Consegna pizze a domicilio: collaboratori a progetto o lavoratori dipendenti?

Con ordinanza n. 23768/20, depositata il 28 ottobre, la Cassazione è tornata a ribadire che per poter parlare di progetto”, intesto come programma di lavoro o fase di esso, questo deve risultare specifico, essere gestito autonomamente dal collaboratore e tendere ad un risultato.

La Corte d’Appello di Firenze, pronunciando sul gravame della S.T.G. s.r.l. in liquidazione e sul gravame incidentale dell’INPS, riteneva, come già affermato dal giudice di prime cure, che quanto ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa , di cui al verbale ispettivo, non era configurabile alcun progetto conforme ai requisiti previsti dall’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, essendo risultato che i collaboratori avevano esclusivamente svolto attività di consegna di pizze a domicilio e cioè un’attività meramente esecutiva e del tutto priva di autonomia, coincidente con una parte di quella unitariamente esercitata dall’impresa committente e non distinguibile da essa. Non solo, la Corte territoriale considerava di natura assoluta la presunzione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, con conseguente conversione ope legis dei rapporti di collaborazione in rapporti di lavoro subordinato e, quanto alle prestazioni occasionali oggetto del verbale ispettivo sopra richiamato, in riforma della sentenza di primo grado, le riteneva escluse dalla disciplina relativa al lavoro a progetto qualificandole, alla stregua degli elementi acquisiti al giudizio, in termini di lavoro subordinato, non rilevandone in senso contrario la brevissima durata. Proposto ricorso dalla società, la Cassazione , nel rigettarlo, ha colto l’occasione per chiarire che il progetto , inteso come il programma di lavoro o fase di esso, deve - risultare specifico , nel senso della individuazione di un contenuto caratterizzante e cioè di una indicazione, da inserirsi nel contratto, che ne delimiti con chiarezza e precisione l’oggetto e la portata - essere gestito autonomamente dal collaboratore - tendere ad un risultato , nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente, ossia al conseguimento di un obiettivo definito, che, se pure non eccezionale o del tutto sconnesso rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, deve nondimeno da questa essere concretamente distinguibile e tale da integrare un apporto collaborativo non circoscritto a un segmento distinto di una più ampia organizzazione produttiva. Nella fattispecie , secondo il Collegio di legittimità, la Corte di merito ha correttamente ritenuto che non fosse configurabile alcun progetto, nel senso voluto dall’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, stante la piena coincidenza delle prestazioni rese dai lavoratori con una porzione dell’attività di impresa esercitata dalla società, la quale - come egualmente accertato - gestiva una catena di punti vendita/pizzeria da asporto e con consegne a domicilio .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 13 luglio – 28 ottobre 2020, n. 23768 Presidente Raimondi – Relatore Della Torre Fatto e diritto Premesso che con sentenza n. 237/2015, pubblicata il 23 luglio 2015, la Corte di appello di Firenze, pronunciando sul gravame della S.T.G. s.r.l. in liquidazione e sul gravame incidentale dell’I.N.P.S., in proprio e quale procuratore speciale di S.C.C.I. s.p.a. - ha ritenuto, come già il primo giudice, quanto ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al verbale ispettivo n. 502/2008, che non era configurabile alcun progetto conforme ai requisiti previsti dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, essendo risultato che i collaboratori avevano esclusivamente svolto attività di consegna di pizze a domicilio e cioè un’attività, meramente esecutiva e del tutto priva di autonomia, coincidente con una parte di quella unitariamente esercitata dall’impresa committente gestione di una serie di punti di produzione e di vendita, da realizzarsi sia mediante la modalità dell’asporto da parte del consumatore, sia mediante il recapito del prodotto alimentare al suo domicilio e non distinguibile da essa - ha poi considerato, come già il primo giudice, di natura assoluta la presunzione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, con conseguente conversione ope legis dei rapporti di collaborazione in rapporti di lavoro subordinato - ha peraltro ritenuto, quanto alle prestazioni occasionali oggetto del verbale ispettivo n. 503/2008, in riforma - per questa parte - della sentenza di primo grado, che se tali prestazioni restano escluse D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 61, comma 2, dalla disciplina relativa al lavoro a progetto ove risultino di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore ai 5 mila Euro , deve, tuttavia, trattarsi di prestazioni autonome di collaborazione, mentre nel caso di specie esse dovevano qualificarsi in termini di lavoro subordinato, alla stregua degli elementi acquisiti al giudizio, non rilevandone in senso contrario la talvolta brevissima durata - che la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha, pertanto, dichiarato dovute dalla società le medesime somme indicate nella cartella esattoriale opposta, al netto della contribuzione già versata, per gli stessi periodi contributivi, nella gestione separata - che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società S.T.G. s.r.l. in liquidazione, affidandosi a cinque motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito l’I.N.P.S. con controricorso - che Equitalia Centro già Equitalia Cerit S.p.A., contumace nel giudizio di secondo grado, è rimasta intimata che il Procuratore Generale ha depositato le proprie conclusioni rilevato che con il primo e il secondo motivo di ricorso, denunciando rispettivamente violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, e vizio di motivazione, la società ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto che le prestazioni eseguite in attuazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa non fossero riconducibili ad un progetto , stante la coincidenza dell’attività affidata ai collaboratori con l’oggetto sociale e la carenza di specificità della stessa, senza, tuttavia, considerare che la disciplina del lavoro a progetto non prevede che il relativo contratto debba riguardare attività collaterali, che si affianchino a quella istituzionalmente condotta dall’impresa o che risultino differenziate, ulteriori o straordinarie rispetto all’attività e all’oggetto sociale di essa, posto che il corretto parametro per individuare il carattere della specificità è costituito dalla corrispondenza delle prestazioni del collaboratore ad un progetto o programma di lavoro particolare, seppure ricompreso nella normale attività aziendale ed inoltre, là dove ha posto l’accento sulla circostanza che i collaboratori si sarebbero limitati a porre le proprie energie a servizio dell’azienda, secondo la tempistica e l’organizzazione di quest’ultima, senza attribuire la necessaria rilevanza al risultato e cioè all’obiettivo perseguito elemento, questo, che rappresenta invece, nel lavoro a progetto, l’elemento essenziale e giuridicamente rilevante, indipendentemente dal tempo impegnato per l’esecuzione della prestazione e rispetto al quale, ove vi sia necessità di coordinamento con l’organizzazione produttiva aziendale, può risultare indispensabile, sul piano funzionale, la presenza del lavoratore sul luogo di esecuzione della prestazione, come l’osservanza di un orario di lavoro - che con il terzo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 all’art. 2728 c.c. e al D.Lgs. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere considerato assoluta la presunzione di cui all’art. 69, comma 1, con conseguente trasformazione, in via automatica, dei contratti di collaborazione in rapporti di lavoro subordinato, mentre deve ritenersi che la norma, prima della sua abrogazione ad opera del D.Lgs. n. 81 del 2015, integrasse una presunzione semplice, tale da rendere necessaria una puntuale indagine in ordine all’effettivo atteggiarsi del rapporto fra le parti - che con il quarto motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 c.c., la ricorrente censura la sentenza per avere erroneamente ritenuto, una volta esclusa la configurabilità di un progetto conforme ai requisiti legali, che non fosse necessaria alcuna ulteriore indagine ai fini della qualificazione del rapporto, in tal modo disattendendo completamente gli elementi, dai quali sarebbe emersa la condizione di sostanziale autogestione delle prestazioni da parte dei collaboratori - che con il quinto motivo viene infine dedotta dalla società ricorrente la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 2, non avendo la Corte di appello considerato che, ai fini della individuazione delle prestazioni occasionali, il legislatore si è limitato ad adottare limiti quantitativo-temporali ed economici, e che su tali premesse, diversamente da quanto statuito nella sentenza impugnata, è da ritenere non risulti necessaria alcuna analisi o indagine ulteriore circa la natura e tipologia della prestazione osservato che il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati - che, in punto di fatto, il giudice di appello ha accertato che ciascuno dei collaboratori svolgeva esclusivamente il compito di consegnare le pizze al domicilio dei clienti cfr. sentenza impugnata, p. 4 e che, nonostante gli obiettivi dichiarati nel progetto, nessuno di loro aveva ricevuto il compito, nè lo aveva di fatto comunque mai svolto, di curare in particolare la raccolta di dati circa il gradimento della clientela, la sua familiarizzazione con il prodotto e con l’azienda, le condizioni dei prodotti consegnati con l’ulteriore osservazione, secondo la quale l’esecuzione di tali compiti non avrebbe mutato affatto l’oggetto dell’incarico, rientrando nella ovvietà di qualunque mansione esecutiva connessa alla vendita anche il ritorno informativo all’imprenditore da parte dell’operatore tanto sulla qualità del prodotto venduto, quanto sul rilevato riscontro della clientela, finalizzato all’individuazione di canali di miglioramento del risultato commerciale cfr. ancora p. 4 e p. 5 - che, ciò posto, la sentenza deve ritenersi esente dalle censure che, con i motivi ora in esame, le sono rivolte, avendo offerto una corretta e condivisibile lettura della disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, e, in particolare, dei requisiti, ai quali deve conformarsi il progetto - che, infatti, il progetto come il programma di lavoro o fase di esso a deve risultare specifico , nel senso della individuazione di un contenuto caratterizzante art. 62, comma 1, lett. b e cioè di una indicazione, da inserirsi nel contratto, che ne delimiti con chiarezza e precisione l’oggetto e la portata b deve essere gestito autonomamente dal collaboratore e c tendere, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente, ad un risultato , vale a dire al conseguimento di un obiettivo definito, che, se pure non eccezionale o del tutto sconnesso rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, deve nondimeno da questa essere concretamente distinguibile e tale da integrare un apporto collaborativo non circoscritto a un segmento distinto di una più ampia organizzazione produttiva cfr. già, in tal senso, Cass. n. 24379/2017 - che esattamente, pertanto, la Corte di merito ha ritenuto che nella specie non fosse configurabile alcun progetto, nel senso voluto dall’art. 61 cit., stante la piena coincidenza delle prestazioni rese dai lavoratori con una porzione dell’attività di impresa esercitata calla società, la quale - come egualmente accertato cfr. sentenza, p. 2 - gestiva una catena di punti vendita/pizzeria da asporto e con consegne a domicilio, attiva a con la denominazione di omissis - che infondato è altresì il terzo motivo, avendo la Corte di appello fatto applicazione del principio di diritto, secondo il quale In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti Cass. n. 12820/2016 conforme, fra altre, Cass. n. 17127/2016 - che il quarto motivo resta assorbito nel rigetto del precedente - che anche il quinto motivo deve essere disatteso - che l’art. 61, comma 2, escludendo le prestazioni occasionali intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo il caso di un compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare superiore a 5 mila Euro dalla disposizione di cui al comma 1 , pone va semplicemente una deroga, fondata sulla riscontrata sussistenza degli indicati limiti quantitativo-temporali ed economici, alla regola della necessaria riconducibilità dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, sancendo di conseguenza la possibilità di rapporti che, pur appartenenti allo stesso genere, fossero svincolati dalla necessità di un tale legame purché, tuttavia, non implicando la norma in oggetto alcuna automatica determinazione, realmente ed effettivamente tali alla stregua degli esiti dell’indagine giudiziale volta al riconoscimento degli elementi distintivi della fattispecie - che tale indagine risulta compiuta dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata cfr. pp. 8-9 , attraverso una puntuale ricostruzione di fatto nè con il motivo in esame risulta dedotta la violazione dell’art. 2094 c.c. e dei criteri che presiedono alla qualificazione di un rapporto come di natura subordinata ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere respinto - che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 7.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.