Dipendente a mansioni inferiori: fondamentale sia per poco tempo

Inutile l’azione legale portata avanti da un dipendente di un’azienda di trasporti. Per i Giudici il lavoratore deve accettare la flessibilità d’uso. Soprattutto se essa riguarda in concreto un arco temporale ridotto.

Il lavoratore deve mostrarsi flessibile, e quindi accettare anche l’assegnazione, da parte dell’azienda, a mansioni inferiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza. A maggior ragione, poi, quando l’incarico copre un limitato arco temporale nell’ambito di una singola giornata lavorativa Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 22668/20, depositata il 19 ottobre . A battagliare sono un lavoratore e una società di trasporti. Terreno di scontro è l’ordine di servizio con cui l’azienda ha adibito il dipendente a mansioni inferiori a quelle di sua competenza. Nello specifico, il lavoratore chiede ai Giudici di sancire l’obbligo della società di adibirlo esclusivamente alle mansioni di sua competenza quale operatore di scambi cabina”, e non, come la stessa società aveva disposto, con apposito ordine di servizio, a quelle, inferiori e quindi dequalificanti, precedentemente svolte, di operatore di manutenzione”, e di corrispondergli la retribuzione prevista contrattualmente per la qualifica di appartenenza . Allo stesso tempo, egli sostiene anche l’illegittimità e il carattere persecutorio e vessatorio del comportamento della società concretatosi nel suo demansionamento e nella reiterata irrogazione di sanzioni disciplinari , a fronte del rifiuto da lui opposto a tale impiego . Consequenziale è, sempre secondo il lavoratore, la configurabilità in termini di mobbing , incidente in senso pregiudizievole sul suo stato di salute psico-fisico , e ciò rende legittima, a suo avviso, la condanna della società al risarcimento del danno biologico, professionale, esistenziale e morale da lui subito. Questa visione è però considerata poco plausibile dai Giudici di merito. Sia in Tribunale che in Corte d’Appello, difatti, vengono respinte le richieste avanzate dal lavoratore, mentre viene ritenuto legittimo l’impiego del dipendente in mansioni inferiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza, dovendo ammettersi una tale flessibilità, tenuto conto del ridotto periodo di tempo di adibizione ad esse, in assoluto e nell’arco della singola giornata lavorativa . A portare la questione in Cassazione è, ovviamente, il lavoratore, che sostiene siano stati violati il Codice Civile e il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al Trasporto pubblico locale”. A questo proposito, egli annota, tramite il proprio legale, che l’impiego promiscuo del dipendente in compiti propri della qualifica inferiore in precedenza rivestita è escluso sul piano legislativo e contrattuale , e deduce da ciò l’illegittimità del disconoscimento dell’idoneità lesiva della condotta tenuta dalla società, viceversa qualificabile , a suo dire, come mobbing e fonte di danno risarcibile . A queste osservazioni, però, i Giudici del Palazzaccio ribattono ricordando che il lavoratore può essere adibito, per motivate esigenze aziendali , anche a compiti inferiori, se marginali rispetto a quelli propri del suo livello , e ciò significa che la flessibilità data dall’impiego del lavoratore in mansioni promiscue si rivela di per sé legittima, mentre non trova ostacolo nella disciplina contrattuale di settore, la cui interpretazione in termini di legittimazione della flessibilità in uso in quanto autorizzata da precedenti accordi collettivi pur dichiarati superati . Conseguenza ulteriore è l’inconfigurabilità di condotte illegittime della società idonee a fondare pretese risarcitorie , concludono i magistrati.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 13 luglio – 19 ottobre 2020, n. 22668 Presidente Raimondi – Relatore De Marinis Rilevato che con sentenza del 7 febbraio 2017, la Corte d'Appello di Lecce confermava la decisione resa dal Tribunale di Lecce e rigettava le domande proposte da Au. De Bl. nei confronti di Ferrovie del Sud-Est e Servizi Automobilistici S.r.l., domande aventi ad oggetto la declaratoria dell'obbligo della Società datrice di adibire il De Bl. esclusivamente alle mansioni di sua competenza quale operatore di scambi cabina e non, come la stessa Società aveva disposto, con apposito ordine di servizio, a quelle, inferiori e quindi dequalificanti, precedentemente svolte di operatore di manutenzione e di corrispondergli la retribuzione prevista contrattualmente per la qualifica di appartenenza ivi comprese le somme arretrate non corrisposte dalla data di maturazione del diritto, l'accertamento dell'illegittimità nonché del carattere persecutorio e vessatorio del comportamento della Società concretatisi nel demansionamento e, a fronte del rifiuto opposto dal De Bl. a tale impiego, nella reiterata irrogazione di sanzioni disciplinare, la sua conseguente configurabilità in termini di mobbing, incidente in senso pregiudizievole sullo stato di salute psico-fisico del De Bl. e la condanna della Società al risarcimento del danno biologico, professionale, esistenziale e morale, da liquidarsi anche in via equitativa - che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto legittimo l'impiego del De Bl. in mansioni inferiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza dovendo ammettersi, anche alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, una tale flessibilità, tenuto conto del ridotto periodo di tempo di adibizione ad esse, in assoluto e nell'arco della singola giornata lavorativa, irrilevante a tale stregua la questione dell'ammissibilità di tale flessibilità alla luce della disciplina collettiva, formalmente legittima l'irrogazione di sanzioni disciplinari, dovendosi ritenere le previsioni sul punto recate dal R.D. n. 148/1931 compatibili con la regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri e, perciò, estranee all'abrogazione del R.D. n. 148/1931, disposta dall'art. 2, comma 9, I. n. 662/1996 e rinunziate e comunque infondate le domande risarcitone connesse al presunto demansionamento ed alla violazione dell'art. 2087 c.c. - che per la cassazione di tale decisione ricorre il Vi., affidando l'impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, la Società - che il ricorrente ha poi presentato memoria Considerato che con l'unico motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2087 c.c. e del CCNL 27.11.2000 per il Trasporto Pubblico Locale in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale per essere l'impiego promiscuo del ricorrente in compiti propri della qualifica inferiore in precedenza rivestita escluso sul piano legislativo e contrattuale e conseguentemente l'illegittimità del disconoscimento dell'idoneità lesiva dell'integrità psico-fisica del lavoratore della condotta della Società, viceversa qualificabile come mobbing e fonte di danno risarcibile, domanda questa a sua volta erroneamente considerata rinunziata e disattesa dalla Corte territoriale - che il motivo esposto si rivela infondato, ritenendo questo Collegio di dover dare continuità all'orientamento accolto da questa Corte e puntualmente richiamato nella motivazione dell'impugnata sentenza per cui il lavoratore può essere adibito, per motivate esigenze aziendali, anche a compiti inferiori, se marginali rispetto a quelli propri del suo livello cfr., da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord, 31 agosto 2018, n. 21515 , in base al quale la flessibilità data dall'impiego del lavoratore in mansioni promiscue si rivela di per sé legittimo, mentre non trova ostacolo nella disciplina contrattuale di settore ai sensi dell'art. 2 del CCNL 27.11.2000, la cui interpretazione in termini di legittimazione della flessibilità in uso in quanto autorizzata da precedenti accordi collettivi pur dichiarati superati fatta propria dalla Corte territoriale non risulta adeguatamente confutata dal ricorrente, conseguendone, secondo quanto statuito dalla Corte territoriale l'inconfigurabilità nella specie di condotte illegittime della Società idonee a fondare pretese risarcitone, di cui, comunque, inammissibilmente, per difetto di autosufficienza, stante la mancata trascrizione o allegazione di documentazione comprovante la circostanza, si contesta l'intervenuta rinunzia contestualmente affermata dalla Corte territoriale - che il ricorso va, dunque, rigettato - che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.