Agente di polizia penitenziaria aggredita da una detenuta: è vittima del dovere?

Circa la definizione di ordine pubblico, agli effetti delle provvidenze previste per le vittime del dovere, la Cassazione chiarisce che il comma 563 dell’art. 1 l. n. 266/2020 non prevede la presenza di un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico.

Così con sentenza n. 16571/20 depositata il 31 luglio. La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado che aveva riconosciuto i benefici previsti per le vittime del dovere alla agente di polizia penitenziaria per lesioni permanenti derivate dall’ aggressione subita ad opera di una detenuta del carcere. Avverso tale pronuncia, il Ministero dell’Interno propone ricorso per cassazione denunciando la violazione dell’art. 1, comma 563, l. n. 266/2020, per non avere la Corte territoriale considerato che la condizione di vittima del dovere sussiste solo in presenza di eventi eccedenti il rischio ordinario e istituzionale connesso alle funzioni svolte e costituisce un quid pluris rispetto alla situazione che dà luogo al riconoscimento della causa di servizio . Ebbene, dopo una ricostruzione del quadro normativo relativo alla disciplina a tutela delle vittime del dovere, la Cassazione ha chiarito che è essenziale - per la vittima del dovere che abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio , non essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio - che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di particolari condizioni , costituente una connotazione aggiuntiva e specifica ai sensi del d.P.R. n. 243/2006, nel senso che rilevano condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto . Circa poi la riconducibilità della fattispecie all’ipotesi contraddistinta dal comma 563, lett. d l. n. 266/2020, come ritenuto dalla Corte territoriale, la Suprema Corte ha poi affermato che la definizione di ordine pubblico , agli effetti delle provvidenze previste per le vittime dei dovere, risulta acquisita e consolidata nella giurisprudenza di questa Corte che ha già rimarcato che il richiamato comma 563, a differenza dal comma successivo, non prevede la presenza d’un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico . Tale principio, è stato ulteriormente ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione proprio con riferimento agli agenti della polizia penitenziaria che, in applicazione del comma 563, lett. c , hanno ritenuto l’evento dannoso verificatosi nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari , quali anche le case circondariali, nella peculiare fattispecie in cui il sinistro occorso ad un agente della polizia penitenziaria si era verificato durante lo svolgimento dell’ordinaria attività di vigilanza all’esterno della infrastruttura carceraria . Per quanto concerne il caso in esame, la Corte accoglie il ricorso del Ministero dell’Interno e cassa la sentenza impugnata.

Corte Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 febbraio – 31 luglio 2020, n. 16571 Presidente Manna – Relatore Mancino Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 20 luglio 2016, ha confermato la decisione di primo grado che aveva riconosciuto i benefici previsti per le vittime del dovere a L.S. , vigilatrice del Corpo di Polizia Penitenziaria, per le lesioni permanenti derivate dall’aggressione subita ad opera di una detenuta del Carcere Circondariale di Milano, benefici negati dal Ministero dell’Interno in assenza di un rischio eccedente quello ordinario connesso all’attività di Istituto espletata dalla vigilatrice. 2. Per la Corte di merito l’attività di vigilanza dei detenuti, all’interno della struttura carceraria, svolta dai lavoratori appartenenti alla polizia penitenziaria andava qualificata come servizio di mantenimento dell’ordine pubblico e le invalidità permanenti riportate nell’attività di servizio costituivano l’effetto di lesioni subite nello svolgimento di un servizio di ordine pubblico, alla stregua della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, lett. b in combinato disposto con la L. n. 466 del 1980, art. 3. 3. La Corte di merito riconosceva, inoltre, il diritto all’adeguamento dell’assegno mensile L. n. 407 del 1998, ex art. 2, in misura pari ad Euro 500,00, oltre perequazioni ex lege. 4. Avverso tale sentenza il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese L.S. con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria. Ragioni della decisione 5. Con i primi due motivi di ricorso la parte ricorrente denuncia violazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, per l’erronea interpretazione data dalla Corte del gravame alle disposizioni normative a presidio del beneficio richiesto, sia quanto a concetto di ordine pubblico sia quanto all’esclusione, nella specie, di un rischio superiore all’alea connaturata al servizio svolto, trascurando di considerare che a condizione di vittima del dovere cui conseguono i benefici riconosciuti in sede di merito sussiste soltanto in presenza di eventi eccedenti il rischio ordinario e istituzionale connesso alle funzioni svolte e costituisce un quid pluris rispetto alla situazione che dà luogo al riconoscimento della causa di servizio con il terzo motivo è censurato, per violazione di legge, il capo di sentenza relativo all’adeguamento dell’assegno vitalizio. 6. I primi due motivi del ricorso, logicamente connessi, sono da accogliere. 7. Questa Corte di legittimità v., fra le altre, Cass. nn. 24592, 9322 del 2018 Cass., Sez. U., n. 15484 del 2017 e numerose successive conformi ha più volte esaminato le norme al cui interno si colloca la fattispecie, precisandone i criteri applicativi nei termini che seguono. 8. La L. 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 563, stabilisce che per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi a nel contrasto ad ogni tipo di criminalità b nello svolgimento di servizi di ordine pubblico c nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari d in operazioni di soccorso e in attività di tutela della pubblica incolumità f a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità. 9. All’art. 1, successivo comma 564 si precisa che sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative. 10. In seguito, in attuazione di quanto stabilito dalla citata L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565 è stato emesso, con D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e de terrorismo, che all’art. 1, comma 1, definisce, agli effetti del regolamento a per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela previste dalle leggi L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e dalla L. 3 agosto 2004, n. 206 b per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente c per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto. 11. Da tale quadro normativo si ricava che il legislatore ha ritenuto di intervenire, a protezione delle vittime del dovere, con due diverse disposizioni, della L. n. 266, art. 1, i commi 563 e 564 individuando, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l’insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere elencando, nel comma 564, i soggetti equiparati , ossia coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività - enumerate nelle lettere dalla a alla f sopra richiamate - che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali. 12. Il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, ai sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività così caratterizzate, ma mediante la formulazione di una fattispecie aperta che tutela tutto ciò che sia avvenuto per eccezionali situazioni in occasione di missioni di qualunque natura. 13. È stata, quindi, adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari. 14. Qualunque tipo di attività e compito istituzionale può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione. 15. È dunque essenziale - per la vittima del dovere che abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio, non essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio - che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di particolari condizioni , costituente una connotazione aggiuntiva e specifica chiarita, dal citato D.P.R. n. 243 del 2006, nel senso che rilevano condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto . 16. Così premessa la cornice normativa ed escluso che si versi nella previsione aperta dettata dal comma 564 non ravvisandosi, nella specie, i requisiti previsti da detta disposizione e analiticamente indicati nei paragrafi che precedono, è necessario procedere alla verifica della riconducibilità della fattispecie all’ipotesi contraddistinta dai comma 563, lett. d come ritenuto dalla Corte territoriale. 17. Invero, la definizione di ordine pubblico, agii effetti delle provvidenze previste per le vittime dei dovere, risulta acquisita e consolidata nella giurisprudenza di questa Corte che ha già rimarcato che il richiamato comma 563, a differenza dal comma successivo, non prevede la presenza d’un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico v., fra ie altre, Cass., Sez. U., n. 10791 del 2017 . 18. Il principio è stato ulteriormente ribadito, in riferimento ad agente della Polizia penitenziaria, dalle Sezioni unite della Corte, con la sentenza n. 10792 del 2017 che, in applicazione del comma 563, lett. c ha ritenuto l’evento dannoso verificatosi nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari , tali ritenendo anche le case circondariali, in peculiare fattispecie in cui il sinistro occorso ad un agente della Polizia penitenziaria si era verificato durante lo svolgimento dell’ordinaria attività di vigilanza all’esterno della infrastruttura carceraria. 19. Nella vicenda ora all’esame del Collegio, la ricomprensione dell’attività di vigilanza svolta all’interno della struttura carceraria nel novero dei servizi di ordine pubblico risulta smentita dalle fonti normative che, fin dalla creazione del Corpo di polizia penitenziaria, hanno assegnato agli appartenenti compiti di ordine e vigilanza all’interno del carcere. 20. Invero, garantire l’ordine all’interno degli istituti di prevenzione e di pena e tutelarne la sicurezza sono stati posti dalla legge istitutiva del Corpo di polizia penitenziaria L. 15 dicembre 1990, n. 395 che ha soppresso il Corpo degli agenti di custodia tra i compiti istituzionali e dunque essenziali degli agenti di polizia penitenziaria. 21. La citata L. n. 395 del 1990, art. 5 recita 1. Il Corpo di polizia penitenziaria espleta tutti i compiti conferitigli dalla presente legge, dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, dal regolamento approvato con D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431, e loro successive modificazioni, nonché dalle, altre leggi e regolamenti. 2. Il Corpo di polizia penitenziaria attende ad assicurare l’esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale garantisce l’ordine all’interno degli istituti di prevenzione e di pena e ne tutela la sicurezza . 22. La L. 26 luglio 1975, n. 354, di riforma dell’ordinamento penitenziario, alla quale la norma istitutiva del Corpo ha rinviato, prevede, dettando le regole cui deve conformarsi il trattamento penitenziario, il mantenimento dell’ordine e della disciplina nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà L. n. 354 cit., art. 1, commi 4 e 5 4. Negli istituti l’ordine e la disciplina sono mantenuti nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà. 5. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con l’esigenza di mantenimento dell’ordine e della disciplina e, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari . 23. È pur vero che gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria possono essere chiamati a concorrere nell’espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica ossia a svolgere compiti di polizia di sicurezza, ma ciò nell’ambito delle forze di polizia, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in adempimento dell’espletamento dei relativi servizi di ordine e sicurezza pubblica nonché di pubblico soccorso L. n. 121 del 1981, art. 16 Ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla polizia di Stato sono forze di polizia, fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze a l’Arma dei carabinieri quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza b il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Fatte salve le rispettive attribuzioni e le normative dei vigenti ordinamenti, sono altresì forze di polizia e possono essere chiamati a concorrere nell’espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato. Le forze di polizia possono essere utilizzate anche per il servizio di pubblico soccorso . 24. Altro è, dunque, l’impiego della polizia penitenziaria in servizi di ordine pubblico contraddistinto dal mantenimento dell’ordine e dalla tutela della sicurezza cui istituzionalmente attende all’interno degli istituti di prevenzione e pena. 25. Neanche risultano sperimentabili, in forza del principio jura novit curia, altre ipotesi contemplate dalla già richiamata disposizione a protezione delle vittime del dovere non ravvisandosi, nella specie, le condizioni richieste dalla consolidata interpretazione data da questa Corte ed esposta nei paragrafi che precedono. 26. Rimane assorbito il terzo motivo di ricorso svolto in via subordinata. 27. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, rigetta la originaria domanda proposta da L.S 28. La peculiare vicenda all’esame del Collegio, in assenza di specifici precedenti di legittimità, consiglia la compensazione delle spese dell’intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta a domanda di L.S. spese dell’intero processo compensate.