Compenso forense: chiarimenti sull’applicazione delle tabelle ministeriali

L’art. 41, d.l. n. 140/2012, va letto nel senso che i nuovi parametri si applicano quando la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del citato decreto e si riferisca al compenso spettante all’avvocato che, a quella data, non abbia ancora completato la sua attività professionale, anche se essa abbia già avuto inizio e sia stata in parte svolta in epoca precedente, quando erano ancora in vigore le tariffe professionali abrogate.

Questo il contenuto dell’ordinanza della Suprema Corte n. 19068/20, depositata il 14 settembre. La Corte d’Appello di Napoli accoglieva il gravame proposto da un soggetto nei confronti dell’INPS e del Ministero dell’Economia e delle Finanze contro la pronuncia di primo grado che aveva parzialmente accolto la sua domanda circa la corresponsione dell’indennità di accompagnamento. Con riguardo alle spese di lite , in particolare, la Corte aveva tenuto in considerazione la maturazione dei diritti e dei compensi ratione temporis nonché dell’intervenuta regolamentazione dei criteri in sede giudiziale dei compensi ex art. 9, d.l. n. 2/2012, oltre che del valore della controversia, ritenendo che dovessero applicarsi le tariffe professionali introdotte con il d.m. n. 140/2012, visto che la liquidazione giudiziale era intervenuta in un momento successivo all’entrata in vigore di tale decreto e si riferiva ad attività professionale che non si era ancora completata. La suddetta pronuncia viene impugnata dall’INPS, che lamenta l’avvenuta condanna al pagamento delle spese di primo grado con l’indicazione di un unico importo a titolo di spese, senza distinguere tra diritti e onorari, oltre alla lamentata violazione dei criteri oggetto del d.m. n. 140/2012 applicabile ratione temporis in sede di liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio. Inoltre, l’istituto lamenta l’illegittimità della decisione nel punto in cui essa non ha applicato le riduzioni previste per le cause di particolare semplicità. La Corte di Cassazione dichiara il primo motivo di ricorso inammissibile , richiamando l’orientamento delle Sezioni Unite secondo il quale, ai sensi dell’art. 41, d.m. n. 140/2012, con il quale sono stati determinati i parametri ai quali devono essere commisurati i compensi professionali in luogo delle abrogate tariffe professionali , essi sono destinati a trovare applicazione laddove la liquidazione sia operata da un’autorità giudiziaria dopo l’entrata in vigore del decreto, come avvenuto nel caso concreto. Lo stesso orientamento specifica che la suddetta norma deve essere interpretata nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate . Inoltre, le Sezioni Unite aggiungono che l’attuale unificazione di diritti ed onorari nella nuova accezione omnicomprensiva di compenso ” non può non implicare l’adozione del medesimo principio alla liquidazione di quest’ultimo, tanto più che alcuni degli elementi dei quali l’art. 4 del decreto ministeriale impone di tener conto nella liquidazione sarebbero difficilmente apprezzabili ove il compenso dovesse esser riferito a singoli atti o a singole fasi, anziché alla prestazione professionale nella sua interezza . Ciò ribadito, i Giudici di legittimità applicano il suddetto principio alla fattispecie in esame, non accogliendo il primo motivo di ricorso dell’INPS. Quanto, invece, alla seconda doglienza del ricorrente, la Corte specifica che il potere del giudice di diminuire o alzare il compenso in relazione alle circostanze del caso concreto deve interpretarsi nel senso che tale potere discrezionale non è sindacabile in tale sede, attenendo a parametri fissati nella tabella ministeriale, mentre la motivazione è necessaria qualora egli decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere. Ciò rilevato, la Corte riscontra che nel caso di specie la sentenza impugnata si è mossa all’interno del valore massimo previsto dalla tabella, concludendo con la dichiarazione di infondatezza del motivo di ricorso ed il rigetto di quest’ultimo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 luglio – 14 settembre 2020, n. 19068 Presidente D’Antonio – Relatore Calafiore Rilevato in fatto Che la Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 705/2014, ha accolto l'appello proposto da F.M., nei confronti dell'Inps e del Ministero dell'Economia e delle finanze, avverso la sentenza di primo grado di parziale solo dal mese di ottobre 2007 accoglimento della domanda tesa alla corresponsione dell'indennità di accompagnamento sin dalla data di presentazione della domanda amministrativa marzo 2004 in particolare, la Corte territoriale, dopo aver espletato consulenza tecnica d'ufficio, ha riconosciuto il diritto all'indennità di accompagnamento a decorrere dal 10 Marzo 2004 con condanna dell'Inps al pagamento dei ratei maturati dal primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa fino al 1 ottobre 2007 decorrenza già riconosciuta in primo grado quanto alle spese di lite, la Corte d'appello ha tenuto conto della maturazione dei diritti e degli onorari ratione temporis e della intervenuta regolamentazione dei parametri in sede giudiziale dei compensi ai sensi del D.L. n. 2 del 2012, art. 9, convertito in L. n. 27 del 2012, oltre che del valore della controversia, quindi, richiamando la giurisprudenza di legittimità Cass. SS.UU. n. 17406 del 2012 ha ritenuto che dovessero applicarsi le tariffe professionali introdotte dal D.M. n. 140 del 2012 in quanto la liquidazione giudiziale era intervenuta in un momento successivo all'entrata in vigore del predetto decreto e si riferiva ad attività del professionista che, a quella data, non aveva ancora completato la prestazione professionale, ancorchè tale prestazione avesse avuto inizio e si fosse in parte svolta in epoca precedente conseguentemente ha liquidato, per il primo grado, Euro 3.350,00 ed, in grado d'appello, Euro 4020,00, con distrazione in favore dell'avvocato Gennaro Orlando avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione l'Inps sulla base di due, articolati, motivi resiste con controricorso F.M. D. ed F.A. hanno depositato, in data 6 luglio 2020, atto di intervento volontario quali eredi di F.M. Considerato in diritto che non assume rilievo processuale l'atto di intervento volontario degli eredi F.D. ed F.A. posto che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l'istituto dell'interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l'ingresso nel processo Cassazione n. 1757 del 29/01/2016 24635/ 2015 il ricorso è stato proposto tempestivamente nei termine previsto dall'art. 327 c.p.c. giacchè la sentenza, contrariamente all'assunto del contro ricorrente, è stata notificata all'INPS in persona del suo legale rappresentante in OMISSIS e non al procuratore costituito, avvocato Giovanna Sereno con domicilio eletto in OMISSIS per cui non può applicarsi il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. invero, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, la notifica della sentenza deve essere effettuata presso il domicilio reale o eletto del difensore e non già presso il domicilio eletto della parte, anche se detti luoghi possono coincidere pertanto, se la notificazione della sentenza, come è accaduto nel caso di specie, è priva di ogni riferimento al procuratore costituito quale destinatario dell'atto, la stessa non è idonea a fare decorrere il termine ex art. 325 c.p.c., non potendosi ritenere che permanga, in tale evenienza, un collegamento tra la parte, il suo procuratore ed il domicilio di quest'ultimo, in modo che il difensore possa avere conoscenza dell'atto Cass. n. 21734 del 21 ottobre 2016 con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 13 c.p.c., comma 2, dell'art. 1 e dell'art. 6, comma 1, delle tariffe forensi approvate con D.M. n. 127 del 2004, del D.M. n. 140 del 2012, artt. 1,4,5 e 11, emesso ex D.L. n. 1 del 2012, art. 9, conv. in L. n. 27 del 2012 e della tabella A allegata al citato D.M. n. 140 del 2012, tutti in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ad avviso dell'Istituto ricorrente, la Corte d'appello avrebbe errato nel condannare il medesimo istituto alle spese del primo grado di giudizio indicando un unico importo a titolo di spese, senza distinguere fra diritti ed onorari e senza neanche precisare quale fosse la normativa applicata ed i criteri di riferimento in sostanza, la sentenza sarebbe incorsa in errore nel procedere alla nuova liquidazione delle spese del primo grado di giudizio, posto che per effetto della sentenza d'appello era stata riconosciuta una differente decorrenza dalla data della domanda amministrativa del 10 Marzo 2004 mentre, dal 1 ottobre 2007 il diritto era stato già riconosciuto in primo grado e l'Inps era già stato condannato anche alla rifusione delle spese di tale grado di giudizio peraltro, la sentenza di primo grado era stata emessa il 12 novembre 2008, per cui la sentenza impugnata avrebbe dovuto liquidare le spese del primo grado in base alle tariffe fissate con il D.M. n. 127 del 2004 distinguendo, quindi, fra diritti ed onorari invece, oltre che aver omesso la distinzione fra tali voci, la sentenza non aveva fatto riferimento alle tariffe del D.M. n. 127 del 2004 ancora, rileva il ricorrente, poichè al F. spettano tre annualità e sei mensilità a titolo di indennità di accompagnamento, comprese tra il 1 Aprile 2004 ed il 30 settembre 2007, per un importo che ammonta ad Euro 18.785,19, il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese avrebbe dovuto essere riferito esclusivamente alle somme per le suddette tre annualità e sei mensilità e lo scaglione applicabile avrebbe dovuto essere quello compreso tra Euro 5.200 ed Euro 26.000 altro vizio si rinviene nella liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio giacchè la Corte di merito nel quantificare i compensi dovuti al difensore avrebbe violato i criteri di cui al D.M. n. 140 del 2012, applicabile ratione temporis in assenza di specificazione, si afferma, si dovrebbe ritenere che il collegio non abbia applicato il corretto scaglione di riferimento ed abbia omesso la motivazione sulle ragioni giustificative dell'aumento dei valori medi di liquidazione prevista dalla tabella allegata al citato D.M. n. 140 del 2012, ciò costituendo una aperta violazione dell'art. 11 del medesimo D.M., che prevede che i parametri di cui alla tabella possono sempre essere aumentati o diminuito in considerazione di circostanze concrete specificamente indicate ancora, denuncia il ricorrente, sempre quanto alla liquidazione delle spese del secondo grado, l'erroneità della entità dei compensi determinati in applicazione del D.M. n. 140 del 2012, scaglione fino ad Euro 26.000, secondo la tabella allegata al D.M. n. 140 medesimo con il secondo motivo di ricorso, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, artt. 4 e 11, emesso ex D.L. n. 1 del 2012, art. 9, e della tabella A allegata al citato D.M. n. 140 del 2012 si deduce l'illegittimità della sentenza impugnata laddove la stessa non ha applicato le riduzioni previste per le cause di particolare semplicità e, comunque, in quanto alla liquidazione cui si è pervenuti pari ad Euro 4020,00 per il secondo grado non si sarebbe potuti giungere neanche applicando, all'opposto, l'aumento massimo dei valori medi, da qui la violazione del disposto del D.M. n. 140 del 2012, art. 4 in quanto nessuna motivazione era stata offerta a sostegno della liquidazione il primo motivo, nelle sue diverse componenti, è in parte inammissibile ed in parte infondato al fine di inquadrare correttamente la questione, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione, con la sentenza n. 17405 del 12 ottobre 2012, hanno ricordato che, a norma del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, che ha dato attuazione alla prescrizione contenuta nel D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 271, le disposizioni con cui detto decreto ha determinato i parametri ai quali devono esser commisurati i compensi dei professionisti, in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono destinate a trovare applicazione quando, come nella specie, la liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all'entrata in vigore del medesimo decreto si è rilevato che per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare al citato art. 41 del decreto ministeriale un'interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. Vero è che il D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 3 stabilisce che le abrogate tariffe continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, sino all'entrata in vigore del decreto ministeriale contemplato nel comma precedente ma da ciò si può trarre argomento per sostenere che sono quelle tariffe - e non i parametri introdotti dal nuovo decreto - a dover trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui si tratta si sia completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe. Non potrebbe invece condividersi l'opinione di chi, con riferimento a prestazioni professionali iniziatesi prima, ma ancora in corso quando detto decreto è entrato in vigore ed il giudice deve procedere alla liquidazione del compenso, pretendesse di segmentare le medesime prestazioni nei singoli atti compiuti in causa dal difensore, oppure di distinguere tra loro le diverse fasi di tali prestazioni, per applicare in modo frazionato in parte la precedente ed in parte la nuova regolazione. Osta ad una tale impostazione il rilievo secondo cui - come anche nella relazione accompagnatoria del più volte citato decreto ministeriale non si manca di sottolineare - il compenso evoca la nozione di un corrispettivo unitario, che ha riguardo all'opera professionale complessivamente prestata e di ciò non si è mai in passato dubitato, quando si è trattato di liquidare onorari maturati all'esito di cause durante le quali si erano succedute nel tempo tariffe professionali diverse, giacchè sempre in siffatti casi si è fatto riferimento alla tariffa vigente al momento in cui la prestazione professionale si è esaurita cfr., ad esempio, Cass. n. 5426 del 2005, e Cass. n. 8160 del 2001 . L'attuale unificazione di diritti ed onorari nella nuova accezione omnicomprensiva di compenso non può non implicare l'adozione del medesimo principio alla liquidazione di quest'ultimo, tanto più che alcuni degli elementi dei quali l'art. 4 D.M. impone di tener conto nella liquidazione complessità delle questioni, pregio dell'opera, risultati conseguiti, ecc. sarebbero difficilmente apprezzabili ove il compenso dovesse esser riferito a singoli atti o a singole fasi, anzichè alla prestazione professionale nella sua interezza. Nè varrebbe obiettare che detti elementi di valutazione attengono alla liquidazione del compenso dovuto al professionista dal proprio cliente, sembrando inevitabile che essi siano destinati a riflettersi anche sulla liquidazione giudiziale effettuata per determinare il quantum delle spese processuali di cui la parte vittoriosa può pretendere il rimborso nei confronti di quella soccombente tale principio, del tutto condivisibile e confermato, tra le altre, da Cass. nn. 13628 del 2015, 10520 del 2018, n. 12093 del 2018 e 27237 del 2018, va riconfermato ed applicato anche alla fattispecie in esame ove si tratta di stabilire quale regime vada applicato in caso di liquidazione effettuata, a seguito di riforma della sentenza di primo grado, successivamente alla entrata in vigore del D.M. n. 140 del 2012 e, quindi, in ipotesi in cui l'attività del professionista seppure iniziata e svoltasi, in parte, prima del 2012 non era ancora cessata al momento della liquidazione la tesi del ricorrente, al contrario, poggia sulla ricostruzione del regime della successione delle diverse discipline ancorata alla scissione dell'attività del professionista in singoli atti o nei diversi gradi o fasi processuali, tesi, come si è visto, negata dalle Sezioni Unite di questa Corte ed ulteriormente ribadita dalla successiva giurisprudenza sopra richiamata che ha, dunque, superato la diversa interpretazione della pronuncia delle Sezioni Unite del 2012 offerta da talune decisioni vd. Cass. n. 2386 del 2017 inoltre, va osservato che il ricorrente non ha neanche dimostrato di avere un concreto interesse alla disamina da parte della Corte di cassazione di talune delle questioni proposte in sintesi erronea mancata applicazione del D.M. n. 127 del 2004 quanto alle tariffe ivi previste ed alla distinzione tra diritti ed onorari, in relazione alla liquidazione delle spese del primo grado di giudizio erronea applicazione dello scaglione di riferimento, atteso il valore della causa limitato ai ratei non riconosciuti in primo grado pari ad Euro 18.785,19 mancanza di specificazione dei criteri adottati secondo le indicazioni del D.M. n. 140 del 2012 - quanto alla liquidazione delle spese del secondo grado- , posto che questa Corte di cassazione Cass. n. 15363 del 26 luglio 2016 ha affermato che in tema di spese processuali, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia della mancata distinzione, nella sentenza impugnata, tra diritti ed onorari secondo la disciplina delle tariffe professionali applicabili ratione temporis alla fattispecie, atteso che, in assenza di deduzioni sui concreti pregiudizi subiti dalla mancata applicazione di tale distinzione, la censura non dimostra l'esistenza di un interesse ad ottenere una riforma della decisione e, più in generale, il principio applicabile laddove si lamenti una scorretta applicazione della disciplina di cui al D.M. n. 140 del 2012 è quello secondo il quale in tale ipotesi il ricorrente ha l'onere di indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato dall'applicazione delle disposizioni invocate, atteso che, in forza dei principi di economia processuale, ragionevole durata del processo e interesse ad agire, l'impugnazione non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicchè l'annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata Cass. n. 20128 del 2015 è, inoltre, infondato il profilo denunciato relativamente alla mancanza di motivazione in ordine all'aumento del valore medio indicato in ciascuna fase, che, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto portare, per il grado d'appello, alla liquidazione al massimo di Euro 2.520,00 e non di Euro 4.020,00, come era accaduto questa Corte di cassazione, in proposito, ha affermato che in tema di liquidazione delle spese giudiziali ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, la disciplina secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, di regola , quelli di cui alla allegata tabella A, la quale contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in considerazione delle circostanze concrete, va intesa nel senso che l'esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla forcella di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura Cass. 12537 del 12 maggio 2019 nel caso di specie, considerando che l'importo di Euro 4020 è indicato come importo complessivo dovuto, comprensivo cioè del 4% per Cassa Avvocati ed IVA deve ritenersi che la sentenza si sia mossa all'interno del valore massimo previsto dalla tabella Compenso tabellare ex art. 11 Euro 3.855,00- Cassa Avvocati 4% Euro 154,20 Totale imponibile Euro 4.009,20 - IVA 22% su Imponibile Euro 882,02 anche il secondo motivo, posto il principio sopra enunciato relativamente alla insindacabilità in sede di legittimità del potere discrezionale del giudice che liquidi le spese del giudizio all'interno dei parametri minimi o massimi indicati dalla tabella, è infondato la Corte d'appello, infatti non ha oltrepassato tali limiti e, dunque, non avrebbe dovuto motivare specificamente sulle ragioni della mancata riduzione o della insussistente maggiorazione degli importi tabellari in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo con attribuzione in favore dell'avvocato Gennaro Orlando dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge, da distrarsi in favore dell'avvocato Gennaro Orlando. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.