Nessuna condanna per l’INPS se il giudicato adempiuto in ritardo consiste nella riliquidazione della pensione

Ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale è necessario che l’interesse leso sia di rango costituzionale, che sussista una lesione grave, che si tratti di un danno non consistente in semplici disagi e che vi sia un’adeguata allegazione sulla natura e sulle caratteristiche proprie del pregiudizio.

Così la Cassazione con ordinanza n. 32080/19, depositata il 9 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da un ex lavoratore, insieme ad altri litisconsorti, per ottenere il risarcimento del danno derivante dal perdurante inadempimento dell’INPS a fronte della sentenza di condanna alla riliquidazione di prestazione pensionistica in godimento. Intervengono dunque i Giudici della Suprema Corte. Riliquidazione della pensione già in godimento. Con il motivo di gravame i ricorrenti deducono nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’inottemperanza al giudicato da parte dell’INPS, osservando che la Corte distrettuale aveva ridotto la questione giuridica a una mera richiesta di risarcimento per ritardo, senza considerare che il presupposto del danno trovava origine dalla circostanza che l’INPS non aveva ottemperato ad una sentenza passata in giudicato. Sul punto occorre richiamare quanto detto in passato dalla Suprema Corte, ossia che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale come nel caso in esame è necessario che l’interesse leso sia di rango costituzionale, che sussista una lesione grave, che si tratti di un danno non consistenti in semplici disagi e che vi sia un’adeguata allegazione sulla natura e sulle caratteristiche proprie del pregiudizio. Ebbene, la sentenza impugnata in tale sede si è attenuta a tali presupposti rilevando che il giudicato adempiuto in ritardo consisteva nella riliquidazione della pensione in godimento e non nell’attribuzione di un trattamento pensionistico a soggetti sprovvisti di redditi previdenziali, pertanto non era ipotizzabile in modo presuntivo alcuna lesione di diritti relativi al soddisfacimento di bisogni primari della persona. Il ricorso quindi viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 10 settembre – 9 dicembre 2019, n. 32080 Presidente Doronzo – Relatore Riverso Rilevato che 1. - la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da F.I. e gli altri litisiconsorti sopra indicati, diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal perdurante inadempimento dell’Inps a fronte di sentenza di condanna alla riliquidazione di prestazione pensionistica in godimento. 2. I ricorrenti avevano esposto di essere stati costretti ad attivare complesse procedure esecutive per recuperare forzosamente quanto di loro spettanza differenze di ratei pensionistici maturati e non corrisposti e che il danno di natura non patrimoniale sofferto consisteva nel turbamento interiore e nella sofferenza morale protrattasi per molti anni dal momento dell’acquisizione della consapevolezza di avere pieno diritto alla riliquidazione della prestazione. 3. A fondamento della decisione i giudici d’appello rilevavano che, secondo consolidati principi affermati da questa Corte per tutte Cass. 26972 del 2008 , il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile solo entro il limite segnato dall’ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno, che la lesione deve eccedere una ragionevole soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tale da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un congruo grado di tolleranza e che l’inerzia dell’ente gestore, in relazione alla corresponsione dell’importo corrispondente alla maggiorazione non liquidata, non assurge a intollerabile lesione della dignità umana, in mancanza di prova da parte degli interessati della correlata impossibilità di soddisfare interessi primari. 4. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione F.I. e litisconsorti sulla base di tre motivi, illustrati con memoria. 5. l’INPS ha resistito con controricorso. 6. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 - bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio. Considerato che 1. Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’inottemperanza al giudicato da parte dell’Inps, osservando che la Corte territoriale aveva ridotto la questione posta alla sua attenzione a una mera richiesta di risarcimento per ritardo, senza considerare che il presupposto del danno traeva origine dalla circostanza che l’Istituto non aveva ottemperato a una sentenza passata in giudicato ed era rimasto immotivatamente inerte al comando dell’Autorità giudiziaria, così vanificando il diritto di rango costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale 2. con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , osservando che la Corte sminuisce esageratamente la lesione evocata in giudizio fino a ridurla al rango di un mero disagio, laddove quella che consegue all’inottemperanza del giudicato è lesione intollerabile di un diritto costituzionalmente qualificato, garantito dall’art. 2 Cost., correlato all’effettività della tutela giurisdizionale 3. con il terzo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico dell’inottemperanza al giudicato protrattasi per sette anni, quale fonte generativa della lesione di rango costituzionale produttiva del danno non patrimoniale invocato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 4. i tre motivi, intimamente connessi, si prestano a una trattazione unitaria 5. in primo luogo è da rilevare, ad escludere ogni rilevanza della prima e dell’ultima censura, che dalla sentenza si evince con chiarezza che la Corte d’Appello ha ben considerato che il ricorrente aveva fondato la domanda sull’inadempimento al giudicato quale fatto causativo della lesione patrimoniale, prendendo in considerazione il fatto storico della protratta inottemperanza, come è dimostrato dalla circostanza che, nel negare che gli interessi indicati in ricorso fossero presidiati da diritti di rango costituzionale, la stessa Corte ha evidenziato che l’oggetto del giudicato adempiuto in ritardo consisteva nella riliquidazione di una pensione pacificamente riconosciuta e in godimento 6. in ordine, poi, alla esclusione di una lesione risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., oggetto della seconda censura, il ragionamento seguito dalla Corte territoriale risulta conforme alla elaborazione della giurisprudenza di legittimità a partire da Sez. U. n. 26972 del 11/11/2008 7. in base alla ricostruzione offerta da questa Corte, un pregiudizio non patrimoniale risarcibile, oltre ai casi di danno derivante da reato, è ravvisabile ogni qual volta il fatto illecito abbia leso in modo grave diritti inviolabili della persona non aventi natura economica, costituenti oggetto di tutela costituzionale 8. questa Corte di legittimità nella richiamata decisione si veda anche Cass. n. 29832 del 19/12/2008, Cass. n. 20684 del 25/09/2009 ha chiarito che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale è necessario 1 che l’interesse leso, attinente a diritti inviolabili della persona, sia di rango costituzionale 2 che sussista una lesione grave, con offesa che superi la soglia minima di tollerabilità 3 che si tratti di danno non futile, cioè non consistente in meri disagi o fastidi 4 che vi sia una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non potendo mai ritenersi il danno in re ipsa 9. la sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti parametri, dal momento che, per un verso, ha rilevato che il giudicato adempiuto in ritardo consisteva nella riliquidazione di una pensione pacificamente in godimento e non nell’attribuzione di un trattamento pensionistico a soggetti sprovvisti di redditi previdenziali, sicché non era ipotizzabile presuntivamente alcuna lesione di diritti attinenti al soddisfacimento di bisogni primari della persona, mentre, per altro verso, ha posto in evidenza la mancanza di allegazione e prova di ricadute della predetta inottemperanza sulla qualità della vita di gravità tale da assurgere a intollerabili lesioni della dignità umana, non potendo considerarsi tali i paterni d’animo e i disagi correlati alla constatazione dell’inerzia dell’ente gestore nella corresponsione dell’importo pensionistico , come tali meritevoli di ristoro ulteriore rispetto agli interessi dovuti per il ritardo 10. non vale a smentire il ragionamento della Corte il richiamo contenuto in ricorso alla lesione del principio dell’effettività della tutela giudiziale, interesse che, in mancanza di allegazione di specifiche ricadute sulla dignità umana, esula dalla sfera strettamente attinente agli interessi della persona ed è presidiato dalle garanzie pubblicistiche attinenti ai mezzi posti a disposizione dal giudizio di esecuzione, da espletarsi sotto il controllo dell’amministrazione della giustizia 11. in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, 12. le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Inps delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.