L’attività competeva al soggetto già prima del fallimento: il curatore può agire quale suo avente causa

Il curatore fallimentare, quando agisce in giudizio per la restituzione di una somma di denaro che assuma corrisposta indebitamente in epoca antecedente all’apertura della procedura concorsuale, esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio del soggetto sottoposto alla procedura, ponendosi nella stessa posizione sostanziale e processuale che il soggetto avrebbe avuto agendo in bonis .

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23429/12, depositata il 19 dicembre. Il caso. Il Fallimento di una s.r.l. chiede la restituzione di una somma indebitamente percepita a titolo di maggiorazione del canone di affitto, eccependo l’inopponibilità al fallimento della transazione stipulata tra le parti in quanto priva di data certa. Il Tribunale afferma al contrario che la data sarebbe desumibile in riferimento all’avvenuta cancellazione dal ruolo della causa instaurata tra le parti, avvenuta appunto a seguito della sottoscrizione della transazione. Il giudizio è confermato dai giudici di appello, che confermano la possibilità di utilizzo della prova testimoniale per determinare il fatto idoneo ad accertare la data dell’atto di transazione. Il Fallimento ricorre allora per cassazione. I motivi di appello erano indeterminati? Il ricorrente censura anzitutto l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale l’appello avrebbe avuto i necessari caratteri di determinatezza solo per quanto riguarda il tema della possibilità di utilizzo della prova testimoniale. Le doglianze dell’atto di appello si erano concentrate su due punti, uno riguardante il valore della documentazione prodotta in causa dalla convenuta e l’altro sulla motivazione in punto di scientia decoctionis . Gli Ermellini ritengono però che il mancato esame del giudice di appello sul punto sia questione subordinata rispetto alla censura proposta con altro motivo di ricorso e riguardante il modo corretto di applicare l’art. 2704 c.c. in materia di data della scrittura privata. La S.C. concentra pertanto l’attenzione su quest’ultimo punto. A che titolo agisce il curatore? La questione riguardante l’applicabilità del citato articolo postula, infatti, che la transazione intervenuta tra la società, allora in bonis , e la locatrice, sia inopponibile al curatore del fallimento tale inopponibilità postula a sua volta che il curatore agisca nella fattispecie come terzo, a tutela degli interessi dei creditori e senza avvalersi di un’azione presente già nel patrimonio del fallito. Nel caso il curatore agisce come avente causa del fallito. A tal proposito, giurisprudenza consolidata ha affermato che il curatore, quando agisce in giudizio per la restituzione di una somma di denaro che assuma corrisposta indebitamente in epoca antecedente all’apertura della procedura concorsuale, esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio del soggetto sottoposto alla procedura, ponendosi nella stessa posizione sostanziale e processuale che il soggetto avrebbe avuto agendo in bonis . In questi casi, insomma, il curatore non agisce in sostituzione dei creditori, ma come avente causa del fallito, al fine di far entrare nel suo patrimonio attività che gli competevano già prima della dichiarazione di fallimento. Dall’applicazione di tale principio di diritto deriva l’assorbimento delle altre questioni sollevate per questo motivo la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 novembre – 19 dicembre 2012, n. 23429 Presidente Plenteda – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. Con sentenza in data 22 aprile 2003, il Tribunale di Firenze respinse la domanda proposta con citazione 14 novembre 1997 dal Fallimento Studio Odeon s.r.l., volta a ottenere - per quel che qui ancora rileva - la restituzione, ex art. 2033 c.c. della somma di £ 439.181.156, indebitamente percepita a titolo di maggiorazione di canone d'affitto, in base a un contratto d'affitto d'azienda stipulato inter partes il 25 luglio 1984. La convenuta aveva dedotto che il pagamento chiesto in restituzione era giustificato dalla transazione stipulata il 30 settembre 1992, ma il curatore aveva eccepito l'inopponibilità di tale atto al fallimento, perché privo di data certa. Il tribunale ritenne che la certezza della data dovesse dedursi dalla sua anteriorità alla cancellazione dal ruolo 8 giugno 1993 della causa instaurata, nel marzo del 1990, dalla società allora in bonis , per ottenere la restituzione dei maggiori canoni pagati dal gennaio 1988. A questo riguardo, il Tribunale utilizzò le deposizioni testimoniali dei due legali delle parti, che avevano riferito che la causa fu cancellata dal ruolo dopo la sottoscrizione della transazione. 2. Con sentenza in data 22 dicembre 2005, la Corte d'appello di Firenze ha confermato il giudizio del tribunale. La corte territoriale ha circoscritto l'esame dell'appello al motivo vertente sulla possibilità - contestata - di utilizzare la prova testimoniale per determinare il fatto idoneo ad accertare la data dell'atto di transazione opposto al fallimento, giudicando che questo fosse l'unico motivo dotato dei necessari requisiti di determinatezza. In particolare, tenuto conto del valore attribuito al contenuto della prova testimoniale, per escludere la fondatezza della domanda attrice, la corte ha ritenuto superfluo affrontare il tema della posizione del curatore che agisce in ripetizione d'indebito, e cioè se egli debba considerarsi terzo oppure parte. 3. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 15 marzo 2006, ricorre il fallimento per cinque motivi, con atto notificato l'11 maggio 2006. Resiste il fallimento con controricorso. Ragioni in fatto e in diritto della decisione 4. Con i primi due motivi si censura l'affermazione della corte territoriale, che l'appello avesse i necessari caratteri di determinatezza dei motivi unicamente riguardo al tema della possibilità di utilizzare la prova testimoniale per determinare il fatto idoneo ad accertare la data dell'atto di transazione opposta al fallimento. L'affermazione, immotivata, sarebbe all'origine della violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sugli altri motivi di gravame. A questo riguardo, il fallimento richiama innanzi tutto un passo del suo atto d'appello, in cui contestava il valore - sotto il profilo dell'applicabilità dell'art. 2704 c.c. - della documentazione prodotta dalla società avversaria, con l'inciso se essa provi in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento ed è su questo punto che la sentenza di primo grado contiene a nostro avviso un insanabile errore, di diritto e di merito”. Il ricorrente prosegue citando dei passi di una memoria conclusionale della quale in questo contesto non si può tener conto, non valendo la conclusionale a integrare le lacune dell'appello, dovendo invece limitarsi a illustrarne il contenuto effettivo, e dovendo l'ammissibilità dei motivi d'appello essere valutata esclusivamente in base all'atto introduttivo del giudizio di gravame per tutte Cass. 24 marzo 2000 n. 3539 . In secondo luogo il ricorrente lamenta la mancata approfondita valutazione della scientia decoctionis , in relazione all’affermazione del suo atto d'appello Il tribunale, infine o in primis? pare non aver approfonditamente esaminato e valutato le problematiche connesse alla conoscenza e/o conoscibilità dello stato d'insolvenza della società fallita, e che questa difesa sosteneva e sostiene dover essere conosciuta da parte di un soggetto di normale avvedutezza, soprattutto in considerazione del fatto che, trattandosi di rapporti fra imprenditori e imprenditori del medesimo settore, la competenza e la conoscibilità assumono una valenza assai più marcata . 5. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 2704 c.c., avendo il giudice d'appello utilizzato una prova testimoniale per accertare la provenienza attraverso la sottoscrizione e la data del documento inopponibile. 6. Con il quarto motivo si censura per vizio di motivazione sul punto del rapporto tra intervenuta transazione e cancellazione della causa dal ruolo, perché da un verbale d'udienza prodotto in causa si desumerebbe che, dopo la transazione, la causa fu rinviata per omessa comparizione dei testi citati. 7. Con il quinto motivo si denuncia per violazione dell'art. 2704 cc. e dell'art. 45 legge fall., l'impugnata sentenza, nella parte in cui dichiara di prescindere da ogni indagine diretta ad accertare se nel caso di specie il curatore agisse davvero come terzo rispetto alla transazione. Si sostiene che il punto è decisivo, derivandone l'applicabilità della limitazione di cui all'art. 2704 c.c 8. Il ricorso pone innanzi tutto una questione di omesso esame dei motivi di appello giudicati generici dalla corte territoriale. A questo riguardo, la parte che ricorre per violazione dell'art. 112 c.p.c. ha l'onere di indicare i motivi, correttamente formulati nell'atto di appello, sui quali la corte del merito si sarebbe dovuta pronunciare. Come s'è detto a proposito del primo motivo, le doglianze del fallimento si sono concentrate su due punti, l'uno riguardante il valore della documentazione prodotta in causa dalla società convenuta, e l'altro - sul quale, per il momento, deve concentrarsi l'attenzione - vertente sulla motivazione in punto di scientia decoctionis . La frase riportata dell'atto d'appello deve essere confrontata con la motivazione della sentenza di primo grado, che la corte territoriale aveva puntualmente riportato per esteso a pagina otto, e da tale confronto emerge con chiarezza l'insufficienza del motivo d'appello, il rifiuto dell'appellante di confrontarsi con l'apparato argomentativo usato dal tribunale nel motivare la sua decisione, e in definitiva la genericità e inammissibilità del motivo d'appello. 9. L'altro punto sul quale sarebbe mancato l'esame del giudice d'appello deve ritenersi subordinato alla questione proposta con il quinto motivo, che nell'economia del processo è in effetti decisiva. Tutto il dibattito processuale sul modo corretto di applicare l'art. 2704 c.c. postula, infatti, che la transazione intervenuta tra la società, allora in bonis , e la società locatrice sia inopponibile al curatore del fallimento, e tale inopponibilità postula a sua volta che il curatore agisca nella fattispecie quale terzo, a tutela degli interessi dei creditori, e senza avvalersi di un'azione presente già nel patrimonio del fallito. 10. L'orientamento consolidato della corte è nel senso che il curatore, il quale agisca in giudizio per la restituzione di una somma di denaro, che assuma corrisposta indebitamente in epoca antecedente all'apertura della procedura concorsuale, esercita un'azione rinvenuta nel patrimonio del soggetto sottoposto alla procedura, ponendosi nella sua stessa posizione sostanziale e processuale, nella posizione, cioè, che il soggetto avrebbe avuto, agendo in bonis in proprio al fine di acquisire al suo patrimonio poste attive di sua spettanza cfr., di recente, Cass. 19 novembre 2008 n. 27510 . In questi casi, infatti, il curatore del fallimento non agisce in sostituzione dei creditori al fine della ricostituzione del patrimonio originario del fallito, e cioè nella veste di terzo, ma esercita un'azione trovata nel patrimonio del fallito medesimo, come avente causa di questo, ponendosi nella stessa posizione sostanziale e processuale del fallito, quale sarebbe stata anche se il fallimento non fosse stato dichiarato, al fine di fare entrare nel suo patrimonio attività che gli competevano già prima della dichiarazione di fallimento e che sono indipendenti dal dissesto successivamente verificatosi giurisprudenza costante da Cass. 28 ottobre 1982 n. 5926 tra le più recenti Cass. 8 settembre 2004 n. 18059 . 10.2. Il motivo deve essere pertanto respinto in applicazione del principio di diritto sopra riportato fra virgolette. 11. Deriva da tali premesse che non poteva nella fattispecie farsi questione di data certa e della sua opponibilità al curatore, con il conseguente assorbimento delle questioni sollevate con i primi due motivi, nella parte concernente l'omessa questione dell'idoneità della documentazione prodotta dalla società a provare in modo certo l'anteriorità della formazione del documento e con il terzo motivo, circa l'ammissibilità della prova testimoniale. 12. In ordine al quarto motivo, circa l'accertamento del rapporto tra transazione e cancellazione della causa dal ruolo, esso, nella misura in cui non si risolve negli altri motivi già ricordati, attiene alla ricostruzione del fatto, e comporta un'indagine di fatto estranea ai compiti di questa corte di legittimità. 6. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del fallimento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compenso, oltre agli accessori di legge.