Rapporto di lavoro già cessato, CIG illegittima: soldi da restituire all'INPS

Vittoria per l’istituto previdenziale. Evidentemente illegittima la cassa integrazione percepita per oltre quattro mesi da una donna. Ripetibili da parte dell’INPS gli oltre 4mila euro versati.

Cassa integrazione illegittima per la lavoratrice. E allora l' INPS ha il diritto di ottenere la restituzione di quanto erogato – oltre 4mila euro, in questo caso – alla donna. Cassazione, sentenza n. 16851/20, sez. Lavoro, depositata il 7 agosto . Riflettori puntati sulla integrazione salariale concessa per quattro mesi e mezzo ad una lavoratrice e quantificata in 4mila e 165 euro. Secondo l'INPS quei soldi non avrebbero dovuti versati alla donna, poiché, in particolare, ella era stata licenziata dal datore di lavoro in epoca anteriore alla decorrenza della cassa integrazione . Per i Giudici di merito, però, le pretese avanzate dall’istituto previdenziale sono prive di fondamento. Ciò significa che è irripetibile da parte dell'INPS l'importo erogato alla lavoratrice a titolo di integrazione salariale per oltre quattro mesi. Dalla Cassazione , però, arriva una decisione che stravolge le valutazioni compiute tra primo e secondo grado, e condanna la lavoratrice. I Giudici ricordano in premessa che in tema di indebito previdenziale , il percipiente ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata e già ricevuta . Ciò significa che in questo era la lavoratrice a dovere allegare e dimostrare la sussistenza del requisito per l’erogazione della integrazione salariale e tale accertamento era preliminare ed assorbente rispetto alla buonafede o meno della percipiente nella comunicazione dello svolgimento, durante il periodo di cassa integrazione, di attività lavorativa . Invece si è appurato che la lavoratrice era stata licenziata prima della concessione della CIG . Di conseguenza, è legittima la posizione dell’Impegno, secondo cui la lavoratrice non aveva diritto alla cassa integrazione . Tirando le somme, risultando indebito il trattamento di integrazione salariale alla luce della già intervenuta cessazione del rapporto di lavoro , è legittima la pretesa dell’Inps per la restituzione della somma versata alla donna.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 gennaio – 7 agosto 2020, n. 16851 Presidente Manna – Relatore Ghinoy Fatti di causa 1. La Corte d'Appello di Perugia confermava la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto irripetibile da parte dell'Inps l'importo di Euro 4.165,11 erogato ad El. Co. a titolo di integrazione salariale per il periodo dal 14 giugno al 30 ottobre 2010. 2. La Corte territoriale condivideva la ratio decide/idi adottata dal primo giudice, secondo la quale non poteva configurarsi la decadenza dal trattamento ai sensi dell'articolo 8 comma 5 del D.L. n. 86 del 1988 ritenuta dall'Inps a fondamento del recupero per non avere l'interessata comunicato all'istituto di aver svolto attività di lavoro subordinato nei giorni 16 giugno e 7 luglio 2010, in quanto in quel momento la lavoratrice non era a conoscenza della concessione della cassa integrazione in favore del datore di lavoro, che era stata deliberata dalla Regione Umbria il 30 giugno 2010 con efficacia retroattiva dal 14 giugno. 3. La Corte riteneva altresì che non potesse darsi spazio all' eccezione formulata dall'INPS solo in sede d'appello, secondo la quale il trattamento di integrazione salariale non spettava in quanto la lavoratrice era stata licenziata dal datore di lavoro in epoca anteriore alla decorrenza della cassa integrazione, essendo stato in tal modo introdotto in giudizio un nuovo thema decidendi, con alterazione dell'oggetto sostanziale dell'azione e dei termini della controversia, in violazione dell'articolo 437 secondo comma c.p.comma 4. Per la cassazione della sentenza l'INPS ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso El. Co 5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.comma Ragioni della decisione 6. L'Inps deduce come primo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione degli articoli 345 e 437 c.p.comma con riferimento agli articoli 1 della legge 20 maggio 1975 n. 164, 1 della legge 23 luglio 1991 n. 223, 2 comma 36 della legge 22 dicembre 2008 n. 203, 19 del D.L. n 185 del 2008 convertito in legge 28 gennaio 2009 n. 2, e 7-ter del decreto-legge n. 5 del 2009 convertito in legge 9 aprile 2009 n. 33, come vigenti ratione temporis. 7. Sostiene che, trattandosi di eccezione in senso lato, la questione avente ad oggetto la mancata spettanza dell'integrazione salariale non poteva ritenersi preclusa in quanto basata su un fatto, l'avvenuto licenziamento della lavoratrice a far data dal primo giugno 2010, allegato dalla stessa sin dalla ricorso introduttivo del giudizio. 8. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 2033 e 2697 c.c., con riferimento agli articoli 115 c.p.comma 1 della legge 20 maggio 1975 n. 164, 1 della legge 23 luglio 1991 n. 223, 2 comma 36 della legge 22 dicembre 2008 n. 203, 19 del D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009 n. 2, e 7 ter del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5 convertito in legge 9 aprile 2009 n. 33, come vigenti ratione temporis. 9. L'istituto lamenta che la Corte territoriale nel confermare la sentenza di primo grado abbia riconosciuto alla signora Co. il trattamento di integrazione salariale in deroga per il periodo dal 14 giugno 2010 al 30 ottobre 2010, nonostante il difetto di prova a suo carico della sussistenza dei requisiti del diritto ed in specie del presupposto della sospensione del rapporto di lavoro, trattandosi di azione di accertamento negativo dell'indebita percezione della prestazione previdenziale. 10. La difesa della controricorrente ha eccepito la nullità del ricorso per difetto di procura speciale, che tuttavia risulta apposta a margine del ricorso. 11. Il ricorso è fondato. 12. Occorre qui ribadire che in tema di indebito previdenziale, il percipiente ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata e già ricevuta Cass. Sez. U, n. 18046 del 04/08/2010, Cass. n. 1228 del 20/01/2011, n. 2739 del 11/02/2016 . Era dunque onere della Co. allegare e dimostrare la sussistenza dei requisiti per l'erogazione dell'integrazione salariale tra cui l'essere lavoratore sospeso o ad orario ridotto e tale accertamento era preliminare ed assorbente rispetto alla buona fede o meno della percipiente nella comunicazione dello svolgimento, durante il periodo di cassa integrazione, di attività lavorativa. 13. La valorizzazione da parte dell'Inps solo in appello del fatto che la Co. non avesse diritto alla CIG perché licenziata prima della sua concessione non integrava - contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale - nuova eccezione né in senso proprio né in senso lato , bensì mera difesa basata su fatti le date di licenziamento e di concessione della CIGS già appartenenti al materiale di causa perché addirittura allegati dalla stessa Co. con il ricorso introduttivo del giudizio. Costituiva in effetti la sollecitazione della corretta applicazione alla fattispecie, come risultata in causa della normativa che la disciplina, non soggetta al divieto previsto dall'art. 437 II comma c.p.comma 14. Segue l'accoglimento del ricorso dell'Inps. 15. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, risultando il trattamento di integrazione salariale indebito per la già intervenuta cessazione del rapporto di lavoro, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto dell'originaria domanda proposta da El. Co 16. Le spese dell'intero processo vengono compensate tra le parti, in ragione del comportamento processuale della ricorrente che aveva fornito sin dal primo grado di giudizio gli elementi per una completa valutazione della vicenda. 17. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente vittorioso, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda proposta da El. Co Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.