La cancellazione della posizione previdenziale dell’avvocato non dà diritto alla restituzione dei contributi integrativi

In caso di annullamento della posizione previdenziale di un avvocato per svolgimento di altra attività incompatibile con la professione legale, Cassa Forense è tenuta alla restituzione dei contributi soggettivi versati, ma non di quelli integrativi.

Così la sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24141/20, depositata il 30 ottobre. La Corte d’Appello di Bologna riformava parzialmente la pronuncia di prime cure e confermava la restituzione agli eredi di un avvocato dei contributi versati a Cassa Forense dalla data della presentazione della domanda amministrativa. A seguito dell’annullamento della posizione previdenziale del de cuius per svolgimento di attività incompatibile con la professione forense, i Giudici di merito hanno infatti ritenuto che l’obbligo di restituzione dei contributi da parte della Cassa comprendesse sia i contributi soggettivi che quelli integrativi . Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Cassa Forense dolendosi per la violazione degli artt. 11 e 22 l. n. 576/1980 e 2033 c.c. per essere stata condannata alla restituzione anche dei contributi integrativi. La doglianza risulta fondata. La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che l’accertamento da parte del giudice di merito di una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione legale e con l’iscrizione all’Albo degli avvocati, comporta l’ inesistenza di un legittimo rapporto previdenziale con Cassa Forense. Di conseguenza, vengono meno i diritti e gli obblighi del soggetto nei confronti di quest’ultima, a prescindere dal fatto che tale incompatibilità sia o meno stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dal Consiglio dell’Ordine competente. Al professionista rimasto illegittimamente iscritto all’Albo, spetta dunque la restituzione dei contributi versati ex art. 2033 c.c E’ stato inoltre precisato che l’obbligo di restituzione non si estende ai contributi integrativi nel frattempo versati. Difatti, come si legge nella pronuncia in commento, posto che la l. n. 576/1980, art. 11, costruisce il relativo obbligo come strettamente inerente alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo e che la l. n. 319/1975, art. 2, comma 3, nel prevedere che l’attività professionale che sia stata svolta in una situazione di incompatibilità non accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente dia luogo esclusivamente alla preclusione dell’iscrizione alla Cassa di previdenza e all’impossibilità di considerare utile ai fini previdenziali il periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta, non revoca comunque in dubbio che l’attività professionale possa essere stata legittimamente esercitata in virtù della mera iscrizione all’Albo, deve ritenersi che il pagamento del contributo integrativo sia esclusivamente collegato all’esercizio dell’attività professionale resa comunque possibile dall’iscrizione e finalizzato all’attuazione del dovere di solidarietà intercategoriale, che non può venir meno per effetto dell’accertamento di una situazione d’incompatibilità rispetto all’esercizio della professione, con conseguente non configurabilità di un obbligo di restituzione dei contributi integrativi cfr. Cass.Civ. n. 30571/19 . Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 febbraio – 30 ottobre 2020, n. 24141 Presidente Manna – Relatore Cavallaro Fatti di causa Con sentenza depositata il 23.6.2014, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha fissato la decorrenza degli interessi dovuti sulle somme da corrispondere agli eredi dell’avv. C.L. a titolo di restituzione dei contributi da questi versati alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense alla data della presentazione della domanda amministrativa del 19.8.2011, invece che a quella di versamento dei contributi oggetto di restituzione. La Corte, in particolare, ha confermato la pronuncia del primo giudice nella parte in cui questi aveva ritenuto che, a seguito dell’annullamento della posizione previdenziale del professionista per avvenuto svolgimento di attività incompatibili con la professione forense, l’obbligo di restituzione dei contributi da parte della Cassa concernesse non soltanto i contributi soggettivi, ma altresì i contributi integrativi, e ha invece ritenuto, contrariamente al primo giudice, che la decorrenza degli interessi dovesse aver luogo dalla data della domanda di restituzione, non potendo al riguardo configurarsi alcuna mala fede della Cassa nel riceversi i contributi medesimi. Avverso tali statuizioni ha ricorso per cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, deducendo un unico e articolato motivo di censura, poi ulteriormente illustrato con memoria. Gli eredi dell’avv. C. hanno resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale basato a sua volta su un motivo. Ragioni della decisione Con l’unico motivo del ricorso principale, la Cassa ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 576 del 1980, artt. 11 e 22, e art. 2033 c.c., per avere la Corte di merito confermato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva esteso l’obbligo di restituzione anche ai contributi integrativi. Il motivo è fondato. Questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui l’accertamento da parte del giudice di merito di una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione legale e con la stessa iscrizione all’Albo degli avvocati comporta l’inesistenza di un legittimo rapporto previdenziale con la Cassa forense, con conseguente venir meno di diritti ed obblighi del soggetto illegittimamente iscritto, ancorché tale incompatibilità non sia stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dal Consiglio dell’Ordine competente, di talché al professionista che sia rimasto illegittimamente iscritto all’Albo spetta la restituzione dei contributi versati, giusta la disciplina dell’art. 2033 c.c. Cass. n. 15109 del 2005 . È stato nondimeno precisato che l’obbligo di restituzione non si estende ai contributi integrativi che siano stati nel tempo versati dal professionista posto che la L. n. 576 del 1980, art. 11, costruisce il relativo obbligo come strettamente inerente alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo e che la L. n. 319 del 1975, art. 2, comma 3, nel prevedere che l’attività professionale che sia stata svolta in una situazione di incompatibilità non accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente dia luogo esclusivamente alla preclusione dell’iscrizione alla Cassa di previdenza e all’impossibilità di considerare utile ai fini previdenziali il periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta, non revoca comunque in dubbio che l’attività professionale possa essere stata legittimamente esercitata in virtù della mera iscrizione all’Albo, deve ritenersi che il pagamento del contributo integrativo sia esclusivamente collegato all’esercizio dell’attività professionale resa comunque possibile dall’iscrizione e finalizzato all’attuazione del dovere di solidarietà intercategoriale, che non può venir meno per effetto dell’accertamento di una situazione d’incompatibilità rispetto all’esercizio della professione, con conseguente non configurabilità di un obbligo di restituzione dei contributi integrativi così Cass. n. 30571 del 2019, sulla scorta di Cass. n. 10458 del 1998 . Ciò posto, con l’unico motivo del ricorso incidentale, gli eredi dell’Avv. C. si dolgono di falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che gli interessi sui contributi oggetto di restituzione dovessero decorrere dalla data della domanda amministrativa del 19.8.2011, invece che dal momento del pagamento dei contributi. Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha ormai consolidato il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017, 3340 del 2019 . Nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione dell’art. 2033 c.c., pretende di criticare l’accertamento di fatto che la Corte territoriale ha compiuto al fine di escludere che fosse stata data prova della malafede dell’accipiens nè a diverse conclusioni potrebbe giungersi riqualificando il motivo in termini di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti cfr. su tale possibilità Cass. nn. 4036 del 2014 e 23940 del 2017 , dal momento che, avendo nella specie la Corte territoriale valutato l’inidoneità della mera conoscenza della situazione d’incompatibilità del de cuius a provare una situazione di malafede della Cassa accipiens, è evidente che parte ricorrente intende dolersi non già di un omesso esame, quanto piuttosto dell’esito di quell’esame, da ritenersi però questione di merito estranea al giudizio di legittimità. Pertanto, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Tenuto conto della declaratoria d’inammissibilità del ricorso incidentale, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.