copiosissima documentazione prodotta in atti dalla Dow Italia e quindi, con valutazione di merito non soggetta a riesame in questa sede. Con il quinto motivo si lamenta la violazione di legge e la carenza di motivazione nel mancato rilievo che la tutela del marchio ha riguardo anche alle componenti pubblicitarie e qualitative dell'indicazione di provenienza. La doglianza è sostanzialmente ripetitiva di quelle precedenti, risolvendosi nel diniego del diritto della A.B. Isolanti s.p.a. di fare uso di un colore simile a quello registrato dalla Dow Italia. Ma la corte territoriale ha spiegato con chiarezza che si tratta di un marchio debole, la cui tutela è limitata al caso di assoluta ripetitività imitativa evenienza, esclusa in punto di fatto con motivazione immune da vizi logici, insindacabile in punto di fatto. Inammissibili sono poi i riferimenti a risultanze istruttorie riguardanti le tecniche utilizzate per la fabbricazione dei prodotti, neppure richiamate nella sentenza impugnata. Con il sesto motivo si censura la carenza di motivazione e la violazione di legge nell'omessa disamina della domanda di concorrenza sleale. Il motivo è infondato. Premessa l'irrilevanza della censura riguardante la qualificazione di domanda subordinata attribuita dalla corte all'azione di concorrenza sleale - dal momento che la stessa è stata poi puntualmente esaminata e respinta - si osserva come il giudizio di inconfondibilità dei prodotti sia sorretto da un'adeguata motivazione che la parte intende contestare nel merito. La doglianza appare ripetitiva delle precedenti, del resto, nella parte in cui richiama ancora una volta l'attività di contraffazione del marchio mediante uso di segni identici, ed inammissibile nella parte in cui fa riferimento a risultanze istruttorie, quali le deposizioni testimoniali, non esaminabili direttamente in sede di legittimità, oltre che risolventesi, in realtà, in un difforme apprezzamento sulla somiglianza dei prodotti. Anche il settimo motivo è infondato. La censura è frutto di un'erronea ricostruzione della ratio decidendi della corte d'appello. Quest'ultima non ha enunciato, infatti, il principio di diritto che il colore azzurro non possa assurgere a marchio di colore essendo una tinta piatta , e quindi inidonea a contraddistinguere un prodotto. Ciò che la corte, invece, ha inteso rilevare è che dagli opuscoli pubblicitari prodotti non emergeva quella particolare sfumatura individualizzate del colore azzurro dei pannelli, corrispondente al codice 290u della guida Pantone, valorizzata dalla Dow al fine di sostenere la tesi del rafforzamento del marchio per effetto dell'uso protratto nel tempo. La stessa corte richiama, in sentenza, le diversità di colore tra i pannelli delle due società sottolineate dal primo giudice onde, la censura non coglie nel segno quando le attribuisce, nell'intento di contestarla, un'affermazione di principio non pertinente alla fattispecie concreta. L'ultimo motivo, con cui si denunzia la carenza di motivazione nella qualificazione arbitraria dell'acquirente dei pannelli come persona qualificata, esperta e competente, resta assorbito dalle statuizione precedenti, non rivestendo più alcuna autonoma rilevanza nell'iter argomentativo della decisione oltre a tradursi in una difforme apprezzamento di merito, insuscettibile di riesame in questa sede. Il ricorso è dunque infondato e dev'essere respinto con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. P.Q.M. - Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate in Euro10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per compenso, oltre le spese forfettarie e gli accessori di legge.