Le buste paga costituiscono valide prove del credito retributivo se munite di firma, sigla o timbro

Con riferimento al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, in base ai principi in materia di efficacia probatoria delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro, esse sono pienamente valide ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro.

Il Tribunale rigettava l’opposizione proposta dalla lavoratrice , ai sensi dell’art. 98 l. fall., avverso lo stato passivo della società , da cui era stato escluso il credito , dalla medesima insinuato, a titolo di t.f.r. e le ultime tre mensilità. In particolare, il Tribunale ne riteneva il difetto di prova per la mancata sottoscrizione delle buste paga prodotte, in violazione dell’art. 1 l. n. 4/1953, nell’inapplicabilità dell’art. 2735 c.c. e nella loro inopponibilità, in assenza di data certa, al curatore avente qualità di terzo in sede di accertamento dello stato passivo. Proposto ricorso per Cassazione, con ordinanza n. 74/21, la S.C. ha l’occasione di ribadire il principio generale di terzietà del curatore in sede di accertamento del passivo , precisando che l’inopponibilità riguarda la data della scrittura prodotta e non anche il negozio sicché, esso e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso . Con riguardo alla fattispecie in esame, la Corte ha poi affermato che il Tribunale ha correttamente applicato i principi in materia di efficacia probatoria , in merito al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro e pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro ferma restando, tuttavia, la facoltà della curatela controparte di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 9 luglio 2020 – 7 gennaio 2021, n. 74 Presidente Nobile – Relatore Patti Rilevato che 1. con decreto 23 marzo 2017, il Tribunale di Siracusa rigettava l’opposizione proposta, ai sensi della L. Fall., art. 98, da I.L. avverso lo stato passivo del Fallimento omissis s.r.l., da cui era stata escluso il credito, dalla medesima insinuato, di Euro 10.244,85 a titolo di T.f.r. e ultime tre mensilità novembre e dicembre 2011 e gennaio 2012 . Esso ne riteneva il difetto di prova per la mancata sottoscrizione delle buste paga prodotte, in violazione della L. n. 4 del 1953, art. 1, nell’inapplicabilità dell’art. 2735 c.c. e nella loro inopponibilità, in assenza di data certa, al curatore avente qualità di terzo in sede di accertamento dello stato passivo. Nè l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato asseritamente dal 10 novembre 2010 al 17 gennaio 2012 era sostenuta da idonea documentazione e neppure dalla prova testimoniale esperita, essendo anzi risultata la dismissione dalla società del compendio aziendale, comodato in uso a terzi il 20 novembre 2011 2. con atto notificato il 21 aprile 2017, I.L. ricorreva per cassazione avverso il decreto con tre motivi, illustrati da memoria a norma dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui la curatela fallimentare resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c Considerato Che 1. la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 4 del 1953, art. 1, art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., artt. 2697, 2704 e 2735 c.c., per erronea esclusione del credito da rapporto di lavoro subordinato, validamente provato dalle buste paga recanti ancorché non la sottoscrizione o la sigla datoriale, tuttavia il timbro di omissis s.r.l., non essendo poi state disconosciute dalla curatela, che anzi ne aveva dichiarato in memoria difensiva la provenienza dall’azienda, trattandosi di documentazione meccanicamente elaborata dal suo consulente e pertanto pienamente comprovanti l’esistenza del rapporto di lavoro peraltro, risultando comprovata l’esistenza del rapporto dal cd. Unificato Lav o UNILAV individuante tutti gli elementi del rapporto di lavoro tra le parti ed equivalente, per la sua forma scritta a norma del D.M. Lavoro 30 ottobre 2007, art. 4, comma 1, in G.U. n. 299 del 27 dicembre 2007, ad una lettera di assunzione o ad un contratto di lavoro, siccome recante tutte le informazioni prescritte dal D.Lgs. n. 152 del 1997, art. 1, comma 1 , prodotto nel giudizio di opposizione ed opponibile, in quanto munito di data certa di trasmissione al curatore, che neppure lo aveva contestato primo motivo 2. esso è infondato 2.1. in via di premessa, giova ribadire il principio generale di terzietà del curatore in sede di accertamento del passivo Cass. 12 agosto 2016, n. 17080 Cass. 20 ottobre 2015, n. 21273 Cass. s.u. 20 febbraio 2013, n. 4213 Cass. s.u. 28 agosto 1990, n. 8879 , essendo peraltro noto che l’inopponibilità riguardi la data della scrittura prodotta, ma non il negozio sicché, esso e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso Cass. 7 ottobre 1963, n. 2664 Cass. 25 febbraio 2011, n. 4705 Cass. 5 febbraio 2016, n. 2319 Cass. 22 marzo 2018, n. 7207 2.2. il Tribunale ha correttamente applicato a pg. 2, terzo capoverso, prima parte del decreto i principi in materia di efficacia probatoria, in merito al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro e pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro Cass. 1 settembre 2015, n. 17413 ferma restando, tuttavia, la facoltà della curatela controparte di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice Cass. 5 luglio 2019, n. 18169 Cass. 11 dicembre 2019, n. 32395 2.3. nel caso di specie, esse sono, in particolare, consistite nell’opposizione, da parte del curatore del mancato rinvenimento in contabilità di riscontro alcuno del rapporto di lavoro dell’insufficienza della documentazione prodotta della concessione il 20 novembre 2011 dalla società fallita a terzi in comodato d’uso dell’immobile e dei beni strumentali per l’esercizio dell’attività sicché, il Tribunale ha accertato, in esito ad un attento ed argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie nella loro complessiva acquisizione inidoneità della dichiarazione Unilav, in assenza di produzione del contratto o del libretto di lavoro, nè del CUD e genericità, oltre che inattendibilità, dei testi escussi così agli ultimi due capoversi di pg. 2 del decreto , la carenza di prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato 2.4. il motivo si risolve allora nella contestazione della valutazione probatoria a fondamento dell’accertamento in fatto del Tribunale, insindacabile in sede di legittimità qualora esso, come nel caso di specie, sia congruamente argomentato, tenuto conto del rigoroso ambito devolutivo circoscritto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415 3. la ricorrente deduce poi violazione o falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., art. 2119 c.c., comma 2 e art. 36 Cost., per la spettanza del credito per ultime tre mensilità novembre e dicembre 2011 e gennaio 2012 e T.f.r. insinuato allo stato passivo, sul presupposto della comprovata esistenza del rapporto di lavoro, vigente fino alla sua risoluzione, non avvenuta prima del fallimento, essendovi stata solo una ininfluente flessione o addirittura un azzeramento dell’attività, con la cessione in godimento a terzi del capannone industriale da fine novembre 2011, ad esclusione degli uffici amministrativi secondo motivo 4. esso è assorbito dal rigetto del primo 5. la ricorrente deduce infine violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto la propria soccombenza, nonostante la fondatezza della domanda terzo motivo 6. esso è inammissibile 6.1. non si tratta, infatti, di una censura in senso tecnico, ma di una generica lamentela sull’esito del giudizio d’appello, sul presupposto ipotetico di un accoglimento, che sarebbe spettato, della domanda, invece rigettata con la conseguente soccombenza denunciata come erronea 3. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la lavoratrice alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.