Precetto: se arriva a destinazione è valido, la notifica non conta

Nel caso di atti di messa in mora, il principio di presunzione di conoscenza opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione. Mentre non rileva l'irregolarità della notificazione, poiché, appunto, si discute di un atto di messa in mora al quale le regole sulle notifiche non si applicano.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza 20070, depositata il 24 luglio. La fattispecie. Il Tribunale di Bologna rigettava l'opposizione proposta da Tizia avverso l'esecuzione intrapresa con atto di pignoramento presso terzi da Caia in base al titolo esecutivo costituito dalla sentenza che aveva condannato la prima al pagamento di una somma di denaro, oltre accessori di legge, in favore della seconda. Nel respingere il gravame, la Corte rilevava che l'efficacia interruttiva dell'atto di precetto, quale atto recettizio, si verifica nel momento in cui l'atto perviene a conoscenza del destinatario ovvero al suo indirizzo nel caso di specie la notifica del precetto era stata effettuata all'indirizzo di Tizia risultante dai registri anagrafici. Questo significava che il creditore aveva posto in essere atti concreti di esercizio del diritto manifestando una volontà non abdicativa, interrompendo - quindi - la prescrizione. Gravava, perciò, su Tizia dimostrare di non essere venuta a conoscenza di tali atti senza sua colpa a tal fine la diversa residenza di fatto rispetto a quella anagrafica da lei mantenuta non configurava una condotta incolpevole in quanto in questo modo era stata la stessa parte a porsi in condizione di non venire a conoscenza dell'atto e a mantenere una situazione difforme da quella ufficiale risultante dai registri anagrafici. Tizia ricorre in Cassazione. Precetto non ha effetto se il destinatario non ne è a conoscenza. Secondo Tizia, la sentenza è contraddittoria e errata il precetto è un tipico atto che non produce alcun effetto se non è portato a conoscenza del destinatario la legge, infatti, prevede che la notificazione a mezzo del servizio postale si perfezioni per il destinatario dal momento che lo stesso ha avuto la legale conoscenza dell'atto. In caso di irreperibilità, l’ufficiale giudiziario deve depositare la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affiggere avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell'abitazione o dell'ufficio o dell'azienda del destinatario, e dargliene notizia per raccomandata con avviso di ricevimento. Nel caso concreto la notificazione dell'atto di precetto era rimasta senza esito perché l'agente postale si era limitato ad attestare l’irreperibilità di Tizia, senza il compimento delle ulteriori formalità di cui si è detto non si poteva, pertanto, ritenere come andata a buon fine. Di conseguenza, alcuna efficacia interruttiva della prescrizione poteva essere attribuita a tale atto. Precetto se arriva a destinazione, si presume conosciuto. La Cassazione, tuttavia, sostiene che tali censure non siano fondate in quanto la Corte d’Appello ha applicato esclusivamente il principio stabilito dall'articolo 1335 c.c. della presunzione di conoscenza per l'atto unilaterale che giunge all'indirizzo del destinatario, salva la prova dell'impossibilità incolpevole di prenderne conoscenza gravante su quest'ultimo individuando anche la colpa del destinatario per avere questi mantenuto la propria residenza anagrafica nonostante avesse trasferito quella di fatto in un altro luogo. In sostanza, è la stessa parte ora ricorrente ad essersi posta così colpevolmente in condizione di non venire a conoscenza dell'atto mantenendo una situazione difforme da quella ufficiale risultante dai registri anagrafici. La ricorrente, invece, ha costruito l'impugnazione sulla violazione dei principi in materia di notificazione i quali non rilevano nel percorso motivazionale della Corte, né rilevano sotto il profilo giuridico essendo pacifico che il precetto abbia anche contenuto di atto di messa in mora e che le eventuali irregolarità o nullità del suo procedimento notificatorio non impediscono che venga rispettata comunque la regola posta dall'articolo 1335 c.c. allorché, appunto, in quanto atto di messa in mora, sia stato comunicato all'indirizzo del debitore. Il principio di presunzione di conoscenza opera, infatti, per il solo fatto oggettivo dell'arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione. Mentre non rileva l'irregolarità della notificazione, poiché, appunto, si discute qui di un atto di messa in mora al quale le regole sulle notifiche non si applicano nei fatti risulta che non solo sia stato spedito all'indirizzo cosa, di per sé, sufficiente a renderlo pienamente efficace e legittimo , ma anche che sia giunto all'indirizzo del destinatario, con piena conformità all'articolo 1335 c.c. Alla luce di quanto detto il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 23 gennaio – 24 luglio 2019, n. 20070 Presidente Esposito – Relatore Riverso Rilevato che il tribunale di Bologna con sentenza n. 606/2014 ha rigettato l’opposizione proposta da L.F. avverso l’esecuzione intrapresa con atto di pignoramento presso terzi da V.C. sulla scorta del titolo esecutivo costituito dalla sentenza del tribunale di Bologna sezione lavoro del 30/10/2001 che aveva condannato la Lepore al pagamento della somma di Euro 25.992,51 oltre accessori di legge in favore di V.C. . Proposto appello da L.F. , la Corte d’appello respingeva il gravame rilevava la Corte che l’efficacia interruttiva dell’atto di precetto, quale atto recettizio, ai sensi degli artt. 1334 e 1335 c.c., si verifica nel momento in cui l’atto perviene a conoscenza del destinatario ovvero al suo indirizzo, reputandosi conosciuto se quest’ultimo non prova di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di averne avuto conoscenza e nel caso di specie la notifica del precetto, sia di quello in data del 14.11.2012 sia di quello in data in 1.3.2013, era stata effettuata all’indirizzo della Lepore risultante dai registri anagrafici con tali atti il creditore aveva posto in essere atti concreti di esercizio del diritto manifestando una volontà non abdicativa, interrompendo quindi la prescrizione gravava perciò sulla Lepore dimostrare ai sensi dell’art. 1335 c.c., di non essere venuta a conoscenza di tali atti senza sua colpa ma la diversa residenza di fatto rispetto a quella anagrafica mantenuta dalla Lepore non configurava una condotta incolpevole in quanto in questo modo era stata la stessa parte a porsi in condizione di non venire a conoscenza dell’atto e a mantenere una situazione difforme da quella ufficiale risultante dai registri anagrafici. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.F. con due motivi ai quali ha resistito V.C. con controricorso illustrato da memoria. È stata notificata alle parti la proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata. Ritenuto che 1.- col primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334 e 1335 c.c. 2.- col secondo motivo si denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione su un fatto controverso decisivo artt. 140, 143, 149 c.p.c. . Sostiene la ricorrente, a fondamento delle censure, che la sentenza è contraddittoria ed errata perché ha attribuito valenza sia alla notificazione effettuata a mezzo posta ai sensi dell’art. 149 c.p.c., ancorché non fossero state compiute le formalità di cui all’art. 140 c.p.c. sia alla notifica effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. rileva la ricorrente che il precetto è un tipico atto che non produce alcun effetto se non è portato a conoscenza del destinatario pertanto se, come nel caso concreto, esso è stato notificato in violazione di quanto disposto dall’art. 149 c.p.c., non può presumersi che l’atto fosse arrivato comunque alla sua conoscenza come affermato dalla Corte d’appello in quanto la norma, al comma 3, prevede che la notificazione a mezzo del servizio postale si perfezioni per il destinatario dal momento che lo stesso ha avuto la legale conoscenza dell’atto, che in caso di irreperibilità coincide con il compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c Aggiunge la ricorrente che nel caso concreto la notificazione dell’atto di precetto del 10/11/2012 era rimasta senza esito perché l’agente postale si era limitato ad attestare la sua irreperibilità in loco, senza il compimento delle ulteriori formalità di cui all’art. 140 cit. e non si poteva pertanto ritenere come andata a buon fine conseguentemente, alcuna efficacia interruttiva della prescrizione poteva essere attribuita a tale atto pertanto V.C. , edotta della irreperibilità della signora L. residente in Argelato ma abitante a Bologna nel luogo ove aveva tentato la precedente notifica del precetto, in data 1/3/2013 procedette alla notificazione del precetto ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in base al quale la notificazione si ha per l’eseguita nel 20 giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte dalla norma e quindi dal 22/3/2013 quando il termine di prescrizione decennale era già maturato considerato che il precedente atto interruttivo era stato compiuto in data 10/3/2003 . 3.- Il ricorso è inammissibile. Preliminarmente deve considerarsi che versandosi in una ipotesi di doppia conforme non è ammissibile, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma5, il motivo di ricorso fondato sull’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Cass. 26774/2016 . Va poi rilevato che entrambi i motivi di ricorso non censurano la reale ratio decidendi della sentenza, atteso che la Corte d’appello ha espressamente applicato alla notifica del precetto - inteso alla stregua di un atto di messa in mora - i principi riferiti alla conoscenza degli atti sostanziali ex artt. 1334 e 1335 c.c., affermando che poiché l’atto in questione avente il contenuto di un’intimazione ad adempiere era stato notificato per due volte all’indirizzo della L. nel comune di Argelato, risultante dai registri anagrafici, gravasse sulla L. dimostrare ai sensi dell’art. 1335, di non essere venuta a conoscenza di tali atti senza sua colpa. 4.- La ricorrente critica invece la sentenza affermando che la Corte di merito abbia violato i principi di cui agli artt. 143 e 140 c.p.c. principi che però essa non ha minimamente applicato non avendo affermato che la notifica del precetto fosse valida alla stregua delle suddette norme, nemmeno in relazione alla problematica questione dall’applicazione dei principi della scissione degli effetti del processo notificatorio all’atto di precetto in quanto atto giudiziario , ancorché non processuale, al quale soltanto si applicano le norme sulle notifiche. Di tale questione su cui, ai fini degli effetti sostanziali degli atti processuali, v. Cass. S.U. 24822 del 09/12/2015 i giudici d’appello non hanno minimamente discorso mentre solo il giudice di primo grado aveva applicato il principio di scissione, come risulta dai motivi di appello riportati dalla sentenza impugnata. Per queste ragioni, non avendo applicato i principi stabiliti dalla legge in materia di notificazione, su cui vertono le censure sollevate col ricorso, la Corte d’appello non può aver violato gli artt. 140 e 143 c.p.c. 5.- La Corte d’appello ha applicato invece esclusivamente il principio stabilito dall’art. 1335 c.c., della presunzione di conoscenza per l’atto unilaterale che giunge all’indirizzo del destinatario, salva la prova dell’impossibilità incolpevole di prenderne conoscenza gravante su quest’ultimo individuando anche la colpa del destinatario per avere questi mantenuto la propria residenza anagrafica nonostante avesse trasferito quella di fatto in un altro luogo sostenendo che la stessa parte ora ricorrente si fosse posta così colpevolmente in condizione di non venire a conoscenza dell’atto mantenendo una situazione difforme da quella ufficiale risultante dai registri anagrafici. 6.- La correttezza delle suddette affermazioni non è stata adeguatamente censurata dalla ricorrente la quale ha costruito l’impugnazione sulla violazione dei principi in materia di notificazione i quali non rilevano nel percorso motivazionale della Corte, né rilevano sotto il profilo giuridico essendo pacifico che il precetto abbia anche contenuto di atto di messa in mora e che le eventuali irregolarità o nullità del procedimento notificatorio dell’atto di precetto in quanto atto non processuale, ma giudiziario , propedeutico alla esecuzione ed al quale si applicano le norme sulle notifiche non impediscono che venga rispettata comunque la regola posta dall’art. 1335 c.c., allorché, appunto, in quanto atto di messa in mora, sia stato comunicato all’indirizzo del debitore Cass. n. 15617 del 26/07/2005 . 7.- Pertanto, quand’anche si volessero riferire le censure sollevate in ricorso, ai principi stabiliti dagli artt. 1334- 1335 c.c., in quanto richiamati nell’intestazione del primo motivo di ricorso, è altrettanto pacifico che nella situazione di fatto descritta in sentenza la comunicazione dell’atto di precetto sia stata effettuata, nel rispetto dell’art. 1335 c.c., all’indirizzo del destinatario L. , in quanto risultante residente in quel luogo dagli atti anagrafici. Il principio di presunzione di conoscenza stabilito in detta norma opera infatti per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione. Mentre non rileva l’irregolarità della notificazione, poiché, appunto, si discute qui di un atto di messa in mora al quale le regole sulle notifiche non si applicano e che nei fatti risulta che non solo sia stato spedito all’indirizzo cosa, di per sé, sufficiente a renderlo pienamente efficace e legittimo , ma anche che sia giunto all’indirizzo del destinatario, con piena conformità all’art. 1335 c.c. v. Cass. n. 10058 del 27/04/2010, n. 10849 del 11/05/2006 . 8.- Pertanto, in forza delle premesse svolte, il ricorso, diversamente da quanto opinato nella proposta ex art. 380 bis c.p.c., va quindi dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in dispositivo. Non sussistono i presupposti per il raddoppio di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo la ricorrente ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessive Euro 2700, di cui Euro 2500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.