Diritti del lavoratore in caso di trasferimento del ramo d’azienda

In tema di interposizione d’opera, richiamando le Sezioni Unite della Suprema Corte sentenza n. 2990/2018 , nel caso in cui ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il mancato ripristino del rapporto medesimo ad opera del committente comporta l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni a decorrere dalla messa in mora .

Sul tema torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 28500/19, depositata il 6 novembre. Il caso. Nei primi due gradi di giudizio, i Giudici condannavano la datrice di lavoro Telecom e confermavano il pagamento in favore di una lavoratrice della somma maturata dopo la dichiarazione di inefficacia della cessione del suo contratto di lavoro in relazione al trasferimento di ramo d’azienda. Tale somma rappresentava la differenza tra quanto prima percepito da ella presso la società cessionaria e la retribuzione che avrebbe dovuto percepire da Telecom. Quest’ultima propone ricorso per cassazione avverso tale decisione sostenendo che la transazione intervenuta a chiusura del rapporto precedente ha fatto cessare l’unico rapporto di lavoro di cui era titolare la signora, che, quindi, non ha più diritto a percepire nulla da Telecom medesima. I diritti del lavoratore. La S.C. afferma che, accertata la nullità della cessione del rapporto di lavoro, quello con il cessionario è instaurato in via fattuale e le vicende risolutive di esso non possono incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita solo con il cedente. Per quanto riguarda poi la natura dei crediti vantati dalla lavoratrice per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro da parte di Telecom, trova soluzione attribuendo ad essi natura retributiva e non risarcitoria. Così la Corte richiama il principio secondo cui, in tema di interposizione di manodopera, qualora ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il mancato ripristino di un rapporto di lavoro ad opera del committente fa sorgere per quest’ultimo l’obbligo di corrispondere le retribuzioni a decorrere dalla messa in mora SS.UU. Civili, sentenza n. 2990/2018 . Nel caso di specie, infine, non essendovi neanche efficacia estintiva del pagamento del terzo perché la somma richiesta è relativa alla differenza tra quanto percepito dalla lavoratrice presso l’azienda cessionaria e le retribuzioni che avrebbe dovuto percepire da Telecom, il ricorso, dunque, deve essere respinto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 giugno – 6 novembre 2019, n. 28500 Presidente Napoletano – Relatore Amendola Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 5 maggio 2015, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato Telecom Italia Spa al pagamento in favore di C.L. della somma di Euro 31.627,30, oltre accessori e spese, maturata dal settembre 2011 al gennaio 2013, successivamente alla sentenza del 2010 con cui era stata dichiarata l’inefficacia della cessione del suo contratto di lavoro in relazione al trasferimento di ramo d’azienda avvenuto in favore della MP Facility Spa tale importo rappresentava la differenza tra quanto percepito dalla lavoratrice presso la società cessionaria, ove era stata collocata in CIG a zero ore e le retribuzioni che avrebbe dovuto percepire da Telecom. 2. La Corte territoriale ha escluso - per quanto qui interessa - che la transazione a chiusura del rapporto di lavoro con MP Facility Spa producesse effetto nel rapporto di lavoro con la cedente, anche perché nella conciliazione era espressamente specificato che la stessa non pregiudicava le questioni riferite al rapporto di lavoro con Telecom Italia Spa ha altresì escluso che gli importi percepiti dalla lavoratrice a titolo di incentivo all’esodo, quindi quale controprestazione rispetto al consenso prestato alla risoluzione anticipata dal rapporto, potessero essere detratti da somme erogate in relazione alle retribuzioni perdute nel periodo precedente la cessazione del rapporto stesso. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Telecom Italia Spa con due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. ha resistito con controricorso la C. . Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 2126 c.c. sostenendo che la transazione intervenuta con MP Facility ha fatto cessare l’unico rapporto di lavoro di cui era titolare la sig.ra C. la quale dunque non ha più diritto a percepire alcunché da parte di Telecom . Il motivo è infondato. Infatti questa Corte ha affermato che accertata la nullità della cessione del rapporto, il rapporto con il cessionario è instaurato in via di mero fatto e le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il solo cedente in termini Cass. n. 5998 del 2018 in senso conforme, tra le altre, Cass. n. 13485 del 2014 Cass. n. 17736 del 2016 Cass. n. 2281 del 2018 . Inoltre nella specie non viene neanche adeguatamente censurata l’autonoma ragione della decisione secondo cui la transazione espressamente prevedeva essere fatti salvi i diritti relativi al rapporto di lavoro con Telecom. 2. Con il secondo motivo si denuncia, subordinatamente, violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1227, 1223, 1256, 1453 e 1463 c.c. nella parte in cui la sentenza non ha detratto, a titolo di aliunde perceptum, le somme corrisposte in favore della sig.ra C. in ragione del verbale di transazione sottoscritto con MP Facility . La censura non può trovare accoglimento. La questione della natura dei crediti vantati dalla lavoratrice per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro da parte di Telecom Italia Spa, nonostante la sentenza di accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda cui era addetta a MP Facility Spa, con decorrenza dalla messa in mora, trova soluzione nel senso della natura retributiva e non più risarcitoria come invece secondo un indirizzo precedente Cass. 17 luglio 2008 n. 19740 Cass. 9 settembre 2014 n. 18955 Cass. 25 giugno 2018, n. 16694 sulla scorta dell’insegnamento posto recentemente dalle Sezioni unite civili di questa Corte sent. 7 febbraio 2018, n. 2990 Come noto detta pronuncia ha sancito il seguente testuale principio di diritto in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni, , a decorrere dalla messa in mora . A tale indirizzo è stato riconosciuto valore di diritto vivente sopravvenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda. Infatti la Corte d’Appello di Roma, sezione lavoro, con ordinanza di rimessione del 2 ottobre 2017, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, censurando le citate disposizioni sulla mora del creditore, sul presupposto che limitassero la tutela del lavoratore ceduto secondo l’interpretazione giurisprudenziale all’epoca accreditata - al risarcimento del danno, anche dopo la sentenza che avesse accertato l’illegittimità o l’inefficacia del trasferimento d’azienda. La Corte costituzionale ha preso atto al p.to 6.3. del Considerato in diritto che l’indirizzo interpretativo, indicato come diritto vivente allorché sono state proposte le questioni di legittimità costituzionale, risulta disatteso dalla suddetta pronuncia delle Sezioni unite, successiva all’ordinanza di rimessione. Tale pronuncia mira a ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della mora del creditore nel rapporto di lavoro e consente di risolvere in via interpretativa i dubbi di costituzionalità prospettati . Dalla qualificazione retributiva dell’obbligazione del datore di lavoro moroso il Giudice delle leggi ha tratto la conseguenza di privare di fondamento, , le questioni di legittimità costituzionale insorte sulla base di un’interpretazione di segno antitetico . Pertanto, una volta sancita la natura retributiva delle somme da erogarsi dal cedente inadempiente al comando giudiziale ed escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento e, quindi, di detraibilità di somme percepite a titolo di incentivo all’esodo non è dato parlare. Nella specie non vi è neanche questione di efficacia estintiva del pagamento del terzo perché la somma richiesta è relativa alla differenza tra quanto percepito dalla C. presso la società cessionaria, ove era stata collocata in CIG a zero ore, e le retribuzioni che avrebbe dovuto percepire da Telecom. 3. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.