L’atto di frode rilevante ai fini della revoca dell’ammissione deve essere accertato dal commissario giudiziale

E’ estraneo alla qualificazione di atto di frode” il comportamento del debitore che, già nel ricorso, aveva indicato gli atti di disposizione del patrimonio, stipulati anteriormente, implicanti la concessione di diritti di godimento a terzi e che, successivamente esaminati dal commissario giudiziale, erano stati suscettibili di depauperare il detto patrimonio.

Al centro dell’attenzione la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, ex art. 173, l. fall. In particolare, nel caso in esame, i commissari giudiziali avevano rilevato atti di frode degli amministratori-soci, che avevano comportato un notevole aggravio dell’indebitamento quando la società era già in evidente stato di insolvenza, tali da indurre il tribunale a revocare l’ammissione al concordato stesso. Dopo la riforma di cui al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, la nozione di atto in frode”, che opera - ai sensi del primo comma della disposizione fallimentare citata - esige - alla luce del criterio ermeneutico letterale, ex art. 12 Preleggi che la condotta del debitore sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dunque, che esse siano state accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori. Alla stregua di detto principio, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3543 del 14 febbraio 2014 ha ritenuto estraneo alla qualificazione di atto di frode” il comportamento del debitore che, già nel ricorso, aveva indicato gli atti di disposizione del patrimonio, stipulati anteriormente, implicanti la concessione di diritti di godimento a terzi e che, successivamente esaminati dal commissario giudiziale, erano stati suscettibili di depauperare il detto patrimonio. L’odierna decisione si pone, quindi, in consapevole continuità con un precedente di legittimità v. Cass. 13817/2013 , espressamente richiamato in motivazione, nella parte in cui afferma che l’atto di frode, per avere rilievo per la revoca dell’ammissione deve essere accertato” dal commissario giudiziale e quindi dallo stesso scoperto. Il fatto. Il caso di specie origina dall'impugnazione per cassazione presentata da parte di una S.r.l. avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Ancona aveva respinto il suo reclamo contro il decreto del Tribunale del capoluogo marchigiano che ne aveva rigettato la richiesta di omologa del concordato preventivo. In particolare, la Corte territoriale precisava che i Commissari, nella relazione, ed il Tribunale, nel decreto reclamato, avevano fatto riferimento ad una serie di comportamenti della società, rientranti nella categoria degli altri atti di frode” di cui all’art. 173 l. fall. Si tratta di condotte dolosamente dissipatorie o distruttive del patrimonio aziendale, atte a determinare o aggravare lo stato di crisi o di insolvenza, sì da far ritenere la presentazione del programma di ristrutturazione quale atto finale di una preordinata strategia messa in atto dagli amministratori al solo fine di evitare il fallimento, né può incidere a riguardo il consenso asseritamente informato dei creditori nella specie – rileva la Corte di merito – la società per anni, e sino alla presentazione della domanda di concordato, aveva aggravato in modo assai consistente l’indebitamento, quando si trovava in evidente stato di crisi e di insolvenza attraverso concessione di prestiti, e la sottoscrizione di garanzie rilasciate nell’interesse della società controllante e di altre società in qualche modo collegate, riferibili allo stesso gruppo imprenditoriale. La società soccombente attivava quindi la tutela in legittimità articolando due motivi di censura. Tuttavia gli Ermellini respingono in toto il ricorso riconoscendo come la Corte del merito avesse reso corretta applicazione dell’art. 173 l. fall. Difatti, la predetta S.r.l. aveva posto in essere una condotta obiettivamente ingannatoria e fraudolenta, sottacendo ai creditori che le operazioni, dalle quali era conseguita la diminuzione del patrimonio sociale, erano state perfezionate quando la società si trovava in stato di insolvenza e mediante la commissione di violazioni reiterate dei doveri di diligenza e prudenza, oltre che allo scopo di beneficiare la controllante e le collegate. La revoca dell’ammissione al concordato ante riforma. Il corso normale della procedura di concordato preventivo può essere interrotto allorquando si verifichino fatti o situazioni che ne precludano la prosecuzione. Nel sistema ante riforma era previsto all’art. 173 l. fall., che ove il commissario giudiziale avesse accertato che il debitore aveva occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, ovvero ove fosse stato accertato che il debitore aveva compiuto atti non autorizzati ex art. 167 l. fall. o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, ovvero, ancora se in qualunque momento fosse accertato che mancavano le condizioni per l’ammissibilità del concordato, il tribunale, avrebbe potuto anche d’ufficio dichiarare il fallimento del debitore. Tale disposizione si inseriva perfettamente e coerentemente nel sistema complessivo della disciplina del concordato preventivo, in quanto il presupposto delle due procedure lo stato d’insolvenza era comune. Il concordato veniva considerato come un beneficio per l’imprenditore meritevole e quindi se veniva accertato che non vi erano le condizioni per un giudizio di meritevolezza il beneficio doveva essere immediatamente revocato sì da determinare l’inevitabile fallimento. Abrogazione del fallimento d’ufficio. La dichiarazione di fallimento su iniziativa officiosa del tribunale deve ritenersi abrogata anche per l'ipotesi prevista dall'art. 173 l. fall., nel testo riformato dal d.lgs. n. 5/2006 cd. regime intermedio ovvero nell'ipotesi di dolosa e fraudolenta dissimulazione dell'attivo e del passivo da parte del debitore ammesso al concordato preventivo, poiché la successiva abrogazione espressa introdotta dal decreto correttivo n. 169/2007 che all'art. 173, comma 2, subordina la declaratoria di fallimento all'istanza del creditore o alla richiesta del P.M. ha valore esplicativo di un sistema, che, già nel precedente testo, aveva espunto l'iniziativa officiosa anche nelle ipotesi residue”, rappresentando una norma immanente nel sistema riformato, improntato alla terzietà del giudice fallimentare ed alla conseguente natura antitetica a tale filosofia di tutte le iniziative officiose volte alla dichiarazione di fallimento. Pertanto, caduta ad opera delle riforme del 2006-2007, l’iniziativa officiosa, è venuta meno l’automaticità del passaggio dal concordato al fallimento, passaggio che è oggi possibile soltanto a condizione che vi sia l’espressa domanda dei soggetti legittimati, che si svolga una regolare istruttoria prefallimentare, ai sensi dell’art. 15 l. fall., e che, all’esito di quest’ultima, si accerti che l’imprenditore versi in stato d’insolvenza. L’accertamento delle ipotesi fraudolente spetta al commissario giudiziale. L’art. 173 l. fall. riserva al commissario giudiziale la denuncia delle ipotesi di atti fraudolenti da parte del debitore. La norma in esame prevede espressamente il potere di iniziativa del commissario giudiziale e, comunque, deve ritenersi che l’accertamento delle ipotesi fraudolente spetti allo stesso commissario, che deve subito riferire in merito al tribunale, il quale, operate le dovute indagini, apre d’ufficio la procedura di revoca dell’ammissione. In altri termini, pur non essendo necessaria la previsione di una vera e propria domanda di apertura del procedimento di revoca, deve ritenersi occorra, comunque, una denuncia-dichiarazione da parte del commissario di fatti fraudolenti, in ragione dei quali il tribunale d’ufficio, cioè senza necessità di una vera e propria domanda da parte di un soggetto, che del resto non è parte processuale, può iniziare il procedimento di revoca di un pregresso provvedimento di ammissione. Gli atti di frode. Nella disciplina concorsuale riformata, essendo venuto meno il presupposto soggettivo della meritevolezza, non ogni atto di frode può costituire ragione di arresto della procedura, ma soltanto quelli che abbiano l’attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo, in particolare, l’esistenza di parte dell’attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 dicembre 2013 - 14 febbraio 2014, n. 3543 Presidente Vitrone – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo Con decreto depositato il 28 dicembre 2010, la Corte d'appello di Ancona ha respinto il reclamo della J.A.M. s.r.l. avverso il decreto del Tribunale di Ancona del 30/7- 9/9/2010, di rigetto della richiesta di omologa del concordato preventivo . In pendenza del giudizio di omologazione, il Tribunale, d'ufficio, aveva avviato il procedimento di revoca dell'ammissione al concordato, ex articolo 173 l.f., nel testo riformato applicabile ratione temporis, poiché i Commissari avevano rilevato atti di frode degli amministratori-soci, che avevano comportato un notevole aggravio dell'indebitamento quando la società era già in evidente stato di insolvenza, e successivamente il Tribunale aveva respinto la richiesta di omologa rectius , revocava l'ammissione al concordato . La Corte d'appello ha respinto il primo motivo, rilevando che i Commissari, nella relazione, ed il Tribunale, nel decreto reclamato, avevano fatto riferimento ad una serie di comportamenti della società, rientranti nella categoria degli altri atti di frode , di cui all'articolo 173, 1 comma l.f., e che non era corretta l'impostazione della reclamante, intesa a negare la riconducibilità delle condotte dissipatorie e distrattive poste in essere prima della domanda di ammissione alla procedura a detta categoria, per trattarsi di atti privi di idoneità ingannatoria per le determinazioni di voto dei creditori concordatari. Secondo la Corte del merito, tra gli altri atti di frode di cui all'articolo 173 l.f. rientrano tutte quelle condotte dolosamente dissipatorie o distrattive del patrimonio aziendale, atte a determinare o aggravare lo stato di crisi o di insolvenza, sì da far ritenere la presentazione del programma di ristrutturazione quale atto finale di una preordinata strategia messa in atto dagli amministratori al solo fine di evitare il fallimento, né può incidere a riguardo il consenso asseritamente informato dei creditori nella specie, la società per anni, e sino alla presentazione della domanda di concordato, aveva aggravato in modo assai consistente l'indebitamento, quando si trovava in evidente stato di crisi e di insolvenza, attraverso concessioni di prestiti, e la sottoscrizione di garanzie rilasciate nell'interesse di società controllante e di altre società in qualche modo collegate, riferibili allo stesso gruppo imprenditoriale operazioni di compensazione di poste attive con altrettante poste passive, per rilevantissime somme di danaro, in cui non risulta neanche documentata l'effettiva entità del debito compensato e le altre condotte segnalate nella relazione ex articolo 172 l. fall. . Non era peraltro tale condotta della società priva di valenza ingannatoria, atteso che la stessa si era bene guardata dal riferire in ricorso ai creditori che le condotte di concessione di prestiti, garanzie, compensazioni erano state poste in essere nonostante lo stato di insolvenza ed infatti, all'atto di ammissione alla procedura, la società non aveva chiarito che la riduzione ed il depauperamento della garanzia patrimoniale erano state realizzate allorquando la stessa si trovava in situazione d'insolvenza e dipendevano dalle reiterate gravi violazioni dei propri obblighi, oltre che al fine di beneficare le società collegate e la controllante. Per completezza, la Corte ha esaminato e respinto anche il secondo motivo, relativo al giudizio negativo sulla fattibilità del piano, alla stregua della relazione dei Commissari, evidenziante la stretta dipendenza da una serie di specifiche condizioni di difficile realizzabilità. Avverso detta pronuncia ricorre la società J.A.M. s.r.l., sulla base di due motivi. Gli intimati non hanno svolto difese. Motivi della decisione 1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione articolo 173 l.f., sostenendo di avere dato contezza, nel ricorso e nei documenti allegati, della situazione patrimoniale, delle fideiussioni e svalutazioni operate che i Commissari giudiziali a loro volta hanno informato il ceto creditorio a mezzo della loro dettagliata relazione, ed espresso parere favorevole all'omologazione del concordato che i creditori, infine, hanno votato a favore della proposta, consapevoli degli atti compiuti dalla società debitrice, senza subire alcuna coercizione. Secondo la ricorrente, non ogni atto di frode in senso lato è idoneo a determinare l'interruzione della procedura ai sensi dell'articolo 173 l.f., ma solo quello che abbia un nesso strumentale rispetto alla procedura concorsuale e che sia quindi suscettibile di viziare il consenso sottostante il negozio tra debitore proponente e creditore accettante . 1.2.- Col secondo mezzo, la ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell'articolo 180 l.f., sostenendo che erroneamente la Corte del merito si è espressa sulla convenienza del concordato, giudizio che spetta invece solo ai creditori. 2.1.- Il primo motivo è infondato. La Corte d'appello, premesso che gli altri atti di frode di cui all'articolo 173 l.f., sono costituiti da tutte le condotte dolosamente distrattive o dissipatorie del patrimonio aziendale poste in essere dall'imprenditore tutte le volte in cui esse hanno determinato o concorso a determinare od anche solo ad aggravare lo stato di crisi o quello di insolvenza , con motivazione congrua e logicamente argomentata, ha evidenziato che la società proponente si era ben guardata dal riferire in ricorso ai propri creditori che le condotte di concessione di prestiti, garanzie, compensazioni, erano state poste in essere in stato di insolvenza , così tenendo una condotta ingannatoria. La Corte del merito ha pertanto ritenuto che la società aveva posto in essere una condotta obiettivamente ingannatoria e fraudolenta, sottacendo ai creditori che le operazioni, dalle quali era conseguita la diminuzione del patrimonio sociale, erano state perfezionate quando la società si trovava in stato di insolvenza e mediante la commissione di violazioni reiterate dei doveri di diligenza e prudenza, oltre che allo scopo di beneficare la controllante e le collegate. Così valutando la fattispecie, la Corte territoriale ha esplicitamente tenuto presente la necessaria correlazione tra la fraudolenza degli atti e la valenza ingannatoria nei confronti del ceto creditorio, precisando che nella specie, la società, con la domanda di ammissione al concordato, si era limitata a rappresentare la ridotta consistenza del proprio patrimonio per effetto degli accordi contrattuali conclusi con la controllante e con gli altri soggetti appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale, ma senza in alcun modo chiarire che la riduzione ed il depauperamento della garanzia patrimoniale si era verificata per effetto delle gravissime e reiterate violazioni ai propri doveri . In tal modo, ritenendo sottaciute dalla società dette circostanze rilevanti per il giudizio del ceto creditorio, la Corte del merito ha reso corretta applicazione dell'articolo 173 l.f., in relazione al quale questa Corte, tra le ultime, si è espressa nella pronuncia 13817/2011, nel senso che in tema di revoca dell'ammissione al concordato preventivo, secondo il procedimento disciplinato dall'articolo 173 l.f., dopo la riforma di cui al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, la nozione di atto in frode, che opera - ai sensi del primo comma della disposizione fallimentare cit. - quale presupposto per detta revoca, esige - alla luce del criterio ermeneutico letterale, ex articolo 12 disp. prel. cod. civ. - che la condotta del debitore sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dunque, che esse siano state accertate dal commissario giudiziale, cioè da lui scoperte , essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori alla stregua di detto principio, il S.C. ha ritenuto estraneo alla qualificazione di atto di frode il comportamento del debitore che, già nel ricorso, aveva indicato gli atti di disposizione del patrimonio, stipulati anteriormente, implicanti la concessione di diritti di godimento a terzi e che, successivamente esaminati dal commissario giudiziale, erano stati ritenuti suscettibili di depauperare il detto patrimonio . 2.2.- Il secondo motivo resta assorbito dalla reiezione del primo. 3.1.- Conclusivamente, va respinto il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo. Non si da pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati. P.Q.M. La Corte respinge il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo.