Cantiere chiuso e società in concordato: elementi non sufficienti per giustificare il licenziamento

Vittoria piena per il dipendente, inquadrato come geometra, di una società edile. Irrilevanti la chiusura del cantiere cui il lavoratore era stato assegnato e la crisi dell’azienda. Ciò che conta, invece, è che l’uomo era stato inserito nell’organico della società e che l’attività d’impresa era proseguita con altri cantieri.

Cantiere chiuso e ricorso al concordato per la società edile in crisi. Questi due elementi non possono però giustificare il licenziamento del lavoratore , inquadrato nell’organico aziendale come geometra e assegnato, in particolare, al cantiere smobilitato Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 6916/21, depositata oggi . All’origine della battaglia legale c’è la comunicazione con cui la società edile ufficializza la messa alla porta del lavoratore, un geometra licenziato a seguito della chiusura del cantiere a cui era stato assegnato. Questa motivazione viene ritenuta plausibile dai Giudici di primo grado, i quali osservano che la chiusura del cantiere ha comportato la soppressione del posto di lavoro del geometra, così come di tutti gli altri dipendenti che vi erano addetti, in quanto il completamento dei residui lavori è stato affidato in subappalto ad un’altra società . Allo stesso tempo, non vi era possibilità di una ricollocazione del lavoratore , secondo i Giudici, a fronte della grave situazione di crisi che ha condotto la società al concordato preventivo e alla progressiva chiusura di altri cantieri . Di parere opposto sono però i Giudici d’Appello, i quali ritengono fondate le obiezioni proposte dal lavoratore e, di conseguenza, annullano il licenziamento, ordinano alla società di reintegrare il lavoratore in mansioni equivalenti a quelle della sua qualifica e la condannano al risarcimento del danno , pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in favore del dipendente. In particolare, secondo i Giudici la chiusura del cantiere avrebbe potuto integrare una ragione di ordine organizzativo o produttivo solo se il lavoratore fosse stato assunto per essere impiegato esclusivamente in quel determinato cantiere, mentre egli era stato assunto per far parte dell’organico permanente dell’impresa, per cui solo l’eventuale abolizione della sua postazione lavorativa con modifica dell’organico avrebbe potuto giustificarne il licenziamento . E a questo proposito viene posto in evidenza che il geometra venne assunto per lavorare presso la sede della società, con possibilità di assegnazione di compiti e mansioni fuori sede e che difatti egli fu anche nominato procuratore speciale della società per l’espletamento di qualsiasi attività di ordine tecnico, amministrativo e contabile in ordine ai lavori eseguiti o in corso o futuri della società, senza alcuna limitazione al solo cantiere Inutile si rivela il ricorso in Cassazione proposto dall’avvocato della società edile. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è evidentemente privo di basi solide il licenziamento del lavoratore . Secondo il legale il licenziamento ben può essere giustificato da un andamento economico negativo o da un riassetto aziendale cagionato da una situazione di crisi e in questa ottica egli osserva che è stata data la dimostrazione non solo della chiusura del cantiere, ma anche del licenziamento di tutti gli addetti, nonché di uno stato di crisi aziendale comprovato dalla procedura di concordato preventivo in continuità, ancora in essere . Erroneo, quindi, sostiene il legale, considerare solo la chiusura del cantiere, in presenza di una ben più ampia crisi aziendale che aveva provocato il ricorso alla procedura concorsuale, costituendo quest’ultima la dimostrazione della necessità di un riassetto organizzativo e al contempo della impossibilità del repéchage . Dalla Cassazione ribattono però che si è tenuto conto della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale cui è stata ammessa la società e aggiungono poi che tale circostanza è in sé irrilevante, poiché era proseguita l’attività aziendale ed erano rimasti attivi altri cantieri . Peraltro, viene anche rilevato che il lavoratore era stato assunto non già unicamente per svolgere le sue funzioni presso il cantiere poi chiuso, ma come geometra facente parte dell’organico aziendale permanente e, da una certa data in poi, anche per svolgere le funzioni di procuratore speciale della società . Ciò significa vittoria piena per il dipendente, che può riavere il proprio posto di lavoro all’interno della società edile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 novembre 2020 – 11 marzo 2021, numero 6916 Presidente Arienzo – Relatore Blasutto Fatti di causa 1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n 1992/2018, in accoglimento del reclamo proposto da Ma. Ma., ha annullato il licenziamento intimato in data 25.2.2015 dalla società Nobel s.r.l. per giustificato motivo oggettivo e ha ordinato alla società di reintegrare il reclamante in mansioni equivalenti a quelle della sua qualifica, oltre a condannare la società al risarcimento del danno pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, accessori e contributi previdenziali e assistenziali. 2. Ma. Ma., geometra della società, era stato licenziato a seguito della chiusura del cantiere edile di Pescara sul quale stava lavorando. Secondo il giudice di primo grado, la chiusura del cantiere nel febbraio 2015 aveva comportato la soppressione del posto di lavoro del ricorrente, così come di tutti gli altri dipendenti che vi erano addetti, in quanto il completamento dei residui lavori era stato affidato in subappalto ad un'altra società inoltre, non vi era possibilità di una ricollocazione del ricorrente, come desumibile dalla grave situazione di crisi che aveva condotto la società al concordato preventivo e alla progressiva chiusura di altri cantieri. 3. La Corte di appello, ribaltando tale giudizio, ha osservato, in sintesi - che la chiusura del cantiere avrebbe potuto integrare una ragione di ordine organizzativo o produttivo solo se il ricorrente fosse stato assunto per essere impiegato esclusivamente in quel determinato cantiere, mentre nel caso in esame il ricorrente era stato assunto per far parte dell'organico permanente dell'impresa, per cui solo l'eventuale abolizione della sua postazione lavorativa con modifica dell'organico avrebbe potuto giustificare il licenziamento. - che, dall'esame dei documenti, era risultato che il ricorrente venne assunto per lavorare presso la sede della società in Soverato, con possibilità di assegnazione di compiti e mansioni fuori sede e che, inoltre, a partire dal 18.6.2012 il ricorrente era stato nominato procuratore speciale della società per l'espletamento di qualsiasi attività di ordine tecnico, amministrativo e contabile in ordine ai lavori eseguiti o in corso o futuri della società, senza alcuna limitazione al solo cantiere di Pescara - che tale accordo originario non risultava essere stato modificato, restando irrilevante che nei fatti - come riferito dai testi - il ricorrente fosse stato addetto esclusivamente al cantiere di Pescara - che il difetto di nesso causale tra ragione del recesso e soppressione del posto di lavoro del reclamante comporta l'insussistenza del fatto addotto a sostegno del licenziamento e l'applicazione della tutela reintegratoria di cui al quarto comma dell'articolo 18 legge numero 300 del 1970, come novellato dalla legge numero 92 del 2012. 4. Per la cassazione di tale sentenza la società Nobel ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, cui ha resistito Ma. Ma. con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con unico motivo di ricorso la società denuncia violazione dell'articolo 3 legge numero 604 del 1966 articolo 360, primo comma, numero 3 cod. proc. civ. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti articolo 360, primo comma, numero 5 cod. proc. civ. per non avere la sentenza debitamente considerato che il licenziamento ben può essere giustificato da un andamento economico negativo o da un riassetto aziendale cagionato da una situazione di crisi. Sostiene che nella fattispecie era stata data la dimostrazione non solo della chiusura del cantiere di Pescara, ma anche del licenziamento di tutte le unità , nonché di uno stato di crisi aziendale comprovato dalla procedura di concordato preventivo in continuità, ancora in essere. Deduce quindi che era errato considerare solo la chiusura del cantiere di Pescara, in presenza di una ben più ampia crisi aziendale che aveva provocato il ricorso alla procedura concorsuale, costituendo quest'ultima la dimostrazione della necessità di un riassetto organizzativo e al contempo della impossibilità del repechage. 2. Il ricorso è inammissibile. 3. Innanzitutto, è insussistente la prospettata omissione di fatto decisivo per il giudizio, avendo la sentenza ben tenuto conto della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, cui era stata ammessa la società. La Corte di appello ha però ritenuto che la circostanza fosse in sé irrilevante, poiché era proseguita l'attività aziendale ed erano rimasti attivi altri cantieri. Ha pure osservato che, sulla base della documentazione esaminata, il Ma. era stato assunto non già unicamente per svolgere le sue funzioni presso il cantiere di Pescara, ma come geometra facente parte dell'organico aziendale permanente e, da una certa data in poi, anche per svolgere le funzioni di procuratore speciale della società. 4. E' dunque palesemente inammissibile la censura formulata ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5 cod. proc. civ., essendola circostanza di cui si lamenta l'omesso esame specificamente considerata, ma ritenuta non decisiva. 5. Per il resto, il motivo è del tutto generico in relazione alla denunciata violazione di legge. La ratio decidendi su cui la sentenza si fonda è data dalla necessità che sia dimostrato il nesso tra la soppressione di una postazione lavorativa e il licenziamento del lavoratore, prova che nella specie non era stata fornita in quanto il Ma. era stato assunto per l'organico permanente dell'azienda. 6. La sentenza ha pure richiamato l'orientamento interpretativo di questa Corte secondo cui l'ultimazione delle opere edili non è sufficiente a configurare un giustificato motivo di recesso, salvo che il datore di lavoro non dimostri l'impossibilità di utilizzazione dei lavoratori medesimi in altre mansioni compatibili, con riferimento alla complessità dell'impresa e alla generalità dei cantieri nei quali è dislocata la relativa attività cfr. Cass. numero 22417 del 2009 e numero 1008 del 2003 . Tale ratio decidendi non è stata neppure specificamente censurata, in violazione degli oneri di cui all'articolo 366, primo comma numero 4 cod. proc. civ 7. Ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso è ravvisabile nella prospettata crisi aziendale che avrebbe determinato un riassetto organizzativo con il licenziamento di tutte le unità lavorative e non solo di quelle addette al cantiere di Pescara. Trattasi di un assunto nuovo la sentenza ha difatti riferito della prosecuzione dell'attività aziendale e dell'avvenuto licenziamento dei soli addetti al cantiere di Pescara. Il motivo di ricorso tenta di introdurre una questione di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata e dunque inammissibile in questa sede. 8. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'articolo 2 del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. 9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13 v. Cass. S.U. numero 23535 del 2019 e numero 4315 del 2020 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.250,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, l'11 novembre 2020