Una denominazione geografica non più ufficialmente usata rimane pienamente valida ed efficace, se la sua notorietà perdura

La denominazione geografica continua a rivestire piena validità ed efficacia quando la sua notorietà perdura, ancorché essa non sia più ufficialmente usata, se rimasta nell’uso comune del linguaggio e se, comunque, continua a rimanere nota alle popolazioni.

Così statuendo, la Prima sezione Civile di Cassazione ha accolto, con sentenza n. 21023, depositata il 13 settembre 2013, il ricorso proposto da un Ente ceco volto al rispetto di pregressi accordi con una Società americana, entrambi produttori di birra, il quale aveva come oggetto il rispetto di un pregresso accordo sull’utilizzo di un marchio, recante come nome uno derivante da una località geografica ceca, non più attuale. Il caso. Una Società americana conveniva dinanzi al nostro Tribunale Ordinario un Ente pubblico ceco, anch’esso produttore di birra, sulla base del commercio, in territorio italiano, di birre prodotte dal convenuto Ente, in quanto il nome usato era un marchio già registrato dall’attrice e usato, a sua volta, dalla stessa attrice di tale preuso, oltretutto, vi era stato già un pregresso accertamento giudiziario e, pertanto, si rilevava, nel giudizio de quo , l’aver usato l’incriminato marchio in mala fede, stante le due intercorse pronunce di merito, sempre da parte del Giudice italiano. Il convenuto Ente, invece, rilevava come i marchi già dichiarati nulli fossero diversi da quelli oggetto di domanda il marchio dell’attrice era da ritenersi nullo perché ingannevole, facendo ritenere di provenienza ceca una birra prodotta in America la registrazione effettuata dalla Società fosse stata fatta in mala fede, giacché essa era a conoscenza che l’Ente convenuto già utilizzava il medesimo marchio e, comunque, aveva lasciato che questi lo utilizzasse per un tempo sufficientemente lungo, pari a cinque anni. Il convenuto Ente, inoltre, proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo gli fosse consentito di fare, comunque, uso del marchio in esame e gli fosse riconosciuto il risarcimento danni, sulla base di un precedente accordo intercorso dieci anni prima tra le medesime parti ora in lite, patto che consentiva l’uso di tale marchio in America nonché in tutti gli altri Paesi del Mondo. Interveniva in giudizio anche il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che aderiva alle domande e alle posizioni del convenuto Ente. Il Giudice di prime cure, dichiarato inammissibile l’intervento del Ministero per mancanza di interesse giuridico, accoglieva la domanda della Società attrice. Il condannato Ente proponeva, allora, appello, rilevando, in particolare, come la parola usata quale marchio, corrispondendo al luogo di produzione della birra, andasse utilizzava giustappunto solo dall’Ente medesimo, e non pure dalla americana Società, anche perché, nel frattempo, con l’adesione, nel 2003, della Repubblica Ceca alla Unione Europea, con il Trattato di Atene, la parola di cui al marchio era divenuta di origine protetta il Giudizio presso il Tribunale meneghino non potesse sovrapporsi a quello odierno, incardinato presso il Tribunale romano, avendo, in realtà, petitum differente in verità, l’uso da parte dell’Ente ceco avesse radici lontanissime nel tempo addirittura, al 1920 , a dispetto dell’utilizzo americano, avvenuto in epoca molto più recente, e fosse già stato oggetto di accordi altrettanto lontani nel tempo databili begli anni 1911 e 1939 . Di nuovo sconfitto, anche in sede di gravame, l’Ente ceco proponeva, così, ricorso per cassazione. Illecita la registrazione del marchio volto ad ingannare il pubblico. La Suprema Corte accoglie il ricorso per legittimità, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Roma, compensando le spese tra la Società attrice e l’intervenuto Ministero. La Corte di Cassazione, sulla base di uno degli otto motivi di ricorsi avanzati dall’Ente ceco, ritenuto dirimente e assorbente rispetto agli altri sette, accoglie la denuncia di illiceità della registrazione del marchio della Società, ora resistente, in quanto idoneo ad ingannare il pubblico circa l’ambiente di origine o i pregi del prodotto per il quale il marchio è stato depositato. Tutto il ricorso – affermano gli ermellini – si basa sulla considerazione che i nomi geografici usati in passato e non più attuali non possono continuare a costituire indicazioni di provenienza geografica , ma l’assunto è del tutto errato non è vero che la legge pone divieto di usare denominazioni e/o nomi geografici solo se attualmente previsti secondo la legislazione e le disposizioni amministrative vigenti, come si può bene evincere dal dettato di cui all’art. 29, Codice della Proprietà Industriale anzi, l’art. 14, Codice Penale fa unicamente riferimento, in maniera generica, alla sola provenienza generica”. La denominazione geografica continua, infatti, a rivestire piena validità ed efficacia quando la sua notorietà perdura, ancorché essa non sia più ufficialmente usata, se rimasta nell’uso comune del linguaggio e se, comunque, continua a rimanere nota alle popolazioni.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 giugno - 13 settembre 2013, n. 21023 Presidente Salmè – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con atto notificato il 17 maggio 2002, ANHEUSER BUSCH INC. A.B. , società americana produttrice di birra, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la BUDEJOVJCKY BUDVAR B.B. ente pubblico della Repubblica Ceca, anch'esso produttore di birra, esponendo che,di recente, aveva rilevato che sul mercato italiano erano in commercio birre prodotte dalla società convenuta recanti il marchio BUDWEISER che tre marchi internazionali contenenti tale parola risultavano registrati dalla B.B. nel 1994 e nel 1997 che i marchi dovevano ritenersi nulli per difetto di novità, dato che la parola in questione era usata da molti decenni da essa società attrice quale marchio della birra da essa prodotta in America che il preuso era già stato accertato in altra causa incardinata tra le stesse parti innanzi al Tribunale di Milano, promossa da essa società per far dichiarare la nullità di altri nove marchi registrati dalla B. B. per le birre di sua produzione contenenti la medesima parola, causa conclusasi, sia in primo grado che in appello, con sentenze ad essa favorevoli sentenza del Tribunale in data 26 novembre 1998 e sentenza della Corte d'Appello in data 10 dicembre 2000 che la nullità derivava anche, ai sensi dell'art. 22 R.D. n. 919 del 1942 dal fatto che le domande di registrazione del tre marchi erano state depositate in mala fede, ben sapendo all'epoca la B.B. che, in base a quanto era emerso dal giudizio milanese, esisteva un preuso del marchio da parte di essa A.B Chiedeva, pertanto, la declaratoria di nullità dei tre marchi internazionali per la frazione italiana. La B.B., nel costituirsi, contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto. In particolare,deduceva che i marchi dichiarati nulli dal Tribunale di Milano erano diversi da quelli oggetto della nuova domanda che essa società aveva diritto all'uso della parola BUDWEISER in forza di altri marchi registrati in precedenza, sia nazionali che internazionali che,comunque, il marchio usato dalla A.B. sarebbe stato nullo siccome ingannevole perché avrebbe fatto apparire la provenienza da una città ceca di una birra che invece, era prodotta in America con diverse materie prime e diversi processi di lavorazione che la A.B. sarebbe decaduta dal diritto di fare uso del marchio per essere stata depositata la domanda di registrazione in mala fede, nella consapevolezza della esistenza di precedenti registrazioni a nome di essa società, sia per avere lasciato che essa B.B. usasse lo stesso marchio per un periodo di cinque anni. A sua volta, la B.B. proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo che le fosse riconosciuto il diritto di fare, comunque, uso del marchio BUDWEISER quale denominazione di origine geografica protetta e che le fosse riconosciuto il risarcimento del danno per l'inadempimento contrattuale della A.B. per averle impedito, contrariamente all’impegno assunto con contratti del 1911 e del 1939, di consentirle l'uso del marchio in questione oltre che in America, anche in tutti gli altri Paesi del Mondo. Interveniva in giudizio il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali aderendo alla - domande e alle eccezioni della B.B. e chiedendone l'accoglimento. Interveniva il P.M Con sentenza in data 17 maggio 2005, il Tribunale dichiarava inammissibile l'intervento del Ministero per mancanza di un interesse giuridico dichiarava la nullità dei tre brevetti registrati dalla B.B. per la frazione italiana rigettava la domanda riconvenzionale della B.B. e condannava la medesima alla rifusione delle spese in favore della A.B., con compensazione delle spese nei rapporti tra le altre parti. Avverso la sentenza la B.B. proponeva appello, deducendo che il giudicato nel frattempo formatosi nel giudizio milanese a seguito della pronunzia della Corte di Cassazione non era operante nel giudizio romano per la ragione che le due cause avevano petitum e causa petendi diversi - che, comunque, l'uso del marchio BUDWEISER da parte della A.B. era divenuto illecito dopo che, nel 2003, a seguito dell'adesione della Repubblica Ceca alla Unione Europea con il Trattato di Atene, la parola BUDWEISER era divenuta denominazione di origine geografica protetta, come tale utilizzabile solo dalla B.B.,che la birra produceva in quel luogo, e non dalla A.B. che la produceva, invece, in America che la declaratoria di nullità dei marchi pronunciata dal Tribunale di Milano riguardava soltanto uno del marchi contenente la sola parola Budweiser, oltre ad un marchio contenente la parola isolata Bud, e non anche gli altri marchi in cui la parola Budweiser era associata ad altri elementi descrittivi e figurativi che, quindi, il giudicato non poteva estendersi ai marchi oggetto di causa siccome contenenti la parola Budweiser associata ad altri elementi che, peraltro, essa società disponeva di altri marchi contenenti la stessa parola, di epoca antecedente all'uso della A.B. risalenti addirittura al 1920 che l'uso del marchio Budweiser da parte della A.B in Italia era di epoca assai recente e, comunque, posteriore all'uso da parte di essa B.B., così che il marchio della A.B. doveva ritenersi nullo per mancanza di novità che i marchi contenenti la parola Budweiser non erano confondibili con quello oggetto di preuso da parte della A.B., giacché nei marchi stessi vi erano elementi descrittivi e figurativi che li differenziavano da quello americano, grazie alla esistenza di altre parole Budvar e Budbrau , che costituivano il cuore del marchio, e alla grafica riproducente i segni del passato asburgico dell'antica città boema di Budweis che, difatti, nel marchio americano non vi era alcun riferimento all'antico paese ceco e la birra era indicata come americana, prodotta con speciali originali processi non legati ad un territorio che la A.B. doveva, comunque, rispondere del danni per avere violato gli accordi del 1911 e del 1939 con i quali si era impegnata a consentire ad essa B.B. di usare il marchio Budweiser, sia in America che fuori, per la commercializzazione della propria birra. Chiedeva, pertanto, la riforma della gravata sentenza. La A.B.,nel costituirsi, deduceva che la B.B. con l'appello tentava di rimettere in discussione una serie di accertamenti che nella causa milanese erano stati coperti dal giudicato, dopo la pronunzia della Corte di Cassazione intervenuta in data 10 settembre 2002 che,in particolare, dovevano ritenersi circostanze non più discutibili che essa società aveva un diritto di preuso sul marchio risalente al 1930 e che nessun diritto poteva vantare la B.B. sulla parola Budweiser, sia a titolo di marchio che a titolo di denominazione di origine geografica che, quanto a quest'ultima, nemmeno lo ius superveniens, costituito dal Trattato di Atene del 2003, valeva ad assicurare alla B.B. la protezione del marchio Budweiser quale denominazione di origine geografica, atteso che il Trattato aveva dichiarato protette alcune parole in lingua ceca che nulla avevano a che fare con la parola Budweiser che i tre marchi erano nulli anche perché la domanda di registrazione era stata fatta dalla B.B. in mala fede, ossia nella consapevolezza del diritti di preuso della A.B., come era emerso dalla causa in corso innanzi al Tribunale di Milano fin dal 1985 che il marchio Budweiser non era sopravvissuto al giudicato, giacché tutti i marchi dedotti in quel giudizio erano stati dichiarati nulli, nessuno escluso che gli altri pretesi marchi della B.B. antecedenti all'uso della A.B. o non esistevano affatto o non avevano più validità che non si era verificata decadenza dal marchio per il fatto che essa A.B. avrebbe tollerato per oltre cinque anni l'uso del marchio da parte della B.B., nessuna prova al riguardo essendo stata fornita che non poteva più discutersi di un inadempimento di essa A.B. rispetto agli obblighi derivanti dalle convenzioni del 1911 e del 1939, essendosi al riguardo formato il giudicato nel senso della esclusione dell'inadempimento per la diversità del rapporti regolati in quelle sedi che la B.B. doveva essere condannata per lite temeraria. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'appello della B.B., proponendo appello incidentale perché i marchi fossero dichiarati nulli anche per essere state chieste le relative registrazioni in mala fede e perché fosse accolta la domanda per lite temeraria, chiedendo la stessa condanna con riferimento al giudizio di appello. Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, nel costituirsi, proponeva appello incidentate, chiedendo che fosse accolto l'appello della B.B. ed insistendo per l'ammissibilità del suo intervento in prime cure. La A.B. eccepiva l'inammissibilità dell'appello per tardività, essendo stato proposto con la comparsa di risposta dopo che era scaduto il termine breve dalla notifica della sentenza. Nel merito ne chiedeva il rigetto, ritenendo corretta l'esclusione da parte del Tribunale della legittimazione del Ministero all'intervento. La Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 1082/07 rigettava l'appello principale della BUDWEISER BUDVAR e quelli incidentali della Anheuser Busch inc. e del Ministero delle Politiche agricole, condannava la B.B. a rimborsare alla A.B. le spese del grado compensava le spèse nei confronti del Ministero. Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione l'ente ceko con otto motivi. Ha proposto ricorso incidentale il Ministero delle Politiche agricole sulla base di 19 motivi. La società statunitense ha a sua volta proposto controricorso al ricorso principale nonché controricorso e ricorso incidentale sulla base di due motivi avverso il ricorso incidentale del Ministero avverso i quali quest'ultimo resiste con controricorso. Tutte le parti, ad eccezione del Ministero hanno depositato memorie e note d'udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso principale si deduce che il giudicato formatosi per effetto della sentenza della Corte d'appello di Milano, che ha ritenuto che la parola Budweiser non fosse proteggibile come IGP perché la birra boema sarebbe producibile ovunque non essendo le sue caratteristiche legate al territorio, contrasterebbe dal diritto comunitario Trattato di Atene che ha invece disposto che la birra in questione ha caratteristiche irriproducibili altrove e prescrive la protezione di tre indicazioni di provenienza relative alla città di Budejovice. Da ciò conseguirebbe che il giudicato non esplicherebbe nel caso di specie effetti conformativi. Con il secondo motivo si censura l'omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento di protezione di indicazione di provenienza Budweiser” ai sensi della Convenzione di Parigi del 1883, della Convenzione di Madrid del 1891, degli Accordi GATT del 1994. Con il terzo motivo si censura l'omessa pronuncia sulla questione dell'illiceità del deposito della domanda di marchio di controparte nella consapevolezza che esso consisteva in un'indicazione di provenienza di un prodotto protetto dalle norme sulle denominazioni d'origine ed indicazioni geografiche. Con il quarto motivo si denuncia l'illiceità della registrazione di marchio della resistente in quanto idoneo ad ingannare il pubblico circa l’ambiente di origine o i pregi del prodotto per il quale il marchio è stato depositato. Con il quinto motivo, subordinato, si deduce che illegittimamente è stato negato il diritto alla coesistenza di marchi boemi nei quali l'espressione di provenienza Budweiser” compare con una pluralità di altri elementi distintivi, in quanto non confondibili con il marchio avversario, ove mai quest'ultimo non fosse ingannevolmente descrittivo, nonché omissione di pronuncia in merito alla impossibilità di negare il diritto all'uso dell'indicazione di provenienza Budweiser” e della ditta dell'ente pubblico cèco, Budweiser Budvar. Con il sesto motivo si deduce, in ulteriore subordine, anche sotto il profilo del vizio di motivazione,che il giudicato milanese non preclude di delibare la nullità per carenza di novità della registrazione di marchio della ditta americana in quanto, se l'elemento Budweiser” in un marchio fosse sufficiente a travolgere qualunque altro marchio, pur diverso, che quell'elemento contenga, la registrazione di marchio della ditta americana, del 1993, sarebbe contrastata da anteriori marchi registrati dall'ente cèco contenenti tale elemento risalenti addirittura agli anni venti. Con il settimo motivo, in estremo subordine, si censura l'omessa pronuncia sull'inammissibilità della domanda avversaria e quindi l'impossibilità di dichiarare nulli i tre marchi cèchi impugnati in quanto, quand'anche fossero stati in origine confondibili e non nuovi, essi erano stati usati per più trenta anni prima dell'azione avversaria con conseguente loro convalidazione. Con l'ottavo motivo si deduce che nessun giudicato preclude la delibazione della domanda riconvenzionale proposta in ragione dell'avversario inadempimento contrattuale, derivante dalla violazione dell'obbligo assunto di non opporsi all'uso dell'indicazione di provenienza Budweiser nei marchi dell'ente pubblico. Ritiene la Corte che riveste carattere dirimente l'esame del quarto motivo del ricorso principale. Il motivo è fondato. La motivazione della sentenza sul punto è basata sull'unica affermazione che la parola Budweiser non ha nulla a che fare con la denominazione protetta Budejovice, che corrisponde al nome di una attuale città ceka, in quanto, pur se ricavata dalla denominazione tedesca dell'antica città ceka di Budweis, non corrisponde ad alcuna attuale località geografica. Tale motivazione non appare corretta. L'elemento fondamentale su cui essa si basa è la considerazione che i nomi geografici usati in passato e non più attuali non possono continuare a costituire indicazioni di provenienza geografica. Invero nessuna norma prevede che le denominazioni geografiche ovvero i nomi geografici siano solo quelli attualmente previsti secondo la legislazione e le disposizioni amministrative vigenti. A tale proposito, tralasciando le definizioni poste dai vari accordi internazionali in materia Parigi, Madrid, Lisbona, GATT cui il legislatore italiano si è conformato, basta rammentare l'art. 29 del codice della proprietà industriale stabilisce che sono protette le indicazioni geografiche e le denominazione di origine che identificano un paese, una regione o una località . mentre l'art. 14 dello stesso codice prevede l'illiceità di quei segni che sono idonei ad ingannare il pubblico in particolare sulla provenienza geografica . Tale ultimo articolo, applicabile al caso di specie, non fa neppure riferimento a nomi o a denominazioni geografiche ma semplicemente alla ancora più generica provenienza geografica termine di per sé in grado di comprendere qualunque designazione idonea ad indicare la provenienza di un prodotto da un certo ambito geografico. Da questa considerazione inevitabilmente discende che la denominazione geografica continua a rivestire piena validità ed efficacia, ai fini che qui interessano, quando la sua notorietà perdura ancorché essa non sia più ufficialmente usata. È del tutto frequente il caso in cui in un passato, a volte molto antico, località o intere regioni avevano un nome diverso dall'attuale, in alcuni casi espresso in una diversa lingua non più in uso, ma che dette denominazioni sono rimaste nell'uso comune del linguaggio e continuino ad essere note alle popolazioni. In tal caso non è dubbio che i detti nomi debbano, agli effetti che qui interessano, essere considerati come denominazioni geografiche atte di conseguenza ad indicare presso i consumatori la provenienza di un dato prodotto. Va ulteriormente osservato che la questione in esame non è coperta dal giudicato formatosi a seguito della sentenza del 2002 di questa Corte che, nel pronunciarsi sul motivo di ricorso, con cui ci si doleva che la sentenza della Corte d'appello di Milano del 2000 aveva escluso con motivazione carente la protezione prevista dall'Accordo di Lisbona per le indicazioni geografiche in considerazione del fatto che la denominazione in questione era espressa in lingua tedesca anziché in lingua ceca” , ha ritenuto che, avendo il giudice del merito preso in esame la allegata questione della mancanza del milieu ed avendola ritenuta fondata poiché le caratteristiche della birra in questione non dipendevano da fattori naturali o comunque collegabili all'ambito geografico, ed avendo quindi escluso la proteggibilità della stessa ai sensi dell'Accordo di Lisbona, la predetta esclusione assorte la questione relativa all'uso della lingua nella registrazione di cui si tratta essendo comunque essenziale la sussistenza del milieu . A tale proposito questa Corte ha già in diverse occasioni affermato che la declaratoria di assorbimento di una questione non da luogo ad una decisione sul merito, ma di rito e, pertanto, non può formarsi alcun giudicato sulla questione assorbita. Cass. 11798/11 Cass. 10545/08 . Il motivo va pertanto accolto. Da detto accoglimento discende l'assorbimento di tutti gli altri motivi del ricorso principale. In particolare la Corte di rinvio dovrà tenere conto del principio dianzi affermato nel rivalutare la questione posta con il primo motivo del presente ricorso relativo alla protezione accordata come indicazioni geografiche dal trattato di Atene del 2003 a tre denominazioni in lingua ceka della birra prodotta dall'ente ricorrente. Venendo all'esame del ricorso incidentale del Ministero delle Politiche agricole, lo stesso risulta inammissibile. Con i primo quattro motivi si censura la sentenza d'appello laddove ha escluso la legittimazione di detto Ministero. Osserva la Corte che la sentenza in esame si fonda sulla base di due argomentazioni fondamentali consistenti nelle affermazioni che il Ministero non aveva competenza in materia di marchi anche perché riguardanti prodotti esteri e che in materia di marchi la tutela dell'interesse pubblico in giudizio era assicurata dall'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero. Tale seconda ratio decidendi , che riveste di per sé carattere decisivo, non risulta oggetto di impugnazione, onde la pronuncia sul punto è divenuta definitiva ed i primi quattro motivi del ricorso non sono quindi scrutinabili in questa sede. Dal definitivo accertamento della mancanza di legittimazione nel presente giudizio discende anche l'irrilevanza e comunque l'inammissibilità dei restanti quindici motivi. Venendo all'esame del ricorso incidentale di AB, con il primo motivo ci si duole della mancata pronuncia di inammissibilità per tardi vita dell'appello incidentale mentre con il secondo ed il terzo motivo si contesta la compensazione delle spese. Il ricorso è inammissibile perché tardivo. Occorre rilevare che il ricorso principale è stato notificato alla società statunitense l'I.2.08 e quello incidentale del Ministero è stato notificato alla stessa il 12.3.08 mentre la predetta società ha notificato il proprio ricorso incidentale il 21.4.08 oltre, cioè, il termine di 40 giorni dalla ricevuta notifica del ricorso principale. Sul punto questa Corte ha ripetutamente affermato che il ricorso incidentale per cassazione deve essere proposto, ai sensi del secondo comma dell'art. 371 cod.proc.civ., nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale e non dalla notifica di un primo ricorso incidentale, atteso che avverso il ricorso incidentale il quarto comma del detto art. 371 cpc prevede solo la proponibilità del controricorso non anche di un ulteriore ricorso incidentale in questo contenuto, potendo da ciò derivare una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi in contrasto con il principio della proponibilità dell'impugnazione incidentale solo dalle parti contro cui è stata proposta l'impugnazione principale. Cass. 9812/01 Cassl281/03 Cass. 11031/03 Cass. 6282/04 Cass. 16084/05 Cass. 10208/07 Cass. 23215/10 . In conclusione dunque va accolto il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri. Vanno dichiarati inammissibili entrambi i ricorsi incidentali. La sentenza impugnata va cassata quanto al motivo accolto con rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio tra le parti ad eccezione delle spese tra la Anheuser Busch ed il Ministero delle Politiche agricole.La novità costituita dalla questione dell'intervento adesivo in giudizio di una pubblica amministrazione a tutela di un interesse pubblico di carattere generale, nonché la reciproca soccombenza giustificano tra le predette parti la compensazione delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. accoglie il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri dichiara inammissibili entrambi i ricorsi incidentali cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Roma compensando le spese dell'intero giudizio tra la Anheuser Busch ed il Ministero delle politiche agricole e forestali.