Liquidatore dichiarato irreperibile? Solo dopo aver tentato la notificazione nella residenza estera

In mancanza d’altro, la notifica va eseguita nel luogo di residenza del liquidatore, anche se risulta essere all’estero.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21681/2012, depositata il 4 dicembre. Il caso. Una società immobiliare a r.l. proponeva appello contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il suo fallimento. Tuttavia, la Corte territoriale rigettava la domanda, osservando che l’avviso di convocazione era stato ritualmente notificato al liquidatore della società nelle forme previste per i casi di notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti, consegnando copia dell’atto al pubblico ministero art. 143, comma 2, c.p.c. . Infatti, il liquidatore non era in possesso di permesso di soggiorno, codice fiscale - o meglio, ne aveva uno falso – e non aveva mai eletto domicilio in Italia. I giudici di appello sottolineavano altresì che il fallimento era comunque già stato chiuso prima del giudizio di secondo grado, visto che i crediti ammessi al passivo erano stati pagati. L’irreperibilità non è stata rilevata in concreto? L’immobiliare non si dà per vinta e propone ricorso per cassazione, lamentando l’errore della Corte di appello nel ritenere legittima la notifica al liquidatore con il rito degli irreperibili, mediante consegna di copia dell’atto al pubblico ministero, malgrado dalla visura camerale - osserva la ricorrente - risultassero sia il luogo di nascita sia il luogo di residenza del liquidatore nello Sri Lanka . Rito degli irreperibili, sì ma quando? La S.C., esaminando congiuntamente tutti i motivi del ricorso, chiarisce che, con la riforma della legge fallimentare d.lgs. n. 5/2006 , il procedimento per la dichiarazione di fallimento è stato compiutamente disciplinato anche con la previsione della notificazione dal debitore del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza art. 15, comma 3, l. fall. . Inoltre, i giudici di legittimità osservano che la notifica alla persona fisica che rappresenta la persona giuridica può avvenire secondo il rito degli irreperibili art. 143 c.p.c. soltanto se la notificazione non può essere eseguita né presso la sede della società nè alla persona fisica che rappresenta l’ente, quando ne siano specificati residenza, domicilio e dimora abituale. Anche se la residenza è all’estero, la notifica va eseguita. Di conseguenza, nel caso di specie, essendo conosciuta la residenza all’estero del legale rappresentante della società, bisognava procedere con il tentativo di notificazione presso tale residenza. Il pregiudizio per la società è in re ipsa. La Cassazione precisa altresì che secondo la legge fallimentare art. 18 l. fall. qualunque interessato è legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento e perciò qualsiasi soggetto abbia ricevuto o possa ricevere un pregiudizio specifico di qualsiasi natura dalla dichiarazione di fallimento Cass., n. 7943/1997 . Il ricorso viene dunque accolto con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 31 ottobre – 4 dicembre 2012, n. 21681 Presidente Fioretti – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con sentenza del 14 febbraio 2011, la Corte di appello di Roma rigettava l'appello proposto dalla s.r.l. Micop Immobiliare avverso la sentenza del 20 dicembre 2006, con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato il suo fallimento, su istanza proposta in data 13 novembre 2006 dalla Procura della Repubblica presso lo stesso Tribunale. In particolare, la Corte di appello osservava che l'avviso di convocazione era stato ritualmente notificato al liquidatore della società nelle forme previste dall'art. 143, comma 2, c.p.c, considerato che la società era risultata trasferita dalla sede sociale che il liquidatore W.D.S.K.F., cittadino dello omissis , al momento dell'accettazione della carica, secondo quanto riferito dall'informativa della Guardia di Finanza, si era servito di un permesso di soggiorno inesistente ed aveva indicato un codice fiscale inesistente che, inoltre, lo stesso non aveva eletto domicilio in alcun luogo in Italia al momento dell'accettazione della carica ed era sconosciuto sia all'anagrafe tributaria sia alla Questura di Roma, Ufficio immigrazione che, infine, nessun risultato aveva dato la verifica anagrafica presso il Comune di Roma. In ogni caso, secondo la Corte di appello, la società non aveva interesse alla revoca della dichiarazione di fallimento considerato che lo stesso era stato chiuso, prima dell'appello, con decreto del 4 dicembre 2008 perché i crediti ammessi al passivo erano stati pagati. La s.r.l. Micop Immobiliare propone ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi illustrati anche con memoria. Il fallimento intimato non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 142, commi 1 e 2, 143, commi 1 e 2, 145 e 148 c.p.c. nonché degli artt. 2700 e 2703 c.c. e degli artt. 15 e 17 L. fall., lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto legittima la notifica al liquidatore con il rito degli irreperibili, mediante consegna di copia dell'atto al pubblico ministero, malgrado dalla visura camerale, depositata con l'appello, e dalla stessa istanza di fallimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma risultassero sia il luogo di nascita sia il luogo di residenza del liquidatore nello Sri Lanka. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva ricavato la condizione di irreperibilità del liquidatore dal fatto che questi in sede di accettazione della carica aveva indicato un permesso di soggiorno ed un codice fiscale mai rilasciati, e ciò benché da tali documenti non si ricavino elementi su residenza, domicilio o dimora che invece, nella specie, risultavano dalla visura camerale inoltre, la Corte territoriale non aveva considerato che il criterio dell'ordinaria diligenza nelle ricerche avrebbe imposto una verifica dell'autenticità del passaporto che il liquidatore aveva esibito al notaio al momento dell'accettazione della carica e dell'autenticazione della sua firma. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 142, 143, 145 e 148 c.p.c. nonché il vizio di motivazione, in quanto l'irreperibilità non era stata rilevata in concreto, seguendo l'ordine delle modalità di notificazione previste dal codice di rito. I motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono fondati. Con la riforma della legge fallimentare d.lgs. n. 5 del 2006, applicabile ratione temporis nella sua formulazione originaria il procedimento per la dichiarazione di fallimento è stato compiutamente disciplinato anche con la previsione della notificazione al debitore del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza art. 15, comma 3, L. fall. ciò implica che la notificazione al debitore doveva necessariamente avvenire nelle forme di cui agli artt. 136 e ss. cod. proc. civ. [soltanto il decreto correttivo d.lgs. n. 169/2007, peraltro inapplicabile nella fattispecie ratione temporis , ha successivamente previsto la possibilità che il presidente del tribunale, nel caso di abbreviazione dei termini per ragioni di urgenza, possa disporre che ricorso e decreto di fissazione dell'udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscenza degli stessi” art. 15, comma 5 L. fall. ]. Ai sensi dell'art. 145, comma 3, c.p.c. nel testo dettato dall'art. 2 della legge n. 263/2005 ed applicabile ratione temporis , la notifica alla persona fisica che rappresenta la persona giuridica può avvenire secondo il rito degli irreperibili previsto dall'art. 143 c.p.c. soltanto se la notificazione non può essere eseguita a norma del primo comma dello stesso art. 145 che contempla alternativamente la notificazione presso la sede della società ovvero la notificazione alla persona fisica che rappresenta l'ente, quando ne siano specificati residenza, domicilio e dimora abituale. Nella specie, invece, pur essendo conosciuta la residenza all'estero del legale rappresentante della società, la notifica nelle forme previste dall'art. 143 c.p.c. non è stata preceduta dal tentativo di notificazione presso tale residenza. D'altro canto, le circostanze rilevate dalla Corte di appello e riferite in narrativa inesistenza del permesso di soggiorno e del codice fiscale indicati dal liquidatore indagini negative presso l'anagrafe tributaria, presso la Questura di Roma e presso l'anagrafe del Comune di Roma , sebbene legittimassero il sospetto di una scelta del liquidatore diretta a rendere più difficoltose eventuali notificazioni ed anche forse il sospetto della irreperibilità del liquidatore, non consentivano comunque di dedurre con certezza la non veridicità della residenza risultante dalla visura camerale, tanto più che dall'atto di autentica di firma redatto dal notaio emergeva che l’identificazione del liquidatore era avvenuta attraverso l'esibizione di passaporto dello Sri Lanka. Pertanto, solo dopo un infruttuoso tentativo di notifica a norma dell'art. 142 c.p.c. sarebbe stato possibile procedere con il rito degli irreperibili. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 100 c.p.c. e degli artt. 15, 17 e 18, comma 12, L. fall, nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva erroneamente escluso l'interesse ad agire per il solo fatto della intervenuta chiusura della procedura, senza considerare che la dichiarazione di fallimento incide negativamente sull'immagine dell'imprenditore, il quale sussistendone le condizioni potrebbe proseguire la propria attività, e che la chiusura della procedura non cancella il fatto della dichiarazione di fallimento. Il motivo è fondato. Secondo l'ampia dizione dell'art. 18 L. fall. in tutte le formulazioni, sia precedenti che successive agli interventi di riforma del 2006 e del 2007 qualunque interessato è legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento e perciò qualsiasi soggetto abbia ricevuto o possa ricevere un pregiudizio specifico - di qualsiasi natura e, quindi, anche solo morale - dalla dichiarazione di fallimento Cass. 25 marzo 1997, n. 7943 . Sotto tale profilo può ritenersi in re ipsa il pregiudizio per la società il cui fallimento si sia chiuso per la mancata proposizione di domande di ammissione al passivo o per il pagamento dei creditori e delle spese di procedura art. 118, nn. 1 e 2, l. fall. e che pertanto - poiché il curatore non deve chiederne la cancellazione dal registro delle imprese, come oggi è espressamente previsto dal secondo comma dell'art. 118 cit. - ben può proseguire la propria attività e risentire, per effetto della dichiarazione di fallimento, di una lesione del diritto alla reputazione commerciale. L'interesse ad impugnare la dichiarazione di fallimento va, pertanto, affermata in relazione all'utilità giuridica di una eventuale rimozione della stessa dichiarazione. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio. Poiché per la rilevata nullità della notificazione del decreto di fissazione dell'udienza il giudice del reclamo avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice art. 354 c.p.c. , ricorrono le condizioni ex art. 383, comma 3, c.p.c. perché, previa cassazione anche della sentenza di primo grado, questa Corte disponga la rimessione degli atti al Tribunale di Roma, in diversa composizione. La pronunzia sulle spese del giudizio di cassazione è rimessa al giudice di rinvio. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.