Non è derogabile il riparto di competenze tra assemblea ordinaria e straordinaria

La responsabilità degli amministratori e dei sindaci anche nei confronti dei terzi impone che nell’interesse della società stessa non sia riconosciuta ai soci la facoltà di derogare alle regole di competenza e di esercizio dell’azione di responsabilità.

La vicenda . L’assemblea di una s.c.r.l. esercitava l’azione di responsabilità nei confronti del presidente del collegio sindacale, il quale impugnava la delibera. Secondo il presidente, infatti, la delibera era inesistente in quanto contraria alla clausola statutaria che prescrive la riunione assembleare in via ordinaria una volta l’anno entro il mese di marzo, ed in via straordinaria ogni volta che il presidente lo ritenga necessario o su richiesta scritta e motivata da tanti soci che rappresentino almeno un quinto dei voti complessivi. A detta del presidente, la riunione assembleare che aveva deliberato l’azione di responsabilità nei suoi confronti si era stata svolta, benché dopo il mese di marzo, secondo le modalità dell’assemblea ordinaria e non straordinaria, non essendo il verbale redatto da notaio ai sensi dell’art. 2375, comma 2, c.c Il giudice di prime cure rigettava la domanda affermando che la distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria dipende, nella fattispecie, non dal momento in cui la riunione viene convocata ma dall’oggetto che deve essere deliberato secondo il combinato disposto degli artt. 2364 e 2365 c.c. con l’art. 2516 c.c Ora, poiché nella fattispecie la deliberazione aveva ad oggetto una materia devoluta all’assemblea ordinaria non era richiesta la verbalizzazione del notaio. La suddivisione di competenze tra assemblea ordinaria e straordinaria non è derogabile dallo statuto . La decisione del tribunale era confermata anche in seguito all’appello del presidente del collegio sindacale, il quale sosteneva che l’autonomia statutaria potesse attribuire all’assemblea straordinaria più materie rispetto a quelle previste dalle norme di legge. La Corte di appello riteneva, invece, che la suddetta norma statutaria, prevedendo in via generica che ogni assemblea successiva al mese di marzo fosse svolta secondo le modalità dell’assemblea straordinaria, derogasse al riparto di competenze stabilito dagli artt. 2364 e 2365 c.c., considerato inderogabile con riferimento alla delibera di esercizio dell’azione di responsabilità. È opportuno ricordare in proposito che l’art. 2364, dopo aver elencato le materie di competenza dell’assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza, tra cui al n. 4 la responsabilità degli amministratori e dei sindaci, dispone che lo stesso organo deve essere convocato almeno una volta l’anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale. Aggiunge inoltre che lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovveroquando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall’ art. 2428 c.c.le ragioni della dilazione. L’art. 2365 c.c. stabilisce invece che l’assemblea straordinaria delibera sulle modificazioni dello statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza, prevedendo inoltre che fermo quanto disposto dagli artt. 2420-ter e 2443 c.c., lo statuto può attribuire alla competenza dell’organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione determinate deliberazioni, tra cui la fusione, l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie, l’indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale. Nell’equilibrio dei poteri tra gli organi societari occorre facilitare l’esercizio dell’azione di responsabilità . Secondo il giudice di appello, anche non considerando il nuovo testo dell’art. 2365 c.c. - inapplicabile ratione temporis alla fattispecie in questione anteriore alla riforma del 2003 – l’inderogabilità del riparto di competenze tra assemblea ordinaria e straordinaria è deducibile dai principi normativi che regolano i rapporti tra l’organo deliberante e l’organo di controllo, finalizzate ad agevolare l’esercizio dell’azione di responsabilità nell’ambito della divisione e del bilanciamento dei poteri tra assemblea e collegio sindacale. Di conseguenza, al fine di ritenere la suddetta clausola statutaria conforme alle norme imperative di ordine pubblico economico di cui all’art. 2364 n. 4 c.c., deve essere interpretata nel senso di non riferirsi all’assemblea che delibera l’esercizio dell’azione di responsabilità. Nel successivo ricorso per Cassazione, il presidente del collegio sindacale, oltre a ritenere errata l’interpretazione letterale della norma dello statuto fornita dal giudice di seconde cure, sosteneva che la deroga posta dalla clausola statutaria all’art. 2364 c.c. fosse finalizzata ad un maggior rigore, e in tal caso la legge non impedisce all’autonomia dei soci di modificare, in concreto, l’astratta valutazione prevista dalla legge, senza peraltro influire sulla facoltà di voto riconosciuta a tutti i soci. La clausola statutaria deve interpretarsi in modo da non ostacolare l’assemblea ordinaria . La Suprema Corte ribadisce, come stabilito dalla sentenza di appello, l’inderogabilità della suddetta norma codicistica che attribuisce all’assemblea ordinaria la facoltà di deliberare l’azione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci. Osserva, inoltre, che da tale inderogabilità deriverebbe l’invalidità della clausola statutaria se questa si interpreta nel senso di assegnare la natura di ordinaria o straordinaria alla riunione assembleare solo considerando la data in cui si tiene. Ora, poiché il principio ermeneutico di conservazione previsto dall’art. 1367 c.c. impone nel dubbio di interpretare il contratto o le singole clausole nel senso in cui possono avere qualche effetto, occorre intendere la norma dello statuto in maniera tale da salvare la competenza dell’assemblea ordinaria sulla delibera relativa all’azione di responsabilità. Di conseguenza, si deve attribuire, quindi, al termine del 31 marzo previsto per la convocazione dell’assemblea ordinaria su tale delibera lo stesso significato ed efficacia del termine di sei mesi fissato dal secondo comma dell’art. 2364 c.c., in modo da non impedire oltre quel termine lo svolgimento dell’assemblea ordinaria. Infatti, la suddetta clausola statutaria non produce, come sostenuto dal ricorrente, un regime più rigoroso di quello stabilito dalla legge, rendendo anzi più difficile l’esercizio dell’azione di responsabilità. Ciò contrasta palesemente con la funzione dell’art. 2364, comma 2, c.c., la quale, è diretta ad agevolare l’esercizio di tale rimedio. La verifica sull’operato degli organi societari è strettamente connessa all’approvazione del bilancio . Osservando il complessivo quadro dei rapporti tra l’organo assembleare, l’organo di gestione e quello di controllo, assume rilevanza la circostanza che l’esercizio dell’azione di responsabilità è per legge inserita all’ordine del giorno in caso di convocazione dell’assemblea ordinaria di approvazione del bilancio, considerando il notevole collegamento tra l’approvazione di bilancio e la verifica operata dall’assemblea sull’operato degli organi societari. In conclusione, dunque, in virtù dell’interesse della società all’integrità del patrimonio sociale, è necessario che i soci non possano derogare al sistema normativo relativo all’esercizio dell’azione di responsabilità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 aprile – 26 luglio 2012, numero 13279 Presidente Fioretti – Relatore Scaldaferri Svolgimento del processo G Q. , Presidente del Collegio Sindacale della C.A.R.P. Cooperativa Autotrasportatori Riuniti di Pesaro e Urbino s.c.r.l., impugnò la deliberazione in data 7.11.1998 con la quale l'assemblea della società aveva disposto l'esercizio della azione di responsabilità nei suoi confronti. Premesso che l'articolo 14 dello Statuto sociale prevedeva che l'assemblea è convocata dal Presidente in via ordinaria una volta l'anno entro il mese di marzo, ed in via straordinaria ogni volta che il Presidente lo ritenga necessario, o quando ne sia fatta richiesta scritta e motivata da tanti soci che rappresentino non meno di un quinto dei voti complessivi , dedusse che la delibera in questione era da ritenere inesistente, atteso che la riunione assembleare, sebbene tenutasi in epoca successiva al mese di marzo, era stata svolta secondo le modalità dell'assemblea ordinaria e non straordinaria come imposto dalla clausola statutaria, non essendo il verbale stato redatto da Notaio come prescritto dall'articolo 2375 comma 2 cod.civ La società convenuta si costituì in giudizio contestando la domanda, della quale chiese il rigetto con la condanna dell'attore ai sensi dell'articolo 96 cod.proc.civ Il Tribunale di Pesaro rigettò la domanda, osservando come la distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria non dipenda dal momento in cui la riunione viene convocata se prima o dopo il mese di marzo bensì dall'oggetto che deve essere deliberato, ai sensi degli artt. 2364 e 2365 cod.civ. in combinato disposto con l'articolo 2516 cod.civ. e poiché nella specie la deliberazione aveva ad oggetto una materia devoluta all'assemblea ordinaria, la verbalizzazione ad opera del Notaio non era richiesta dalla legge. Il gravame proposto dal Q. , il quale deduceva che l'autonomia statutaria può attribuire all'assemblea straordinaria con le correlate maggiori garanzie procedurali materie ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme di legge, è stato rigettato dalla Corte d'appello di Ancona, la quale ha in sintesi osservato che l'articolo 14 dello Statuto sociale in questione, laddove prevede in via generica ed ampia che ogni assemblea successiva alla data del 31 marzo sia svolta con le formalità dell'assemblea straordinaria, finisce per derogare al riparto di competenza delineato dagli artt. 2364 e 2365 cod. civ., da ritenere invece inderogabile con riguardo alla delibera di esercizio dell'azione di responsabilità, tenuto conto non solo del nuovo testo dell'articolo 2365 cod. civ. pur inapplicabile ratione temporis ma anche dei principi normativi ricavabili dal complesso delle norme in materia di rapporti tra l'organo deliberante e quello di controllo, tese a facilitare l'esercizio dell'azione di responsabilità al fine di garantire un equilibrio in tale delicato rapporto. Quindi la clausola dell'articolo 14 dello Statuto, interpretata alla luce del criterio oggettivo di interpretazione conservativa, deve, onde sottrarsi ad una censura di invalidità per contrarietà alla norma imperativa di ordine pubblico economico dell'articolo 2364 numero 4 cod. civ., essere intesa nel senso che non si riferisce all'assemblea che delibera l'esercizio dell'azione di responsabilità. Avverso tale sentenza, depositata il 20 settembre 2008, Q.G. ha proposto ricorso a questa Corte sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la C.A.R.P. s.c.r.l Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si censura, sotto il profilo della contraddittorietà ed insufficienza della motivazione, l'interpretazione che dell'articolo 14 dello statuto sociale la Corte di merito ha esposto. Si sostiene che tale interpretazione sarebbe erronea unica interpretazione plausibile, alla luce del chiaro significato delle espressioni usate, essendo quella secondo la quale tutte le assemblee successive alla prima, da tenersi entro la data del 31 marzo di ogni anno, dovrebbero considerarsi di natura straordinaria, e quindi soggette al conseguente più rigoroso regime giuridico, onde rispettare la volontà dei soci di evitare possibili turbative del normale svolgimento della attività sociale. Il motivo si palesa inammissibile, giacché con esso non si sottopone a puntuale evidenziazione l'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito, bensì viene sottoposto direttamente a critica il risultato interpretativo raggiunto dal giudice stesso sollecitando la Corte ad adottare una diversa interpretazione, il che evidentemente esula dai limiti del controllo di legittimità. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2364 cod.civ. nel testo ante riforma del 2003, applicabile nella specie ratione temporis nonché la contraddittorietà ed insufficienza della motivazione, in relazione alla ritenuta inderogabilità di tale norma nella parte in cui attribuisce all'assemblea ordinaria la deliberazione circa l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci. Sostiene, in sintesi, il ricorrente che la deroga posta dall'articolo 14 dello statuto sociale alla citata norma codicistica è diretta ad un maggior rigore, ed in tal caso la legge non impedisce all'autonomia dei soci di modificare, nella concreta situazione, l'astratto apprezzamento legale, non incidendo peraltro tale diversa regolamentazione sulla facoltà di tutti i soci di esprimere voti. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato. Inammissibile per quanto riguarda la denuncia di un vizio di motivazione, che appare solo enunciato ma non illustrato, né sintetizzato a norma dell'articolo 366 bis applicabile nella specie ratione temporis . Infondato quanto alla violazione di legge, meritando condivisione quanto argomentato dalla Corte di merito in ordine alla inderogabilità della norma codicistica che attribuisce all'assemblea ordinaria la facoltà di deliberare l'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci. Inderogabilità dalla quale deriverebbe la invalidità della clausola statutaria ove interpretata nel senso di attribuire la natura di ordinaria o straordinaria alla riunione assembleare a seconda della data in cui si tiene il criterio conservativo di cui all'articolo 1367 cod.civ. impone dunque la scelta della soluzione interpretativa che faccia salva la competenza della assemblea ordinaria sulla delibera in questione, attribuendo al termine statutario del 31 marzo per la convocazione dell'assemblea ordinaria - ove abbia ad oggetto la materia in questione - lo stesso significato ed efficacia del termine di sei mesi fissato dall'articolo 2364 comma 2 cod.civ., nel senso cioè di non precludere lo svolgimento dell'assemblea ordinaria oltre quel termine. Le contrarie osservazioni del ricorrente non convincono. Innanzi tutto, non può affermarsi che la clausola statutaria in esame preveda un regime più rigoroso di quello legalmente stabilito per la adozione della delibera dell'azione di responsabilità al contrario, rende più gravoso l'esercizio dell'azione di responsabilità, e ciò contrasta con la norma di legge in commento, la cui ratio la Corte di merito ha fondatamente individuato, in coerenza con il disposto di altre norme codicistiche, nella esigenza di facilitare l'esercizio dell'azione di responsabilità. Che infatti è posta de iure all'ordine del giorno della convocazione della assemblea ordinaria di approvazione del bilancio, ad espressione di un nesso significativo tra tale atto, fondamentale nel quadro dei rapporti tra organo di gestione e organo assembleare, e la verifica dell'assemblea circa l'operato dei propri organi di gestione e di controllo. Tale verifica, come è stato già affermato da questa Corte cfr. Sez. I numero 7030/1994 numero 10215/10 , non è attribuita ai soci esclusivamente nell'interesse proprio, bensì nell'interesse della società alla integrità del proprio patrimonio sociale, della quale amministratori e sindaci sono solidalmente responsabili, anche nei confronti dei terzi che entrino in contatto con la società. I quali su tale patrimonio fanno affidamento, in un sistema incentrato sulla responsabilità limitata dei soci che nella responsabilità di amministratori e sindaci trova chiusura e garanzia. Ne deriva di necessità che non è in facoltà dei soci derogare a tale sistema normativo. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 3.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.