Il rapporto con i soci è ormai logoro, ma non è un buon motivo per mandare a casa gli amministratori

Il venir meno del rapporto fiduciario è rilevante, ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato, solo quando i fatti che hanno determinato il venire meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 23381, depositata il 15 ottobre 2013. Revocati sei dei sette componenti del c.d.a. con motivazioni infondate. Un attore aveva convenuto in giudizio una società a partecipazione pubblica, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per l’assenza di giusta causa ai fini della revoca deliberata. Infatti, l’esponente era stato nominato membro, e poi presidente, del Consiglio di Amministrazione della s.p.a., ma nonostante il suo impegno nello svolgimento di tale incarico, il Comune – socio di maggioranza della società – aveva chiesto la convocazione dell’assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica. La convenuta aveva contestato la pretesa insussistenza della giusta causa, rilevando il rifiuto opposto dagli amministratori ad alcuni consiglieri comunali che avevano richiesto di accedere agli atti della società e, tra l’altro, il non aver ottemperato a direttive impartite alla società dal Comune. Accolta la domanda dell’attore, la soccombente aveva presentato appello e, una volta rigettato, ricorso per cassazione. La Corte territoriale aveva respinto il gravame rilevando come i comportamenti imputati agli amministratori rappresentassero una mera manifestazione dell’autonomia attribuita dall’art. 2364 c.c. agli amministratori delle società nell’impostazione dell’azione amministrativa. Secondo la ricorrente, l’accertamento della giusta causa di revoca, ai sensi dell’art. 2383 c.c., non può arrestarsi al riscontro di inadempimenti formali da parte dei gerenti, ma deve avere a oggetto anche l’accertamento dell’eventuale logoramento dei rapporti anche umani derivante da comportamenti ostili posti in essere dagli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti. Per la Suprema Corte tale motivo è palesemente infondato, dato che comporta una valutazione meta-giuridica del comportamento degli amministratori e del rapporto fiduciario con la società che è assolutamente estraneo alla normativa cui la ricorrente si richiama. I fatti dedotti come lesivi del pactum fiduciae non hanno la qualità di indicatori di un comportamento inadempiente o inadeguato degli amministratori. Gli Ermellini hanno affermato che la Corte d’Appello ha ricostruito in termini giuridici il rapporto di fiducia che lega gli amministratori alla società. Esso si basa sulla possibilità di revoca del mandato che l’art 2383, comma 3 c.c., attribuisce all’assemblea richiedendo una giusta causa consistente in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi, ma anche in fatti di carattere oggettivo che minino il pactum fiduciae elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dei gestori. Infondata è stata ritenuta anche la seconda doglianza, per le stesse ragioni sopra esposte. Infatti, la società, con un’ulteriore lamentela, ha evidenziato che nel caso di una società di capitali costituita per il raggiungimento di un oggetto sociale, consistente nello svolgimento di un servizio pubblico e partecipata, solo per questo, in via maggioritaria, da un ente pubblico, il rapporto di fiducia che lega l’assemblea agli amministratori presenta profili di delicatezza maggiori rispetto alle altre società di capitali. Piazza Cavour ha dichiarato che la ricorrente pretende in sostanza di annullare il concetto di giusta causa e di imporre una fedeltà degli amministratori al socio pubblico che snaturerebbe completamente la natura privata della società in danno degli interessi della società e della minoranza . Invece, per il Collegio, la Corte distrettuale, ha ben messo in rilievo come il comportamento – risultato sgradito a una componente dell’amministrazione comunale – sia stato coerente con i doveri assunti a seguito del mandato. A tal proposito, i giudici di legittimità hanno precisato che la pretesa dei consiglieri di accedere direttamente alla contabilità sociale è incontestabilmente una pretesa giuridicamente illegittima . Si tratta, quindi di comportamenti che lungi dal dimostrare inadempimenti o inadeguatezze degli amministratori evidenziano, invece, la pretesa del Comune di godere di una situazione di privilegio nei rapporti con la società assolutamente ingiustificata . Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato. Â

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 giugno - 15 ottobre 2013, n. 23381 Presidente Salmé – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Con citazione del 6 aprile 2005 G R. ha convenuto in giudizio la società Casoria Ambiente s.p.a., società a partecipazione pubblica, costituita, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 142/1990, per l'organizzazione e la gestione del servizio di nettezza urbana, esponendo i seguenti fatti. 2. L'esponente era stato nominato membro del Consiglio di Amministrazione della società e a tale nomina era seguita quella a Presidente dell'organo amministrativo della società. Nonostante il suo impegno nello svolgimento di tale incarico il Comune di Casoria, socio di maggioranza della Casoria Ambiente s.p.a., con nota del 19 novembre 2004, aveva chiesto la convocazione dell'assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica. L'assemblea convocata a tal fine aveva deliberato, in data 10 gennaio 2005, la revoca di sei dei sette componenti del c.d.a., fra cui il R. , con motivazioni del tutto infondate. 3. In conseguenza di tali fatti G R. ha chiesto la condanna della società Casoria Ambiente s.p.a. al risarcimento dei danni ex art. 2383, terzo comma, c.c. per l'assenza di giusta causa ai fini della revoca deliberata. 4. La società convenuta si è costituita contestando la pretesa insussistenza della giusta causa. In particolare ha rilevato il rifiuto opposto dagli amministratori ad alcuni consiglieri comunali che avevano richiesto di accedere agli atti della società, il non aver ottemperato a direttive impartite alla società dal Comune di Casoria, l'aver proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dal Comune, l'inottemperanza agli indirizzi formulati dall'assemblea del 2 dicembre 2004, la mancata presentazione della situazione reddituale e della relazione semestrale richieste dal bando per l'incarico di gestione del servizio affidato alla società. 5. Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 11345/2005 ha accolto la domanda del R. e condannato la Casoria Ambiente s.p.a. al pagamento a titolo di risarcimento del danno della somma di 46.500 Euro, oltre interessi e spese. 6. Ha proposto appello la società rilevando che la giusta causa di revoca può ben consistere non solo nell'inadempimento dell'amministratore ai suoi obblighi ma anche in situazioni sopravvenute che compromettano il necessario rapporto di affidamento con la compagine dei soci. L'appellante ha inoltre sottolineato la qualità di società a partecipazione pubblica della Casoria Ambiente s.p.a. e ha affermato che tale qualità imponeva una particolare attenzione al soddisfacimento dell'interesse del socio pubblico che gli amministratori non avevano dimostrato ponendo in essere i comportamenti già rappresentati al giudice di primo grado. 7. La Corte di appello di Napoli ha respinto il gravame rilevando come i comportamenti imputati agli amministratori, e in particolare al R. , rappresentano una mera manifestazione dell'autonomia attribuita dall'art. 2364 cod. civ. agli amministratori delle società nell'impostazione dell'azione amministrativa. Per altro verso la Corte napoletana ha contestato la fondatezza dell'assunto secondo cui gli amministratori di società a partecipazione pubblica siano tenuti a rispettare le direttive dell'ente pubblico o a derogare alla disciplina relativa all'accesso agli atti della società o a privilegiare l'interesse del socio pubblico nei rapporti con la società e ha inoltre rilevato che la dedotta inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive indicate dall'assemblea appaiono strumentali dati i tempi assolutamente ristretti nei quali è avvenuta la revoca del R. rispetto a quelli ben più lunghi e ancora disponibili per l'adempimento dei predetti obblighi e direttive. 8. Contro la sentenza della Corte di appello ricorre per cassazione Casoria Ambiente s.p.a. affidandosi a due motivi di ricorso, illustrati con memoria difensiva. 9. Si difende con controricorso G R. . 10. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2383 c.c. e l'insufficiente e contraddittoria motivazione. La ricorrente ritiene che l'accertamento della giusta causa di revoca dell'amministratore da parte dell'assemblea di società di capitali, ai sensi dell'art. 2383 c.c., non possa arrestarsi al riscontro di inadempimenti formali da parte dei gerenti e della sussistenza in questi di requisiti di professionalità, diligenza e di attitudine all'adempimento mentre deve avere ad oggetto anche l'accertamento dell'eventuale logoramento dei rapporti anche umani derivante da comportamenti ostili posti in essere dagli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti. 11. Il motivo è palesemente infondato dato che comporta una valutazione meta-giuridica del comportamento degli amministratori e del rapporto fiduciario con la società che è assolutamente estraneo alla normativa cui la ricorrente si richiama e che peraltro devierebbe gli amministratori dal loro compito istituzionale della gestione nell'interesse generale della società e non dei singoli soci. La Corte di appello ha ricostruito in termini giuridici il rapporto di fiducia che lega gli amministratori alla società e che si basa sulla possibilità di revoca del mandato che l'art. 2383 comma 3 c.c. attribuisce all'assemblea richiedendo una giusta causa consistente non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall'incarico ma anche in fatti di carattere oggettivo che minino il pactum fiduciae elidendo l'affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dei gestori. Erra quindi la società ricorrente quando ritiene che la Corte si doveva limitare ad accertare il venir meno del rapporto fiduciario perché tale presupposto, che del resto è implicito nella delibera di revoca, è rilevante, ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato, solo quando i fatti che hanno determinato il venire meno dell'affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore. Altrimenti lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza che legittima da un lato il recesso ad nutum ma legittima altresì l'amministratore revocato senza una giusta causa a richiedere il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato. 12. La Corte di appello, con motivazione ampia e priva di incongruenze logiche, ha dimostrato le ragioni per le quali ha ritenuto che i fatti dedotti come lesivi del pactum fiduciae non avessero affatto la qualità di indicatori di un comportamento inadempiente, o inadeguato sotto il profilo delle capacità gestionali, degli amministratori. A fronte di tali motivazioni la società ricorrente ripropone le stesse argomentazioni che vanno ritenute inidonee a comprovare un vizio motivazionale della sentenza impugnata. 13. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2383 e 2449 c.c. sistematicamente interpretati ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c Secondo la ricorrente, nel caso di una società di capitali costituita per il raggiungimento di un oggetto sociale, consistente nello svolgimento di un servizio pubblico e partecipata, solo per questo, in via maggioritaria, da un ente pubblico territoriale, come il Comune di Casoria, il rapporto di fiducia che lega l'assemblea dei soci agli amministratori presenta profili di delicatezza maggiori rispetto alle società di capitali che non hanno come oggetto sociale lo svolgimento di un servizio pubblico e impone al giudice di merito una valutazione più ampia ai fini dell'accertamento della giusta causa di revoca, comprendendo anche il semplice logoramento dei rapporti fra amministratori e soci. 14. Il motivo è infondato per le stesse ragioni esposte relativamente al primo motivo. La società ricorrente pretende in sostanza di annullare il concetto di giusta causa e di imporre una fedeltà degli amministratori al socio pubblico che snaturerebbe completamente la natura privata della società in danno degli interessi della società e della minoranza oltre che, in ipotesi, nel caso di società partecipata per motivi di pubblico interesse, anche degli stake-holders a cui vantaggio la partecipazione pubblica è prevista. Cosi, nel caso in esame, la Corte di appello ha ben messo in rilievo come il comportamento degli amministratori, risultato sgradito a una componente dell'amministrazione comunale sia pure maggioritaria, sia stato coerente con i doveri assunti a seguito del mandato ad amministrare la società. In particolare, a fronte di un comportamento inadempiente del Comune quale contraente della società, gli amministratori non potevano che agire in giudizio perché fossero rispettati i diritti della società derivanti dal rapporto contrattuale con il Comune. Allo stesso modo la pretesa dei consiglieri di accedere direttamente alla contabilità sociale ò incontestabilmente una pretesa giuridicamente illegittima e un comportamento collusivo degli amministratori avrebbe posto in essere una violazione delle norme che regolano i rapporti fra società e soci. Si tratta quindi palesemente di comportamenti che lungi dal dimostrare inadempimenti o inadeguatezze degli amministratori evidenziano invece la pretesa del Comune quale socio di maggioranza di godere di una situazione di privilegio nei rapporti con la società assolutamente ingiustificata. Infine la Corte di appello ha argomentato congruamente e esaustivamente sul carattere strumentale delle altre doglianze sia perché espressive dell'imputazione di inadempimenti inesistenti in relazione al mancato decorso dei termini per il compimento dei doveri gravanti sugli amministratori sia perché espressive di una inesistente soggezione degli amministratori alle direttive del Comune quale socio di maggioranza. 15. il ricorso va pertanto respinto con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 5.200,00 Euro di cui 200,00 per spese.