Denaro sottratto: il sindacato mette alla porta la dipendente

Inutile l’azione legale portata avanti dalla lavoratrice. Per i Giudici è assolutamente legittimo il licenziamento deciso dall’organizzazione sindacale, a fronte del comportamento tenuto dalla dipendente, che ha prelevato dalle casse somme di denaro poi utilizzate per finalità estranee agli scopi propri dell’attività sindacale.

Il sindacato non perdona. E come ogni datore di lavoro ritiene inaccettabile la sottrazione di denaro da parte del dipendente. Legittimo perciò il licenziamento di una lavoratrice, collocata nella sede regionale di una organizzazione sindacale Cassazione, ordinanza n. 25039/20, depositata il 9 novembre . Inutile la battaglia portata avanti dalla lavoratrice. Confermato in via definitiva, difatti, il licenziamento adottato nei suoi confronti dal datore di lavoro, cioè un sindacato . Già i Giudici di merito hanno respinto le richieste avanzate dalla stessa, richieste mirate all’ accertamento della illegittimità del licenziamento e alla condanna della parte datoriale alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno . Per i Giudici di secondo grado, in particolare, bisogna tener presente che il licenziamento disciplinare della lavoratrice ha rappresentato l’epilogo espulsivo del procedimento disciplinare attivato in ragione delle gravi irregolarità amministrative e contabili riscontrate in sede di ispezione presso la sede regionale del sindacato e ascrivibili alla concorrente responsabilità della lavoratrice. E i fatti addebitati alla dipendente sono sicuramente gravi ed idonei ad inficiare profondamente il vincolo fiduciario fisiologicamente sotteso ad ogni rapporto di lavoro , sottolineano in Appello. La linea tracciata in secondo grado viene condivisa in toto dai Giudici della Cassazione. Privo di fondamento il ricorso proposto dal legale della dipendente. In nessun modo sono stati posti in discussione i capisaldi rappresentati dalla sussistenza della giusta causa del licenziamento e dalla tempestività e proporzionalità dell’azione disciplinare . Peraltro, si è accertato in modo chiaro che la lavoratrice ha prelevato dalle casse della organizzazione sindacale una serie di importi, utilizzando tali somme per finalità assolutamente estranee agli scopi propri dell’attività sindacale .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 novembre 2019 9 novembre 2020, n. 25039 Presidente Berrino Relatore Leo Rilevato che la Corte di Appello di Bari, con sentenza pubblicata in data 7.12.2017, ha respinto il gravame interposto da Ro. Li., nei confronti di SPI CGIL Regionale Puglia, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, resa il 15.2.2017, con la quale era stato rigettato il ricorso della lavoratrice, diretto ad ottenere l'accertamento della illegittimità del licenziamento alla stessa intimato il 6.11.2013 e la condanna della parte datoriale alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno che la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha osservato che & lt , e si assume che & lt & gt avrebbe & lt & gt che i primi due motivi - da trattare congiuntamente per ragioni di connessione - sono inammissibili al riguardo, va premesso che la ricorrente non ha impugnato i capi della sentenza di secondo grado relativi alla sussistenza della giusta causa del licenziamento ed alla tempestività e proporzionalità dell'azione disciplinare, con la conseguenza che i medesimi hanno acquisito la stabilità del giudicato per la qual cosa, le doglianze mosse con i mezzi di impugnazione in esame, relativi alla dedotta mancata ammissione delle richieste istruttorie formulate dalla ricorrente, dalla quale sarebbe conseguito l'ulteriore vizio di violazione del giusto procedimento, risultano, all'evidenza, superate. Peraltro, ad abundantiam, si osserva che i motivi in esame sono del tutto generici, poiché, nella sentenza oggetto del presente giudizio, non vi è alcuna affermazione di inammissibilità in ordine alle richieste istruttorie, come censurata dalla ricorrente, in quanto, a pagina 5 della sentenza, riguardo alla ricostruzione della fase di primo grado, si legge & lt & gt che altresì inammissibile è il terzo motivo per la formulazione generica dello stesso, in violazione del disposto dell'art. 366, primo comma, n. 4, del codice di rito, ed in quanto la Corte territoriale ha deciso, in ordine alle spese - applicando il principio della soccombenza cfr., Cass. SS.UU., nn. 2572/2012 20598/2008 -, conformemente ai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità v. art. 360-bis c.p.c. , in assenza, tra l'altro, nel motivo, di validi argomenti critici atti ad indurre ad un mutamento di tali arresti cfr. Cass., SS.UU., n. 10027/2012 che, peraltro, in caso di soccombenza, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2013 legge di stabilità del 2013 , applicabile alla fattispecie ratione temporis, è previsto il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13 pertanto, non avendo la ricorrente dichiarato di essere nelle condizioni reddituali che la esonerano dal pagamento del contributo unificato, correttamente i giudici di appello hanno dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Li., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13 che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza che, avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nei termini specificati in dispositivo P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.